giovedì 12 ottobre 2017

Venezia sommersa #venezia #venice #italy #biennale #art #contemporaryart #canalgrande #gondola #sanmarco #rialto #visitvenice #lostinvenice #ilovevenice #bridges #laguna #tourists


Questa è la mappa dei miei tragitti effettuati in questi 6 giorni. Certo, a posteriori mi sarebbe piaciuto indicarli ogni volta con un colore differente per poterli distinguere, ma il punto comunque era provare a percorrere tutte le Calli di Venezia e dimostrare a me stessa che una città vivibile esiste anche nella Serenissima.
Ebbene sono felice di affermare che è così, che non incontrare quasi nessuno a Venezia si può, che si riesce anche ad ascoltare i propri passi e il rumore dei propri pensieri, da quanto ci si ritrovi soli; che si può avere l'impressione di essere entrati nella dimensione in cui, Venezia, si sia presa un giorno di ferie dai suoi avventori e abbia guadagnato il largo della laguna, lasciando tutti a piazzale Roma o alla stazione Santa Lucia.
E questo mi porta però a confermare anche un'altra grande verità, che riguarda la stupida ottusità del turista che le sue strade invade, o meglio, LA sua strada... perché il fiume di gente, e a volte è davvero spaventosamente in piena, si concentra solo e inesorabilmente negli stessi punti, nel percorso tracciato, che è quello segnalato dai cartelli gialli che si trovano in alto a fianco ai nomi di calli e ponti e che indicano ossessivamente: San Marco, Rialto, Stazione, Piazzale Roma e Accademia.
Il turista è come un vitello inconsapevole che ciecamente viene guidato al macello, che ama la vicinanza con i suoi simili e brama incanalarsi in code, dalle quali viene travolto e sospinto. Non vede niente, non capisce cosa guarda e poco gli interessa. Ama accalcarsi sui ponti e fare foto in luoghi affollatissimi, dove niente si percepisce del posto in cui si trovi, ma quel che è certo è che nel suo scatto saranno comprese altre mille persone. I viaggiatori sono ben'altra cosa, se permettete.

La tragedia di Venezia sono i suoi turisti che la alimentano e la ingrassano e cui lei sfila il portafoglio e si serve da sola.."gondola signori?" E il turista apre la tasca e si fa alleggerire di 80, 100, anche 120€ ho sentito in questi giorni, senza curarsi di leggere i cartelli che informano della tariffa. Ed è giusto così, è lo scotto che i veneziani estorcono per sopportare di essere invasi tutti i giorni dell'anno, nessuno escluso, perchè Venezia non chiude mai. 

Deve essere dura per quelli che ancora resistono e non si arrendono ad abbandonarla, nonostante il disagio di vivere in una grande e sontuosa giostra.
Poi ogni tanto sbroccano, sui vaporetti, mentre si fanno largo tra le valigie armadio degli orientali a cui cercano di insegnare a non ostruire il passaggio. Sul Canal Grande, lungo la tratta che dalla stazione porta a San Marco sono state appese alle finestre delle bandiere, con scritto "Venezia è una città vera".
Come a dire a chi qui ci viene come andrebbe a DisneyLand, che le persone qui ci vivono, ci lavorano, che questa è la loro città, prima di tutto. Che non se ne vogliono andare perchè asfissiati da troppa gente che non la rispetta e non la preserva. 
Scriveva Indro Montanelli prima di abbandonarla " Venezia non aveva, per restare Venezia, che una scelta: mettersi sotto la sovranità ed il patronato dell' Onu per riceverne il trattamento, che certamente le sarebbe stato accordato, dovuto al più prezioso diadema di una civiltà non italiana, quale la Serenissima mai fù nè mai si sentì, ma europea e cristiana, intesa unicamente alla conservazione di se stessa.
Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: un turismo di massa con la merenda al sacco, che fa i suoi bisogni sotto i loggiati."
Solo la sera, quando le orde barbariche, ripercorrendo sempre la stessa tratta liberano i ponti, le calli e i sotoporteghi dal loro incedere floscio e insensato, si lascia andare ad un sospiro liberatorio.
Spegne le luci e rimane immobile ad ascoltare lo sciabordio dell' acqua contro gli scafi. Si svela così in tutta la sua malinconica e romantica bellezza, silenziosa e sgombra da inutili presenze. I suoi fantasmi escono ed iniziano a vagare a mezz' aria, ripopolando gli antichi e sfarzosi palazzi per l' ennesimo ballo in maschera, tra parrucche a boccoli e culi imbottiti, baciamano e scarpini di velluto, soffitti affrescati e broccato alle pareti.

domenica 13 agosto 2017

Il mio giorno di riposo #cinqueterre #liguria #italy #fivelands #monterosso #portovenere #scooter #travel #mytravel #openworld #openmymind #woodyallen #cafèsociety #trip #passodelbracco #sea #summer #bluesky #lordbyron #newfriends #lodi #genova #skipper #santangele #smile #laugh #fun #friendship #guests #corsica #nervi #feelings #openheart


Il martedì è il mio giorno di festa dal ristorante. Solitamente, a fine serata del lunedì, ci si chiede con gli altri della brigata, come lo passerò, mentre si beve qualcosa all' Imbarco, il pub di Felix, nostro vicino al porticciolo di Nervi. La butto lì che farò un giro in motorino, già che è fresco di revisione e pare godere di ottima salute. Qualche settimana fa sono andata fino a Cavi di Lavagna, ora che ho olio e freni nuovi, dico, potrei anche pensare di sconfinare, tanto non devo rientrare che mercoledì per il turno della sera!
Forse è proprio questo ultimo pensiero rimastomi in testa dalla sera prima che mi dà la convinzione di poterlo fare, perciò alle 9:30, senza ulteriori indugi, infilo la porta di casa, con uno zaino contenente nell' ordine: un telo da mare, un bikini spaiato, un cambio di intimo e calze, una crema solare protezione 15, un latte doposole, un bagnoschiuma olio al burro di karitè marca Neutro Roberts, una spazzola per capelli che tendono ai nodi. Per lo svago, un libro di intrighi e misteri, un portafoglio discretamente imbottito, un block note per improvvise ispirazioni. Poi una felpa navy con ossicini bianchi stampati e un foulard blue con le àncore.

