giovedì 5 novembre 2015

#Puebla #Popocatepetl #Muerte #Sueno #lamiamorte #Cholula #chiese #Mexico


Atterriti,terrorizzati, frustrati all' idea di prendere un altro autobus per raggiungere la città di Puebla che pare disti appena 5 ore di viaggio da Oaxaca, ci carichiamo mesti gli zaini sulle spalle. Per complicare la situazione non andiamo al terminale Ado che ci costerebbe quasi 1000 pesos, ma preferiamo servirci di un bus di seconda classe. Quando però vediamo dove sorge la stazione e le fattezze di alcuni vecchi autobus posteggiati iniziamo a tremare. Davanti agli occhi ci si prospettano scene da incubo di cassoni lanciati a folli velocità tra rombi assordanti, sbuffi di fumo nero dallo scarico, gomme bucate in mezzo a strade impraticabili con i passeggeri uomini costretti a fare da crick umano per sostituire una, due o anche tutte le ruote!
Bisognerebbe capirlo che ci sono paesi e paesi in cui fare i tirchi! Inoltre per complicare il tutto, il nostro autobus non ferma a Puebla, ma ci lascerà nelle vicinanze.
Invece, grazie al cielo ci capita un bel Volvo fiammante e due bei posti i prima fila vista strada, con ampio spazio per le ginocchia di Terry e nessun vecchio sdraiato davanti!
Il problema è che l' autista non va più veloce dei 60 neanche entrati in autostrada, contribuendo alla necessità di bestemmia  dei sottoscritti. Terry per la disperazione si mette a dormire e rimango da sola a sacramentare mentre tutto il Messico ci supera. Ogni tanto l' autista effettua fermate abusive, nel bel mezzo della carreggiata per raccogliere viaggiatori che stazionano nei pressi di cavalcavia o che bellamente passeggiano sulla corsia di emergenza.
Poi sale una venditrice ambulante con cestini ricolmi di ingredienti separati tra loro e inizia a riempire Tacos di carni varie, riso, insalate e salse..l' intero autobus si accalca sul davanti per servirsi e accaparrarsi il suo pasto. Ovviamente tutto mentre il viaggio prosegue e pure l' autista non rifiuta il suo taco e coca cola. Dopo due ore e mezza abbiamo percorso solamente 75 km e ce ne mancano circa 225..di questo passo arriveremo di gran lunga oltre le aspettative, immaginate l' impennata di Cristi quando becchiamo anche coda, invece, non si sa come, alle 17:15 l' autista ci deposita in mezzo all' autostrada, dicendoci che se raggiungiamo la rampa inferiore potremo prendere un bus per Puebla. Siamo interdetti. Ma non abbiamo alternativa, per fortuna il sole non si è ancora eclissato! Prendiamo il bus che viaggia per circa mezz'ora, e poi un' altro che dopo altri 15 minuti ci vomita nei pressi del centro, che è chiuso al traffico per le celebrazioni di coda del dia de los muertos.
Migliaia di gente in strada, un cordolo senza fine si è schierato da entrambi i lati del Boulevard 5 de mayo, quasi ad accogliere gli extraterrestri con gli zaini sulle spalle e i capelli a spazzoletta! Risaliamo tutta la calle 4 da oriente a poniente, girando di continuo le teste a destra e a sinistra a guardare tutto quello che ci passa di fianco, già ci siamo resi conto dal viaggio in bus che Puebla è enorme, ora scopriamo anche che è enormemente ricca e viva.
Molliamo gli zaini in ostello e usciamo a scoprire cosa ci aspetterà nei prossimi 3 giorni in questa città di cultura, di chiese colorate e di piccole corti nascoste all' interno di grandi palazzi, decorati con mattonelle di ceramica moresca e mattoni rossi.
Il sole ci sveglia filtrando dal soffitto alto a travi dell' ostello e ci predispone ad una nuova giornata di passeggio immersi nel reticolato urbano di questa città così attiva e dirigendoci verso la cattedrale un grande teschio gonfiabile attira la nostra attenzione: "La muerte es un sueno" recita il titolo dipinto sulla calavera e gli attori si pongono l'obiettivo di regalare un'esperienza sensoriale simile al trapasso.
