mercoledì 31 ottobre 2018

Il monastero di Foguangshang


19/10/2018
Oggi delle tante attrazioni di Kaoshiung non me ne piace una: vado al molo trasformato in distretto artistico, con i capannoni adibiti a esposizioni di arte contemporanea, ma non mi va di pagare il biglietto, per strada fa caldo e sono insofferente. Prendo un trenino a scrocco perchè ho ancora il daily pass della metro e per me, questa, a tutti gli effetti è una metro, perciò mi rifiuto di fare il biglietto. Il trenino non è sotterraneo, quindi gira intorno alla zona portuale che si sta trasformando in un museo avveniristico a cielo aperto e mi permette di osservare le immense strutture in lavorazione. 
Faccio qualche foto ma non sono soddisfatta, così decido di andare al Monastero di Foguangshan, a 25 km dalla citta.


 Mi accorgo da subito che è più una cittadella che un luogo di culto. Il primo settore comprende una salita cosparsa da centinaia di piccoli Buddha dorati, tutti in piedi che con la mano destra stringono un lungo scettro e tengono la sinistra avanti con le dita rivolte verso il cielo, il secondo settore è un terrazzamento dove i piccoli Buddha tengono la mano alzata col palmo rivolto verso lo spettatore e la sinistra in basso con il palmo verso l’alto, nel gesto di ricevere.


 In fondo alla terrazza, il Grande Buddha dorato, dall’alto dei suoi 36 metri, sovrasta tutti gli altri, col suo sguardo gaudente e pacifico, anch’egli con la sinistra rivolta verso il basso mostrando il palmo e la destra in alto verso chi lo guarda. 
Cesare è in visibilio da selfie.



Mi sposto sul lato destro della statua e percorro una strada fiancheggiata da diverse statue di piccoli bonzi di pietra,  ognuno impegnato in una pratica o attività diversa, oppure che mostra una sua singolare caratteristica. Trovo quello che mi si addice di più, con il fagotto sulle spalle da viaggiatore. Intanto ho raggiunto un grande tempio a due piani con le tipiche colonne rosse del porticato. Al suo interno nasconde tre grandi statue in bronzo di Buddha alte 8 metri e 14.800 ( le ha contate Cesare ) statuette dello stesso soggetto in diverse pose, lungo tutte le pareti.


Nel tempio si entra dopo essersi tolti le scarpe, il pavimento è costantemente lucidato da un’inserviente dedita solo a questo, mentre le monache, che sono identiche nel vestiario e nella testa rasata ai monaci, si occupano di offrire colorati fiori di loto di plastica a chi vuole donarli in offerta ai Buddha.

Dietro al tempio una scala porta a degli edifici con statue incastonate e un’apertura tra i palazzi, porta ad un sentiero tra i giardini. Sono molto curati e ospitano tantissime statue, di bonzi, di pagode e animali. 


Supero un’altro grande edificio, forse amministrativo, forse una specie di campus, finché la strada mi porta verso una visuale mozzafiato: sulla sinistra, in fondo ad un lungo corridoio a cielo aperto, tra pagode imponenti e motivi geometrici, un’ancor più grande Buddha dorato, seduto e sorridente ai vertici di quella che sembra un’elaborata piramide. 


Per paura che la strada che percorro fiancheggi solo l’enorme complesso e mi porti fuori mano (ho il tempo contato per arrivare a prendere l’ultimo bus del rientro a Kaoshiung), prendo una deviazione e mi ritrovo nel lungo corridoio a cielo aperto con tutti gli altri visitatori. Il flusso mi conduce dentro quello che credo sia il passaggio obbligato per sbucare al cospetto del Big Buddha, ma invece mi ritrovo a togliermi le scarpe con decine di orientali, per scendere ripidi scalini, dove la gente si accalca per accaparrarsi un fiore di loto da offrire al Buddha di Giada, sdraiato e pure molto piccolo, in confronto a quello che voglio vedere io! 


Driblo le monache, tiro dritta davanti al dormiente con le mani  in preghiera e mi arrampico sulla scala opposta per recuperare le scarpe velocemente, chi mi ha dato il benvenuto pochi secondi fa, mi da l’arrivederci un po’ interdetto e io proseguo verso l’esterno a capo chino. 