L' aurelia non mi stanca mai, perciò mi lascio alle spalle la città, mentre sotto il sole attraverso Bogliasco, Pieve, Sori. Tra Mulinetti e Recco mi mantengo sui 50 km orari per via dei 5 velox a poca distanza uno dall' altro. Poi tiro su per la Ruta, guardando Camogli dall' alto. Passo la galleria in prossimità di San Rocco, che mi regala un attimo di refrigerio e dopo la curva butto un occhio, come sempre, attraverso il cancello del negozio di antichità, che espone gazebo e fontane in ferro battuto e pietra. Mi appare il campanile della chiesa di San Lorenzo della costa, ignoro il bivio per Santa Margherita e ammiro il golfo del Tigullio dall' alto, prima di scendere a Rapallo e farmi gridare da un vecchiettino seduto in un bar vista semaforo : "che gambe!!! Belu segnù che gambe!!!", faccio un inchino col capo, tra le risate dei passanti e sfreccio verso Zoagli. Mi si apre la vista su Chiavari. Il mare è blu intenso, la città degrada verso l' acqua, mentre decido di concedere una sosta alla "Cinni" (vezzeggiativo di Cinzia, il mio scooter Cygnus 125 ricevuto in regalo da una ragazza di Santa Margherita) per la colazione.

Un krapfen con la crema è quello che ci vuole per affrontare i km che ancora mi separano dalla meta, che peraltro mi è ancora sconosciuta, ma so essere lontana. Riparto in fretta, lasciandomi alle spalle Lavagna, Sestri Levante, Riva e mi inerpico in collina verso il Passo del Bracco. Una foto a testimonianza della grande impresa della Cinni è d' obbligo. Faccio qualche casino saltando un bivio, o forse no, fatto sta che scendo per Carrodano e poi imbocco la SP566 per Monterosso. Guardo i borghi dall' alto e fremo per essere già al mare. Perdo un pò di tempo nel fallace tentativo di parcheggiare vicino alla spiaggia, poi ci ripenso e torno verso Levanto, dove mollo lo scooter in stazione e prendo il primo regionale che passa per le Cinque terre. Biglietto rigorosamente per residenti, e guai a prendermi per una turista! Sotto il ponte della ferrovia incontro Davide che dipinge acquerelli raffiguranti i borghi più belli. Il suo stereo diffonde "quando sono con te, sento dentro di me, un frastuono una musica, che non so da dove viene e forse non ha un nome, ma mi accarezza e mi invade..

All' imbarcadero di Monterosso prendo il traghetto diretto per Portovenere e finalmente mi godo il panorama. Sono le 16 quando attraversiamo le "bocche", la striscia di mare tra lo sperone di roccia di Portovenere, sovrastato dalla chiesa gotica di San Pietro e l' isola di Palmaria. Secondo i battellieri ho un'ora di tempo per visitare la cittadina prima dell' ultimo traghetto di rientro. Non ci penso proprio. Solo l'idea di sbarcarollarmi un' altro viaggio via mare e poi rimontare in sella mi dà la nausea. Inoltre ho gia visto che sotto la chiesa stasera c'è il cinema all' aperto. Proiettano Cafè Society di Woody Allen in lingua e io lo voglio vedere. Mi infilo su per i vicoletti di pietra che portano al castello e scruto le piastrelline con i numeri civici delle abitazioni, alla ricerca di qualche affittacamere. Incontro un ragazzo carino e gli chiedo se ha un divano, mi suggerisce di provare più avanti che ci sono dei B&B. L'oblò è al completo, il Genio pure, faccio un tentativo alla Pro loco che fa da servizio informazione turistica.
Trovo una doppia uso singola alle Grazie, a tre km dal borgo e inizio a rilassarmi. Una passerella rossa, di quelle che tanto vanno di moda quest'anno nei posti di mare in Liguria, mi porta dalla Torre Capitolare fin dentro il borgo genovese, che conduce alla sommità dello sperone e alla chiesa di San Pietro. Poco prima una targa nella roccia mi invita a visitare la grotta Byron, dove l'illustre poeta amava trascorrere le sue giornate e traeva ispirazione per le sue opere. Mentre mi faccio anch'io incantare dalla bellezza di questo luogo, mi sovviene una citazione del gentiluomo inglese che diceva "voltai le spalle al Signore e camminai sui sentieri del peccato". Di li a poco la mia attenzione viene catturata da un gruppo di ragazzini in acqua, che a naso in sù sotto le rocce, iniziano un serrato conto alla rovescia incitando un loro simile a ricoprire volando i circa 15 metri di salto che lo separano dalle acque cristalline sotto di lui. L'eccitazione sale mano a mano che ci si avvicina ai numeri primi, e allo zero il disgraziato si lancia nel silenzio, per poi accogliere l' ovazione al suo riemergere, condita da un sonoro e potente "Porco Dio!".
Byron, come me, si sarebbe fatto una grassa risata.
Il panorama è incantevole, i colori abbaglianti. Sono felice di aver scelto di fermarmi, quindi con il sorriso stampato sulle labbra vado dai battellieri a chiedere il mio biglietto di rientro è valido anche per domani. Ovviamente no, perchè riporta la data di oggi, ma tra una battuta e l' altra sull' ospitalità ligure gli strappo una risata e un giro delle isole offerto per l' indomani.
Il borgo è pieno zeppo di turisti da ogni angolo del pianeta, ma come spesso accade li vedo seduti ai tavolini dei bar o in coda per prendere un gelato, quindi mi muovo libera e solitaria tra le scalinate di pietra e vicoli più nascosti. Prendo il bus per raggiungere la mia locanda e rinfrescarmi un pò prima di cena e film, faccio due chiacchiere con l' autista anche se la targhetta sopra la sua testa dice che non posso parlargli. Percorro il lungomare di questo golfetto tranquillo, pieno di barche e barchette attraccate come fossero auto parcheggiate lungo la strada e sono contenta di essere fuori dal centro turistico. La stanza è vecchiotta ma spaziosa e pulita, la doccia mi riporta al mondo. Ragiono sul da farsi, poi opto per una cena pre proiezione e in pochi passi mi aggiudico un tavolino al Ristorante il Gambero.
Tagliatelle gamberi, pomodorini e tartufo nero, filetto di orata ricoperto di chips di patata e pancetta, un mezzo litro di vermentino bello vivace che qua siamo in zona, e bella goduta mi appropinquo alla fermata del bus per tornare a Portovenere. Se non chè mi accorgo che il prossimo "convoglio" mi farebbe arrivare a film cominciato, perciò, ridacchiando tra me e me mi concedo di tirare fuori il pollice quando vedo le rare macchine affrontare la rotonda. Mi carica una simpatica e numerosa famiglia di palermitani in vacanza, ai quali dispenso la mia sapienza sulle modalità per raggiungere e visitare San Fruttuoso di Camogli.
Trotterello felice sul red carpet che mi porta all' auditorium sotto le stelle e già che ci sono tengo banco con la cassiera e il suo mellifluo aiutante che mi illude di possedere l' autan mentre invece mi lascerà divorare dalle zanzare. Prendo posto in prima fila, gli spettatori sono pochini, forse non raggiungiamo la ventina. A fianco a me una simpatica coppia con cui mi intrattengo aspettando che si spengano le luci.
Woody Allen non mi delude, e ancora una volta tocca il tema a lui caro dei rapporti sentimentali, pur mantenendo la sua vena umoristica e disillusa, grazie ad un apprezzabilissimo Steve Carell nei panni dello zio Phil Stern, danaroso produttore cinematografico di successo e alla sua satirica rappresentazione di una qualunque famiglia ebrea americana del Bronx degli anni 30.
Ci scambiamo impressioni con i miei vicini di posto e continuiamo a chiacchierare passeggiando pigramente per il porticciolo, mentre la luna si riflette tonda sull' acqua e i localini sono accesi di luci romantiche. Parliamo di viaggi, di vita marinara e di intraprendenza, poi prima di salutarci mi invitano a trascorrere un paio d'ore in barca l' indomani per godere delle bellezze circostanti. Accetto volentieri e pensando agli incontri fortuiti, alla generosità e alle nuove conoscenze mi chiedo se potrei essere più felice e fortunata di così. Le grazie sono avvolte dalla calma della notte, le barche ondeggiano tranquille ancorate alla terraferma, l' aria profuma di caldo e d' estate. La mia locanda è ancora sveglia ad aspettarmi, anche se credo che oltre a me ci siano ben pochi ospiti. Apro la finestra per osservare questa marina notturna che sembra un quadro a olio.