"Solo los muertos lo saben", dice un' altra scritta, ed ecco quello che ci apprestiamo a vivere: l' esperienza della morte vissuta da chi ci lascia invece che come siamo abituati a concepirla, dalla parte di chi resta. Prima di consegnarci una mascherina per coprirci gli occhi, i nostri traghettatori ci invitano a lasciarci andare, al fine di vivere pienamente questa esperienza, di sentirci liberi di ridere, piangere, ballare e urlare se ne sentiamo l' esigenza. Poi le maschere calano sugli occhi e mi sento prendere le mani per essere condotta all' interno di quella che presumibilmente è una stanza all' interno della calavera gonfiabile. Mi fanno sedere su una sedia mentre una musica inizia a risuonare e piccole gocce vaporizzate di acqua profumata mi fanno drizzare i peli sulle braccia, mani mi accarezzano poi mi viene messo tra le mani un orsacchiotto, le mani premute sul petto, un cioccolatino premuto delicatamente sulle labbra e lasciato entrare in bocca. La musica cambia, al posto dell' orsacchiotto un fiore stretto a forza tra le dita e schiacciato di fretta al petto, un velo calato sul viso fino alle ginocchia.
Sono morta, nella cassa, le orecchie rimbombano di note convulse, respiro più rapido. la musica si placa, note dolorose, pianti e singhiozzi, femminili, maschili, vicino alle mie orecchie, intorno a me. Mi piangono, e io li sento, ma non li posso vedere. Soffrono, mi parlano. Del tempo trascorso insieme, del pezzo di vita condiviso. Mi ringraziano. Sono al mio funerale. Estremi saluti. Poi silenzio. Rimango nel mio buio, in attesa che qualche anima venga in mio soccorso, arrivano, mi accarezzano, mi soffiano aria fresca, mi abbracciano con le mie stesse braccia e io mi sento e mi proteggo, poi mi prendono le mani e mi fanno alzare, musica di festa, voci allegre e cori sempre più forti, balliamo, una danza leggera, la musica mi entra nelle orecchie e immagino un prato verde in cui danzare leggeri e bianchi, tra la leggerezza di un corpo senza più preoccupazioni.
I suoni si attutiscono, goccioline di pioggia sulla pelle, pace. Una voce ci guida e le maschere si alzano, ma gli occhi rimangono chiusi, alziamo il viso verso l' alto, per rimanere ancora connessi per un pò con i nostri morti, la porta è ancora aperta, il filo ci lega ancora. Li vedo tutti lì, sopra di me, i loro volti, la serenità negli occhi, le facce sorridenti, le lacrime iniziano a sgorgare tra le ciglia degli occhi serrati, poi piano piano li apriamo e ci guardiamo in faccia, tra il commosso e l' imbarazzato. Ci abbracciamo tra noi, per ricordarci che noi ci siamo ancora, per non permetterci di sprecare quello che abbiamo ora che potremmo non avere più domani, per ringraziare quello che abbiamo la possibilità di vivere e troppe volte diamo per scontato.
Il resto è bello, bellissimo, cattedrali, chiese, un piccolo vulcano di 13 metri, nato da un' eruzione di 400 anni fa del Popocatepetl, in cui calarsi dentro, il più piccolo al mondo, Cholula, la città delle chiese, si dice 365, una per ogni giorno dell' anno, ma nessuno lo sa con certezza se è davvero così, una piramide, enorme, la piramide più grande del mondo, non per altezza, ma con la base più grande del mondo, ricoperta e annientata costruendoci sopra una chiesa, che svetta sulla città, prolungamento dei tentacoli di Puebla. Il Popocatepetl osserva dall' alto fumando bianco. Comida tipica, il mercato dei sapori, la città rombante e strombazzante di traffico di giorno e silenziosa e addormentata alle 11 di sera, quando in pace torniamo verso la nostra stanza, per aspettare ancora un altro sole che domani mattina ci darà ancora il buongiorno, lui che non si stanca mai di farlo.


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