Trovo la scala che mi porta sulla piramide, il Grande Buddha mi sorride dalla sua piattaforma alta più di 100 metri, quando egli ne misura almeno 50, dentro il suo memoriale pare sia conservato un dente di Buddha, ma non ho il tempo di andare a controllare. 


Torno a Kaoshiung, in tempo per andare a fare mambassa di cibi variegati al night market di Sinsing, dove assaggio un involtino di carne di maiale e verdure cotto sulla piastra e mezza aragosta all’aglio grigliata.


 Torno in ostello satolla e soddisfatta, domani si parte per il mare!

martedì 30 ottobre 2018

Da Chiayi a Kaoshiung, le pagode, il lago del loto e un mare di ravioli



18/10/2018
La stazione del treno di Chiayi dista una 15 di minuti di cammino dal mio ostello, la strada è semplice dice Enya del La Wa Hostel: dritta fino alla piazza circolare, con al centro il lanciatore di baseball girevole, ricordo di quando la città si appassionó allo sport grazie ai Giapponesi (voi lo sapevate che nel paese del sol levante giocano a baseball?!), ancora dritta e me la trovo davanti. Da lì prendo il treno per Kaoshiung, seconda città di Taiwan e oggi vivace metropoli artistica e ricca di parchi.


Finalmente arrivata sulla costa, mi aspetto di iniziare a sostituire i frutti di mare al maiale che mi ha decisamente stufato. Il viaggio è super piacevole e veloce, in poco più di un’ora sono alla stazione centrale da cui mi sposto in metro verso il Fly inn hostel, nuovo, pulito e centrale. Anche qui lascio le scarpe nel mio cubicolo e vado in ciabatte di gomma.


Esco di nuovo e con il treno locale raggiungo il quartiere Zuoying per vedere il Lago del Loto. Piove, perciò mi nascondo un po’ sotto gli alberi, mentre fotografo le pagode della tigre e del drago, che mi appaiono davanti in tutta la loro maestosità. Con i colori sgargianti che hanno possono risultare pacchiane, cinesate, come siamo abituati a chiamare le cose kitch, ma hanno il loro fascino e sono piene di dettagli e di cura.
La pioggia aumenta e corro dentro il Tempio Ciji, di cui le pagode sono l’estensione dal 1965, salvo poi diventare la maggiore attrazione di Kaoshiung.


Il Tempio comunque è molto bello, sui 6 portali sono incastonate le statue a grandezza umana di 12 diverse divinità, tra maschi e femmine e vorrei che qualcuno parlasse la mia lingua per spiegarmi le differenze tra loro e cosa simboleggiano gli oggetti che portano in mano. Come altrove, anche qui, davanti all’altare, ci sono i bastoni di legno, con impressi i numeri, da estrarre dal lungo vaso di rame ossidato e gli spicchi di legno da lanciare a terra, per far avverare i propri desideri. Inoltre, c’è sempre un campanaccio di legno, sdraiato su un cuscino, il tamburo appeso a sinistra e la campana a destra. Finalmente spiove e sono pronta per percorrere il ponte a zig zag che mi conduce alla bocca del drago, da cui devo entrare per invocare la fortuna. Le sue fauci mi inglobano e lungo le pareti del suo stomaco imparo la storia in immagini di un popolo oppresso, conquistato con la violenza, sottomesso.


Quando esco, dal fianco del drago, benché tutti dicano dal “chiulo”, entro nella sua pagoda di 7 piani e inizio a salire la scala a chiocciola. Ogni terrazza è una meraviglia, ci si affaccia sul lago dove si catturano bellissimi scorci degli altri Templi vicini, statue e pagode. 


Entro nella pancia della tigre ed ecco che centinaia di divinità, ognuna a cavallo di un diverso animale e con in dotazione un oggetto tipico, liberano il popolo oppresso e scacciano il tiranno. La tigre mi lascia uscire dalle sue fauci e posso camminare ammirata fino alla statua di Guanyin in groppa ad un colorato e gigantesco drago baffuto. 



Oltre arrivo attraverso un lungo ponte sull’acqua, alla pagoda rossa di Wuli, dove sciami di zanzare tentano di sbranare la mia corazza repellente. 