La mattina dopo mi sveglio in tempo per incontrarmi con i miei nuovi amici che mi portano a visitare i dintorni dell' isola di Palmaria, facciamo il bagno nelle calette rocciose e parliamo di noi, del mondo, dell' intraprendenza e della condivisione. Mi piacciono molto queste persone, mi piace parlare con loro, ascoltarli, mi piace la dinamica del nostro incontro, la semplicità con cui è nato e cresciuto nel giro di poco tempo e spazio.Quando mi riportano a terra è quasi l' ora del mio traghetto di rientro e nel salutarli e ringraziarli mi rendo conto che non ci siamo neanche presentati. Non conosco i loro nomi. Mi avvicino al gabbiotto dei battellieri per fare il biglietto e il cassieri mi chiede " ma non dovevi fare il giro delle isole tu?" Io imbarazzata gli racconto dello sviluppo della situazione e che l' ho fatto privatamente, allora lui mi chiede se ho ancora il biglietto del giorno prima, quello non rimborsabile nè modificabile. Glielo allungo sul banco e lui lo gira verso di se e ci appone sopra il timbro di oggi. Poi me lo ridà tra il mio stupore guardandomi con quella faccia che hanno quegli uomini che non vogliono essere ringraziati ma sanno che hanno fatto un gran bel gesto. Vorrei entrare nel baracchino e baciarlo forte, ma dietro di me c'è la fila. Sul battello tante persone da osservare lungo il tragitto.
Una ragazza argentina bellissima in viaggio con la madre, due ragazzi e una ragazza con cappelli di paglia e le gambe lunghissime, una coppia di genitori olandesi con un bambino bellissimo dalla pelle color latte, che sfida il vento lasciando ondeggiare dietro le spalle i suoi lunghissimi capelli biondi come un fiero vichingo. Dico a sua madre che sarebbe perfetto, un giorno, come musicista in una metal band, ma lei risponde che per ora ascolta solo soft music.
Anche tante persone assurde, altre sperse che sembrano non rendersi conto di dove siano.
Alla stazione ritrovo la Cinni riposata e pronta a tornare. Bonassola, Framura, dubbi atavici sulla direzione giusta da seguire mentre risalgo tra le curve e la vegetazione. Deiva, poi il Bracco finisce e riattraverso Sestri Levante, Chiavari, Rapallo. I profumi di fritture mi ricordano che non ho ancora mangiato.  A Recco mi fermo da Tossini per un pezzo di focaccia al formaggio. Sori, Bogliasco e arrivo a Nervi in tempo per cominciare il servizio. Lavorare mi sveglia dall' intontimento dei chilometri e del sole, c'è una bella atmosfera, la gente è rilassata, mangia e conversa. Verso la fine del servizio arrivano due ragazzi con accento lombardo, chiedono un tavolo ma per il momento quelli esterni sono ancora tutti occupati, perciò si accomodano dentro e ordinano una bottiglia di Vermentino, nell' attesa e speranza che qualcuno abbandoni.