Adesso che è calata la luce il lago risplende di luci e riflessi sull’acqua, dal tempio arrivano i richiami del tamburo, mi avvio verso il night market per procacciarmi il cibo, poi mi viene in mente che la ragazza dell’ ostello mi ha scritto su un foglio l’indirizzo di un locale tipico dove assaggiare la specialità del luogo: quelli che da noi sono i ravioli al vapore hanno diversi nomi, diverse forme e diversi ripieni e questo locale ha un laboratorio a vista che in tempo reale repara le migliaia di dumpling, wanton, xiaolobang che vengono ordinati. Quando prenoto il mio turno ho circa mezz’ora di attesa e sono il numero 8155.


Mi danno intanto il vasto menù tra cui scegliere, per portarmi avanti e senza accorgermene è già arrivato il mio turno. Il ristorante è grande e rumoroso, ma per fortuna mi sistemano in un posto tranquillo, il servizio è elegante e professionale. 


Come in tutti i locali, anche qui il tè è omaggio della casa e i numerosi camerieri si aggirano tra i tavoli con grandi teiere, che versano da lontano, non lasciandoti mai assetato. Assaggio un po’ di tutto e concludo con due dolcetti ripieni di caldo cioccolato. 


Oggi è stata una bellissima giornata e soddisfatta posso tornare al mio loculo senza finestra.



lunedì 29 ottobre 2018

La Storia Infinita dell' infinito viaggio per Alishan..ma alla fine il mare di nuvole!


16-17/10/2018
Ci sono solo due autobus che collegano il lago del sole e della luna con la foresta di Alishan, uno alle 8 e l’altro alle 9 del mattino, siccome ieri ero troppo stanca dopo i 33 km di pedalata, mi sono scordata di fermarmi al visitor center e comprare il biglietto, perciò per avere più chance mi sveglio alle 7 per conquistare un posto alla fermata del bus. Ovviamente arrivo con largo anticipo e anche se il bus è molto piccolo rimangono alcuni posti vuoti. 
Mi godo il viaggio sotto il sole, mentre piano piano cominciamo a salire di quota e ad addentrarci nella foresta. Un macaco sulla strada scappa rapido tra gli alberi vedendoci arrivare. Alle 10:30 siamo ad Alishan. Scopro con sgomento che la prima e ultima coincidenza per Fenqihu è alle 14:10! Non ci credo che devo aspettare così tanto. Provo a comunicare con le inservienti del 7-Eleven che ospita la stazione bus, ma non parlano inglese. Con l’aiuto di Google translate riesco a chiedere di poter contattare il mio hotel, ma all’altro capo rispondono solo in cinese, perciò sono spacciata. Ora c’è da spiegare perché non ho optato per il pernottamento ad Alishan, visto che è la porta per molte escursioni nella foresta e per andare a vedere l’alba sul picco del Zhushan: le sistemazioni sono molto costose e questo potrebbe non essere un problema per una notte, il fatto è che pare, dalle recensioni dei viaggiatori, che siano particolarmente sporche e il personale sgradevole. Io preferisco esperienze più piacevoli da ricordare, e immagino che se l’attrazione principale del luogo è vedere l’alba sul mare di nuvole, ci sarà sicuramente il modo per farlo anche alloggiando fuori da Alishan town. Supposizione sbagliata! Ma lo scoprirò solo arrivata a Fenqihu. Con lentezza si fanno le 14:10 e il bus verde, guidato da un taiwanese con tutte le unghie lunghissime ad esclusione dei pollici, parte verso Fenqihu. Mastica di continuo noci di betel, un seme di palma che viene avvolto nella sua foglia e spruzzato di idrossido di calcio. La bocca si macchia di rosso, i denti si scuriscono e procura il cancro a bocca e gola (Taiwan ha il primato in Asia grazie al Betel). Eppure è un must tra autisti, tassisti e uomini in genere. Dopo un’ora abbondante arriviamo a destinazione, il che mi fa già presagire che sarà dura vedere l’alba. Mi informo subito alla stazione del trenino della la foresta che porta ad Alishan, ma la prima corsa è alle 9 ( il sole sorge alle 6:15!), chiedo se c’è un bus, ma il primo è alle 11:30.. sono basita. Posso in alternativa prendere un taxi per 1500 TWD..il bus mi è costato 98! 
Inoltre poi devo pagare la tassa di ingresso al parco 300TWD e il biglietto del Trenino dell’alba (non ho neanche voluto sapere il prezzo). Per fortuna la vecchiuccia host del mio hotel è proprio carina e dolce. 