Li sposto fuori e facciamo conoscenza tra una portata e uno sbarazzo. Uno è alto quasi due metri, secco secco e con la faccia gentile, l'altro è di carnagione più scura, ha gli occhi acquosi e i modi empatici. Occhi belli è un informatico, mentre il perticone è uno skipper, tra due giorni partiranno in barca a vela con altri 5 amici dal porto antico verso la Corsica, attraversando il santuario dei cetacei. Al momento degli amari mi chiedono se secondo me è un problema se dormono in spiaggia, sono partiti due giorni prima del previsto per vedere Nervi e non hanno trovato alloggi per la notte . Li invito a stare da me, senza pensare, le orecchie ascoltano la mia voce dire che un letto libero c'è. Accettano con piacere, ma non sono stupiti, e neanche io, è come se fosse normale, come se lo sapessero e come se lo sapessi anch'io. Come se l'ospitalità ricevuta in questi giorni in qualche modo dovesse essere girata ad altri, non fermare il flusso. Finito il turno li raggiungo da Felix dove approfondiamo la conoscenza, mi raccontano che si conoscono da un paio di giorni, Stefano è anche giornalista, ha imparato a portare le barche sul fiume, prima di arrivare al mare e diventare skipper. Alessandro è uno smanettone che si è creato il suo lavoro grazie alla sua grande curiosità che lo fa appassionare a 1000 progetti. Andiamo a casa e facciamo uno spuntino con pizza e una bottiglia di bianco in fresco. Trascorriamo due giorni meravigliosi, tra risate, discorsi e condivisioni. So già che mi mancheranno moltissimo quando saranno partiti, perchè nonostante sia io ad avergli dato un letto, solo loro che mi hanno accolto, coccolato, divertito. Mi mancherà Ste con i suoi racconti di eroi del fiume, di stile di vita santangiolina, con la sua sagacia e le sue trovate intelligenti.

Mi mancheranno i discorsoni in terrazzo fino alle 4 del mattino con Ale, i suoi ricordi così dolci e delicati. Stefano che mi dedica le canzoni e Ale incastrato sul sedile dietro che suona con la chitarra tutti i pezzi dei Metallica. Ste che mi abbraccia con la sua apertura "alare" di due metri e tre, più largo che lungo, dice, e che mi solleva da terra come fossi una bambina. Ale che si perde nei racconti di anatre e croste di pizza, a guardare i bimbi che tirano i sassi in mare sulla spiaggia di Boccadasse. Penso alla difficoltà dei genovesi, mi chiedo se se ne accorgano anche altri, all' anafettività, alla diffidenza, alla disabitudine ad esprimersi ed entrare in empatia con gli altri, solo perchè è bello così, perchè siamo animali di terra e acqua come dice Ste, e siamo fatti per lo scambio. Di cuori, di parole di emozioni. Perchè abbiamo capito subito che la pensavamo uguale, come dice Ale, che già sapeva come sarebbe andata.





giovedì 2 febbraio 2017

E anche stavolta siamo giunti alla fine, queste le considerazioni postume di un viaggio impegnativo #finale #lima #end #fin #peru #tiriamolesomme #ringraziamenti #sudamerica #latinamerica


Scendiamo con calma a far colazione e nell' atrio dell' hotel, le due moto argentine che tanto avevano destato la nostra curiosità all' arrivo ieri, sono pronte per partire, mi vengono in mente i diari della motocicletta mentre guardo questi due avventurieri che assicurano sacche e ricambi alle loro due ruote dai nomi mai sentiti. Un bel succo fresco di mango è quel che ci vuole per iniziare bene la giornata, oltre agli immancabili pane burro e marmellata e huevos revueltos.

Bighelloniamo fino alle 3 quando raggiungiamo la piazza per aspettare il pulmino che dovrebbe ricordarsi di raccoglierci qui, invece che ad Hidroelectrica. Nutriamo qualche dubbio quando suonano le 4, ma all' improvviso dal nulla si palesa una chica che ci conforta dicendo che Bertrand sarà li a minuti. Non si fa attendere, ci carica e si parte verso l' ultima ora di terrore. Anche questa volta sbuchiamo a Santa Maria indenni e iniziamo il lungo viaggio asfaltato verso Cusco. Nei pressi di Huyco ci rendiamo conto di quanto ci piaccia questa parte di Perù, così fertile e ricca di frutti colorati che i campesinos vendono per strada, tra campi di mais verde e vegetazione ricca.

Passiamo un villaggio affacciato sul fiume, intorno a noi montagne ammantate di nebbia, la strada le circonda, tutta a curve, mentre quando si alza, inerpicandosi sui tornanti, ci fa vedere le cime degli alberi e i palmeti. Lungo la pista i rampicanti hanno piccole bombette verdi allungate che si aprono diventano campanule viola, frutti che sbocciano, fiori rossi avviluppati come fusilli si aprono in petali rotondi e lingue di pistilli attirano gli insetti impollinatori. Sul ponte Ypal nei pressi di Sicre, un papà porta a cavalluccio una bimba addormentata con le trecce e gli stivaletti da pioggia che ballonzolano sulla sua schiena, mentre il sole comincia la sua discesa verso il tramonto.
I cagnetti di Amaybamba, tutti di piccola taglia, si spostano di malavoglia da in mezzo alla strada. Passiamo altri piccoli villaggi, la strada è un infinito balcone aggrappato alla montagna, che a tratti ci mostra la sua natura spigolosa, mentre per la maggiorparte del tempo è rivestita di verde e alberi fino alla cima. Tiriamo quasi sotto una vecchia indigena con una fascina di legna sulla schiena che attraversa la strada in curva. Cascatelle saltellanti scendono dalle rocce e invadono la carreggiata, mentre il micros ci passa dentro alzando spruzzi che lavano i vetri e chi malauguratamente ha il finestrino aperto.
Bertrand a differenza del suo predecessore guida molto piano, ma le curve non sono proprio il suo forte e questa strada è SOLO fatta di curve! All' altezza di Alfamayo sono cianotica, poi perdo i sensi perchè inizia a sorpassare al buio in curva mentre piove e c'è nebbia e io mi vedo già in fondo ad un burrone quando rinverranno tra le lamiere il mio martoriato corpo che stringe in mano questo piccolo blocknotes con annotate le mie ultime riflessioni prima dello sfracello. Puddy è in vena di patetismi e mi giura che si sacrificherà e mi farà da scudo umano per farmi salvare, come un ipotetico Di Caprio da pullman invece che da transatlantico e io, che inizio a percepire un soffocante gonfiore alle ghiandole salivari, non riesco ad apprezzare appieno la sua romantica offerta. Alle 22, quando ormai pensavamo di aver sbagliato strada, veniamo rigurgitati nella piazza di Cusco e ubriachi di nausea e stanchezza possiamo andare a dormire.
La mattina successiva mi alzo praticamente senza aver dormito con la gola ridotta ad un spiraglio da cui certo la colazione non può passare, provo a lenire la sensazione di gonfiore con mate de coca bollente e mi imbottisco di tachipirina, andiamo all' aereoporto passando sotto la statua di Pachacutec, che ci sovrasta da un cilindro di pietra e ci porge una mano come per salutarci.

La leggenda narra che suo padre Viracocha regnava a Cusco e aveva bandito il figlio dal regno perchè fedele al Dio Sole. Costretto a vagabondare oltre i confini del regno per diversi anni, tornò dal padre per avvisarlo di un imminente attacco ai suoi danni, da parte dei barbari Chanka, ma egli non volle ascoltarlo e per sicurezza, scappò a rifugiarsi nella Valle Sacra dell' Urubamba. Pachacutec, indignato dalla viltà del padre radunò un piccolo esercito in difesa del regno, ma era ben poca cosa di fronte all' orda Chanka. Il destino di Cusco pareva segnato, quando Inti, il Dio Sole non dimenticandosi di lui e della sua devozione, venne in suo aiuto tramutando tutte le pietre dei monti in guerrieri, che lo aiutarono a sconfiggere gli avversari. Vinta la guerra e spodestato il padre, Pachacutec divenne il nono Inca, fece radere al suolo l' antica capitale e ne costruì una nuova, con palazzi e templi disposti secondo una pianta prestabilita a forma di puma la cui testa era rappresentata dal tempio di Sacsayhuaman e il corpo dalla piazza principale. In onore del Dio Inti costruì il Coricancha, che oggi fa da basamento alla chiesa di Santo Domingo e diede il via ai lavori della fortezza di Ollantaytambo e  del tempio di Macchu Picchu.
Sono le 9:58 quando raggiungiamo l' aereoporto Velasco Astete di Cusco, che porta il nome del pilota peruano che sorvolò per primo le Ande. Al desk della StarPerù la signorina addetta al check-in ci invita ad imbarcarci sul volo delle 11 anticipando di due ore il nostro arrivo a Lima.  Bighelloniamo fino alle 20 per poi recarci all'ingresso del Parque della Reserva e scoprire che c'è una coda interminabile di gente, che come noi vuole assistere allo spettacolo dell' acqua. Proviamo a vedere se è una fila scorrevole o meno, anche perchè la prossima proiezione è alle 21:30 e sembra ci siano 2 km di coda! Invece magicamente in 50 minuti la sfanghiamo, nonostante Puddy sostenga che neanche a vedere Vasco ha mai visto tanta gente in fila.

Appena entrati incontriamo una fontana circolare che si può osservare anche da sotto un colonnato rialzato, dove il getto centrale si alza fino in cielo e si abbassa, poi delle luci verdi colorano degli spruzzi d' acqua pressurizzata e creano un bellissimo effetto ovattato, un' altra si estende in lunghezza ed è formata da una fila di spruzzi che cambiano colore, ruotano su se stessi, si avvitano, diventano un arcobaleno e proietteranno la storia dell'antico popolo indigeno sull' acqua, tra floride selve, i tre animali simbolo della cultura Inca: il puma, il serpente e il condor che si fondono tra loro e creano mascheroni che adornavano gli antichi palazzi e l'arrivo dei conquistadores spagnoli che distruggono e depredano avanzando a cavallo. Un' altra analogia con il Messico, quando a Campeche assistemmo alla proiezione sul palazzo del governo della storia del popolo Maya prima e dopo l' arrivo degli europei.
C'è una fontana che crea una galleria di piccoli getti arancioni sotto cui la gente passa e si fa fotografare e poi un grande spiazzo in cui si è raggruppata una marea di gente, tra bambini e adulti, sono tutti trepidanti e da fuori si percepisce l' attesa divertita dello spruzzo inaugurale che darà il via ad una danza di flutti, seguita dall' innalzarsi improvviso dei getti all' unisono lasciando tutti infracicati prima di ritirarsi fino al prossimo spruzzo.

Questo è l'ultimo, sudato spettacolo che ci ha regalato Lima, da cui tutto è partito e a da cui tutto finisce. Domani percorreremo le strade trafficate e rimbombanti di motori e clacson fino all' aereoporto Jorge Chavez, dedicato  all' aviatore peruano che per primo trasvolò le Alpi, per l' ultimo saluto al Perù, alle Ande e alla ricchezza della sua gente, che ci ha accolto da subito tra i sorrisi dei bambini e gli occhi curiosi degli anziani. In queste tre settimane ci siamo seduti sugli autobus con le Cholitas, facendo spazio ai loro fagotti e abbiamo condiviso i sedili con uomini dalle mani talmente stanche da non chiudersi più, che recuperano sonno sui micros, con i visi bruciati dal sole e dall' aria che qui secca e taglia.
Abbiamo guardato i volti dei bambini di Puno che hanno le guance viola nonostante i cappellini per proteggerli dal sole di giorno e dal vento di notte. Abbiamo mangiato alla tavola di ristoranti improvvisati, dove le cucine sono minimali e le posate sono cave da un lato, dove i tovaglioli mancano sempre e il pane non è contemplato, ma invece di far scarpetta ci si lecca le dita. Abbiamo sgranocchiato banane fritte, popcorn, choclos e anticuchos camminando per le strade. Abbiamo bevuto litri di Incacola rimpiangendo il momento in cui non la avremmo più trovata.
Abbiamo assaggiato il Cuy chactado tra mille riserve, perchè da noi i toponi non fanno gola e non ce la siamo sentita di andare fino in fondo e cercare l' ossicino a forma di volpe nella testa, per poi infilarlo nel bicchiere per decretare chi avrebbe offerto la cena. Abbiamo passeggiato per tutte le Plazas des Armas che abbiamo incontrato, a Lima, Arequipa, Puno, Cusco e Santa Teresa. Siamo saliti su cerros, mirador e montagne per ammirare il panorama e le città sottostanti, i condor o le cascate nascoste tra la nebbia, abbiamo attraversato deserti di sabbia, di sale, di pietra e cespugli spinosi. Abbiamo rivissuto la magia del Natale fino al 15 di Gennaio, tra renne, alberi e canzoni di feliz navidad in ogni piazza che non si rassegnava al passaggio al nuovo anno, passeggiato per antiche corti spagnole e ancor più antiche strade Inca, che nascondono ancor più antiche signore Peruane costrette a commerciare da tutta la vita e magari a dormire in strada. Abbiamo incontrato piccoli uomini anziani che trascinavano e spingevano carretti più grandi di loro, sollevavano pesi da spezzare la schiena e nonostante ciò non ci negavano un sorriso. Abbiamo guardato bambini rotolare giù dai prati, sdraiarsi sui marciapiedi, giocare con niente senza mai fare capricci, mangiare per strada, dormire per strada, giocare per strada.