Con il suo google translate ce la caviamo alla grande, mi fa lo sconto, mi sistema in una stanza con due letti matrimoniali attaccati, quindi ho un enorme letto in cui rotolarmi 4 volte prima di cadere a terra o sbattere contro il muro!



Cerco sulla mia guida un’alternativa perché non mi rassegno a non vedere il mare di nuvole, chiedo alla ragazza che vende cibi inscatolati sotto il 7-Eleven (l’unica che parla inglese) e alla fine decido il mio programma per l’indomani. Mi alzerò dopo l’alba e percorrerò i 4 km che mi separano dal Trail del Monte Datong (1956 mt.), li vedrò comunque il mare di nuvole, anche se da più distante! In realtà poi dei 4 km percorrerò circa 500mt. perché facendo l’autostop arriveró comodamente all’imbocco del sentiero, mi cospargerò di repellente anti zanzare e mi inerpicherò fino alla cima, con il mio passo svelto e la paura che le nuvole di siamo già diradate arriverò a destinazione in 47 minuti; il sole splende, la giornata è tersa, il mare di nuvole è ancora la che aspetta! Lo spettacolo è fantastico!



 E sono qui da sola ad osservarlo dalla foresta, con il silenzio rotto solo dallo strano verso di un uccello nascosto tra le fronde. Fa un verso continuo e stridulo, come un fischio strozzato, un ultrasuono che trapana il cervello. Gli alberi hanno lunghe radici affioranti che pervadono il sentiero, in alcuni casi facilitano la scalata fungendo da gradini, in altri la rendono difficoltosa perche sono ricoperte di muschio e mi fanno scivolare. 



Cambio sentiero, cammino circondata da giganti bambù che arrivano al cielo, qui gli uccelli trapana cervello non ci sono.




 Un bambù inizia a gorgheggiare, sembra che qualcosa si stia abbeverando da un tronco, resto immobile, Orso, cervo Sika, macaco taiwanese..mi allontano senza scoprirlo. Torno in hotel, mi lavo, mi cambio e aspetto l’autobus delle 15:10 per Chiayi, sosta pernottamento prima di ripartire l’indomani per Kaoshiung. La strada lungo la foresta è ancora splendida, appena iniziamo a scendere da Fenqihu le colline si riempiono di piante di tè; siepi, ordinate e perfette lungo le curve della statale, digradanti come i gradoni di un’arena o un vecchio teatro greco. Fantocci colorati proteggono le foglioline da assalti aerei. Un lungo ponte sospeso, come quelli pericolanti che si vedono sempre nei film di avventura in oriente, unisce le due sponde tra gli alberi.
La stanchezza si fa strada a colpi di fitte tra collo e tempie..desidero solo arrivare in ostello e buttarmi sul letto per riaprire gli occhi l’indomani senza il suono della sveglia.

domenica 28 ottobre 2018

Da Taichung al Lago del Sole e della Luna attraverso le campagne



14-15/10/2018 
Un’altra giornata all’insegna del sole e delle temperature estive mi mette il buonumore lasciando Taichung. La moderna e trafficata stazione mi attende con il suo treno locale per Ershui, da cui parte una delle quattro linee a scartamento ridotto di Taiwan. 



Il convoglio pare studiato per i bambini, infatti le carrozze colorate, che presto si riempiranno di famigliole in gita, è tutta colorata con vagoni blu e arancioni e decorata con disegni di robottini. Lasciando la cittadina di Ershui il trenino sferraglia attraverso una tranquilla campagna, lasciandosi alle spalle orti coltivati di strane piante grasse con frutti violacei (pitaya) e acquitrini. 