Abbiamo attraversato la frontiera con la Bolivia per 2 volte (+4 per disguidi vari) in 5 giorni, abbiamo dormito e viaggiato su bus, micros, combi, taxi, bus-cama e strane apette truccate. Siamo saliti e scesi di quota di continuo tra una città e l' altra solo per cercare di vedere il più possibile di quello che questa magica terra ha da mostrare, prendendo pillole, bevendo infusi di foglie di coca e passando nottate infernali. Ci siamo seduti nelle chiese, a volte anche solo per riposare le gambe o stare un pò al fresco, abbiamo ascoltato nenie, canzoni eucaristiche, rock religioso ed esorcismi radiofonici, siamo rimasti imprigionati su isole flottanti, i nostri scarponi hanno camminato lungo i binari, su spiagge rosse, sui giunchi fradici, sulle ande, sulla più grande distesa di sale al mondo, su prati tra pietre che raccontano storie di civiltà perdute e i nostri occhi hanno visto lagune rosse, bianche e verdi con fenicotteri andini, cileni e jamesi.
 Siamo schiattati di caldo troppo vestiti, abbiamo preso la grandine a chicchi grandi come nocciole, la pioggia battente della selva, il sole cocente delle altitudini estreme, l' aria rarefatta dei 5000 metri. Senza dubbio questo è stato il viaggio più impegnativo e faticoso della nostra vita, finora, forse ce ne saranno altri più duri, forse invece no, quel che è certo è che come ogni esperienza rimarrà unica ed irripetibile, per come l' abbiamo vissuta e per quello che ci ha lasciato, per ora non possiamo ancora dirlo, l'elaborazione di un' esperienza ha bisogno di tempo. Quella che invece è immediata è la consapevolezza della fortuna che abbiamo noi ad averla potuta fare quest' esperienza, noi che viaggiare dovrebbe aprirci la mente, finchè incontriamo gente che non si è mai spostata dal posto in cui è nata ma ha meno preconcetti di noi che il mondo lo possiamo girare.

martedì 24 gennaio 2017

..y al final #machupicchu #maravilladelmundo #peru #andes #inca #ruines #huaynapicchu #santateresa #aguascalientes #piscinas #lomosaltado


Durante la notte la pioggia è talmente forte che Puddy, forse credendo che per allagare la stanza abbia azionato la doccia si sveglia con la faccia impastata chiedendomi cosa sto facendo, appena anche lui realizza che il nubifragio è fuori e non dentro la camera del graziosissimo Machu Picchu Packers, mi rivolge uno sguardo che si traduce in: "Minchia che sfiga, Machu Picchu sotto l' acqua no!"
Riprendiamo sonno rassegnati, inutile fare la levataccia alle 5 del mattino, meglio prendersela comoda. Ci svegliamo quindi con tutta calma alle 7.30, che tanto da quando siamo in Perù è una costante e scendiamo a far colazione. Al botteghino per prendere il ticket del bus per salire al sito (30 minuti con bus per 24 USDollari andata e ritorno a persona altrimenti 2h a piedi percorrendo la stessa strada dei bus) non c'è nessuno perciò in un attimo siamo imbarcati e partiamo. Tutto molto comodo ma troppa burocrazia, sono necessari i passaporti per comprare i tickets, poi vengono timbrati dal primo controllore e poi scannerizzati dal secondo. Facciamo la strada percorsa ieri sotto la pioggia, poi invece di seguire a destra per i binari prendiamo a sinistra su un ponte di ferro e iniziamo a inerpicarci su per la montagna facendo una strada sterrata tutta a tornanti.
 Sul lato sinistro si vedono il fiume in basso sotto di noi, il campeggio degli scoppiati che stanotte si saranno lavati per bene e tutto un corollario di imponenti montagne solitarie. Finalmente si scende e nel frattempo il cielo si apre, inizia a fare il solito caldo infernale e come al solito noi siamo troppo vestiti. In questo viaggio non c'è stata una volta che abbiamo imbroccato l' abbigliamento giusto, si può dire che nonostante le previsioni di temmperature rigide e piogge torrenziali, avremmo potuto tranquillamente partire con tutto un' altro bagaglio! Comunque, si sa che se l' avessimo fatto saremmo certamente morti di freddo.
Entriamo e dopo un breve sentiero ci troviamo davanti ad una serie di terrazzamenti agricoli, un tempo dedicati alla coltura del mais e delle patate. Una piccola abitazione con tetto di paglia ospita un lama che incurante del nostro arrivo continua a rifocillarsi nel prato, scendiamo verso il settore urbano per vedere ai nostri piedi la cittadella in tutto il suo splendore, la sella rocciosa che domina un' ansa del rio Urubamba che la ospita e Huayna Picchu, la roccia sacra alle sue spalle. Lo spettacolo toglie il fiato, più dell' altitudine che è solo 2500mt e a noi ormai ci fa il solletico, il sole illumina le costruzioni e il verde delle terrazze che degradano geometriche verso il fondovalle. Si dice che questo fosse l' ultimo avamposto Inca delle Ande, il punto di partenza per addentrarsi nella foresta, ma la teoria che si trattasse di un santuario nascosto, dimora delle vergini del sole pare prendere piede, soprattutto in base allo studio effettuato sui corpi ritrovati nel luogo che risultano per l' 80% donne.
Ci aggiriamo per le abitazioni incantati da tanta perfezione, tocchiamo ogni pietra per sentire la potenza dei secoli, ogni tanto vorrei essere come il protagonista di quel telefilm di cui non ricordo il nome, che toccava gli oggetti e aveva un susseguirsi di visioni che gli mostravano episodi accaduti nelle sue vicinanze, immagino di vedere come si svolge la vita nella cittadella come un invisibile spettatore, l'arrivo dei conquistadores, le lotte, le fughe, l' abbandono, la selva che ricopre tutto sotto una spessa coltre verde e poi il ritrovamento, seguindo le mitiche leggende della città perduta degli Inca.
E' l' ora di andare, la nostra camminata lungo i binari per tornare ad Hidroelectrica e poi sfidare la morte lungo i dirupi fino a Santa Teresa in pulmino non può attendere oltre. Ci facciamo lasciare appena dopo il ponte di ferro e dopo la foto di rito sotto il cartello che indica Machu Picchu come una delle 7 meraviglie del mondo moderno, percorriamo la scala che ci riporta ai binari, stavolta il pericolo pioggia pare scongiurato, e siccome abbiamo tempo ci fermiamo a mangiare da Dona Angelica a circa metà strada lungo i binari, un piccolo e grazioso campsite con sala da pranzo, dove in cucina due signore anziane preparano piatti tipici per i passanti come noi.
Quando arriviamo ad Hidroelectrica c'è il solito delirio di pulmini e taxi, prendiamo un combi al prezzo di 5 soles a testa e in mezz'ora siamo a destinazione senza intoppi. Il nostro hotel per la notte sembra fin troppo grande per un piccolo villaggio che di fatto è ancora in via di definizione. Probabilmente siamo gli unici ospiti e veniamo alloggiati al terzo piano, quello panoramico. Il pensiero che mi pervade, dopo aver dormito per due notti in una camera vista strada a Cusco, dove il traffico non cessa mai, aver affrontato levatacce per avvistare condor al Colca, leoni marini alle Isole Ballestas, intrapreso viaggi notturni in bus cama, aver raggiunto destinazioni ad orari improbabili, è che finalmente questa volta, ci sveglieremo naturalmente nella quiete di un piccolo pueblo. La signora ci consiglia di andare alle piscine di acqua calda distanti solo pochi minuti in combi, così finalmente tiriamo fuori i costumi e gli asciugamani pronti per immergerci nel tepore delle vasche di pietra dove già sguazzano famiglie con bambini festanti. Dopo un paio d'ore torniamo al pueblo e mi sovviene di non aver ancora stampato le carte di imbarco per il nostro volo interno del giorno seguente da Cusco a Lima.
L'indomani arriveremo troppo tardi per andare a cercare un internet point e la mattina dopo essendo Domenica forse saranno chiusi, inoltre  la Ugly Betty dell' ostello di Cusco mi ha già detto che non hanno imprimidora, perciò l'unica alternativa è l' ufficio del turismo qui a Santa Teresa, ma visto il numero di avventori quando arriviamo alle 6 è già chiuso. Ed ecco che si ripresenta la peruanità che tanto ci fa sentire piccoli: Aguila de acero, il nostro tassista che ci ha raccolto fuori dalle piscine varca la porta del retrostante ufficio del municipio, si fa dare il numero e fa tornare allo sportello l' addetto, poi un signore molto gentile ci fa accomodare alla sua scrivania tra scaffali pieni di faldoni riguardanti le opere di costruzione in atto e ci lascia con il suo pc, rispondendo ai nostri ringraziamenti con ospitalità e calore, ci dice che sono una piccola comunità ed è loro dovere mettersi a nostra disposizione, proviamo a pagare il disturbo ma non c'è verso.
Anche stavolta la fortuna è stata con noi, nel momento giusto, come quando a La Paz abbiamo incontrato Juan che ci ha caricato sul suo taxi per portarci all' agenzia di cambio quando nessuno sembrava volerci dare una mano o quando in dubbio su a chi affidarci per il tour di 3 giorni al Salar, dopo aver letto di esperienze terribili, ci è capitato in mano l' opuscolo dell' agenzia Perla de Bolivia. Detto questo, ci sediamo all' esterno di un ristorantino che affaccia, come tutti gli altri sulla strada principale di Santa Teresa, che porta alla piazza, l'unica, anche lei, come tutte le altre di ogni città visitata, chiamata Plaza des Armas. Ordino il lomo saltado più buono di queste tre settimane, l'ultimo prima del rientro. A poco a poco vediamo sopraggiungere orde di gente in tenuta da bagno di ritorno dalle fonti che si riversano nei ristoranti, torniamo in albergo ignari che di li a due ore pure il nostro silenzioso albergo fagociterà un numero imprecisato ma molto rumoroso di famiglie che cercheranno riparo dalla pioggia per la notte, tra gran spostamenti di letti, conversazioni a volumi palasportiani e passi titanici lungo le scale. E vabbè, notte più notte meno.

sabato 21 gennaio 2017

Viaggio dimagrante verso Machu Picchu, il modo più economico per raggiungere il sito meraviglia del mondo e perdere peso #machupicchu #peru #maravilladelmundo #inca #urubamba #puente #vilcanota #selva #hidroelectrica #santateresa #camino #aguascalientes #standbyme


Il primo passo di avvicinamento a Machu Picchu si presenta sotto forma di un bus micro da 15 posti di cui occupiamo gli ultimi due dei quattro in fondo. Partiamo subito balzellando lontano da Cusco, scendendo lungo sgangherati sobborghi, caratterizzati dalle solite bancarelle di bebidas, paciughi e comida rapida. Il nostro autista si dimostra subito molto sprintoso e da prova di coglionaggine ripetuta azzardando folli sorpassi in curva, in salita o comunque quando non pare essercene necessità, visto che in giro ci sono prevalentemente pulmini turistici come il nostro diretti a Machu Picchu. Ecco, in realtà raggiungere la meraviglia del mondo è un fatto di soldi; ci sono solo due possibilità, treno o bus. Intanto, il pueblo da cui si accede alla cittadella di Machu Picchu di chiama Aguas Calientes ed è stato creato evidentemente per accogliere le genti di tutto il mondo che desiderano visitare il grande e inaccessibile sito.
La prima possibilità, la più comoda ma dispendiosa, con la compagnia Perurail che peraltro mi hanno detto essere cilena e neanche peruana, direttamente da Cusco per un prezzo esorbitante che varia a seconda dell' orario, della tipologia (il Bingham, il più caro porta il nome dello scopritore di MachuPicchu, il Vistadome la via di mezzo, ma comunque inavvicinabile e l' expedition il più economico) e se si acquista solo l' andata o anche il ritorno. In alternativa si può prendere da Cusco un combi (pulmino) fino a Ollantaytambo  ovvero la città di Ollanta, dove Manco Inca cercò di raggruppare la resistenza indigena dopo la disfatta contro gli spagnoli per la liberazione di Cusco, per la minima cifra di 10 soles (circa 3€) e poi il treno Perurail che arriva direttamente ad Aguas Calientes nel giro di un paio d'ore. La più accessibile delle tariffe, che sempre variano a seconda dei già citati requisiti, è 64 USDollari a persona per la sola andata! Volendo comprare solo la tratta inversa, quindi da Aguas Calientes a Ollantaytambo, il prezzo lievita sopra i 95 USDollari. Ovviamente i prezzi indicati sono quelli del treno expedition, il più economico dei tre. La seconda, l' alternativa più economica a cui noi due pidocchiosi, eticamente incorruttibili a proposito di sfruttamento della cultura aderiamo, è il pulmino da Cusco ad Hidroelectrica, seguita da una camminata di circa 2 ore lungo i binari del treno fino a raggiungere il pueblo di Aguas Calientes per una spesa di 75 soles (circa 20 €) a testa.
La scelta potrebbe sembrare ottimale, se si esclude l'ultimo tratto accidentato dal pueblo di Santa Maria alla stazione di Hidroelectrica, circa due ore di strada sterrata a strapiombo sulle acque del fiume Urubamba, che qui ha già cambiato nome in Vilcanota, che scorre impetuoso e incazzato sotto di noi, mentre l'autista come un pazzo si lancia alzando nuvole di polvere sui sassi sconnessi, puntando alle curve come un kamikaze al nemico, balliamo sui sedili come tarantolati mentre siamo percorsi dal dubbio di far notare o meno che stiamo procedendo un pò troppo allegri. Per aumentare la percentuale di pericolosità la strada, se così si può chiamare, è anche a doppio senso, ed è un attimo dover fare manovre secche per evitare o lasciare spazio ad altri pulmini che sopraggiugono dalla direzione opposta. Mi chiedo come sarà quando toccherà a noi tenere la destra a lato strapiombo. Ma l'autista impavido punta alla prossima curva come un foxhound alla volpe nella celebre caccia inglese, la strada si allarga un pochino e io mi giro verso Puddy dicendo "eheh adesso ci sta un bel sorpasso, ehehe", torno a guardare la strada e mi pietrifico in una smorfia sudata quando veramente il folle si lancia al sorpasso del pulmino davanti.
Non apro più bocca, solo nella mia testa stò piagnucolando e sento la voce dei miei pensieri che dice " io però a Machu Picchu almeno da viva ci vorrei arrivaaaaare".Finalmente si intravede il villaggio di Santa Teresa, dove ci fermiamo per rimettere in posizione le budella, prima dell' ultima mezz'ora di bestemmie a denti stretti.  Ad Hidroelectrica volendo c'è un piccolo trenino Perurail che per 31 USDollari, ti accoglie, te e le tue gambe molle e cuore infartato dalle precedenti due ore di panico e ti risparmia la camminata lungo i binari fino al pueblo di Aguas Caliente, ma noi non ci facciamo tentare e procediamo spediti verso la montagna.
La camminata si rivela piacevole e divertente. I binari corrono in mezzo alle rocce e alla selva dove si sentono i rumori e i suoni degli uccelli e si ha una meravigliosa visuale a 360° delle imponenti montagne ammantate di verde e nebbia. Ci sentiamo pionieri verso magiche scoperte, camminiamo sulle traversine quando le pietre ci danno noia e ci fanno slittare gli scarponi, attraversiamo un pò a sinistra quando si intravede un pò di terra battuta, un pò a destra a guardare il fiume che scorre impetuoso. Attraversiamo un bel ponte rosso di ferro, le cui pedane adibite al nostro passaggio ondeggiano e ballano sotto i nostri piedi come se fossero di lamierino sottilissimo.
Mi ricorda tanto il ponte di "Stand by me, ricordo di un' estate", il mitico film di Rob Reyner tratto dal libro di Stephen King , in cui quattro ragazzini nell' estate del 1959 lasciavano la loro piccola cittadina dell' Oregon per andare alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo sparito qualche giorno prima, passando attraverso pozze piene di sanguisughe, lotte e crescite adolescenziali e poesia nel caldo torrido panorama del nord ovest americano. Non ci sono cartelli ad indicare quanta strada ancora manca, non ci resta che procedere avanti fino a quando, ovviamente per non farci mancare niente inizia a piovere. Tiriamo fuori il nostro ombrellino sgangherato e ci pigiamo spalla a spalla finchè una pittura rupestre indica che dobbiamo lasciare i binari per dirigerci verso il pueblo.
 La strada però è fanghiglia e pozzanghere e lo scazzo di Puddy impregna l' aria. Insulta le giapponesi per come parlano o perchè hanno lo stesso poncho, insulta i fricchettoni che vanno a passare la notte al campeggio, i brasiliani che si sono portati chitarre e mini amplificatori per deturparci il sonno. Ci viene anche il dubio di essere sulla strada giusta, finchè si intravedono degli edifici e finalmente raggiungiamo il villaggio. Il nostro ostello è sempre il più difficile da trovare, ma alla fine siamo all' asciutto (non al caldo perchè come già detto in Perù anche a 5000 mt non hanno il riscaldamento) e in una bella camera confortevole. Piove fortissimo, temiamo per la nostra visita di domani al sito. Nella piazza principale uno schermo proietta il match Argentina Perù, qualche scoppiato europeo per pagarsi il viaggio improvvisa brevi sessions musicali di ristorante in ristorante, proponendo grandi classici della musica, il campetto di pallone lungo la calle dove sorge il nostro ostello è pieno di gente e maglie colorate e porte dove si svolgono all' unisono decine di partite diverse. La stanchezza si fa sentire, domani si sale a Machu.