Le pozze sono gremite di eleganti uccelli bianchi. Passiamo Jjji, zona del l’epicentro del già nominato terremoto 921, Shuili e approda a Checheng, una graziosa stazione in legno, opera dei giapponesi, prima che venisse interamente distrutta insieme all’intero villaggio dal terremoto. Aspetto l’autobus per Shuishe, il villaggio che ospita il lago del Sole e della Luna, il maggior bacino d’acqua dolce del paese, che deve il suo nome alla sua singolare forma, con la parte principale, circolare, paragonata al Sole e il braccio occidentale, più stretto, a una mezzaluna. 


Scopro mio malgrado che nonostante sia una zona popolare, i pochi ristoranti chiudono molto presto, perciò per la prima sera mi toccherà un pasto liofilizzato acquistato all’ immancabile 7-Eleven. La mattina, col sole, esco ad affittare la mia bicicletta per percorrere tutti i 33 km del circuito lungo il lago..anche se scoprirò che non mancheranno le salite e le deviazioni sulla strada asfaltata. La prima tappa, conquistata faticosamente per aver voluto deviare il percorso, mi costerà 300 gradini bici in spalla e diverse bestemmie. Ma l’intera ora spesa a girovagare nell’immenso Tempio di We wu, mi ripagherà dello sforzo. 


La vista sul lago dai tetti sempre più alti e colorati è impagabile. Come anche i portali decorati con minuziosi rilievi lungo la collina. 



Rimonto in sella sotto il sole cocente di mezzogiorno e raggiungo il villaggio aborigeno di Itashao per rifocillarmi di tipicità locali. Dopo aver lasciato sull’asfalto il primo polmone, arrivo ai piedi della Pagoda Cihen, dove mi aspettano 570 gradini e il simpatico cagnetto Mimì. 


Dall’ alto della pagoda si gode di una stupenda vista sul Lago e della minuscola isola di Lalu, luogo sacro degli aborigeni Thao, che la considerano residenza degli spiriti dei loro antenati. Per decenni diventó metà di pellegrinaggio grazie ad un santuario con la più grande statua di Yue Lao, il Dio dei matrimoni già incontrato a Taipei. 
Ma dopo il terremoto, la statua fu spostata al Tempio di Longfong, vicino al mio ostello, sulla terra ferma e l’isola restituita ai Thao, che ora sono gli unici a poterci andare. 
Percorro gli ultimi 15 km in meno di un’ora per paura di non arrivare in tempo alla riconsegna della bici, mentre con disappunto sorpasso gruppi di pigri Taiwanesi panzoni e con le bici elettriche. 



Tento ancora una volta di presentarmi in tempo per la cena, ma alle 19:10, il ristorante che ho scelto, peraltro carissimo, mi sbatte la porta in faccia! Riesco comunque a rifocillarmi nel locale di fronte, con carne di cervo e riso cucinato alla maniera aborigena. 


Torno nella mia stanza vista lago distrutta e crollo in un sonno profondo fino alle 6:45, quando la sveglia mi tirerà giù dal letto. 

sabato 27 ottobre 2018

La terra si muove, il Buddha vigila su Taiwan


13/10/2018
La notte non è trascorsa poi così male nella scatola, anzi, a parte una feroce scrollata alla porta del vicino che aveva cominciato una sinfonia di russate degne di una segheria, tutto è filato liscio. Quindi, quando questa mattina, scorrendo la porta ho visto che fuori c'era il sole mi sono rallegrata ancor di più! Cercando di interpretare le incomprensibili indicazioni della receptionist dai capelli rosa stinto, raggiungo quella che credo sia la stazione del bus che mi dovrà portare al Museo del Terremoto 921. L'autista non parla inglese e non sa dirmi quanto devo pagargli la corsa, mi fa cenno di levarmi dai piedi e fortunatamente interviene un signore gentile che fa da traduttore. Non ho i soldi contati e imparo a mie spese che il resto non è contemplato! Cerco di non rovinarmi la giornata già di prima mattina e i quindici km, intervallati da più di 30 fermate mi aiutano nella missione.
Il bus si svuota sempre di più e quando si ferma definitivamente in un grande parcheggio vuoto, nel mezzo del nulla, ho qualche dubbio sulla validità dell' oggetto del mio interesse. Mi guardo intorno e non c'è niente, oltre una lunga scala con ciuffi d'erba che vedo spuntare dal cemento. 



Mi arrampico interdetta, finchè appare sul terreno quella che sembra la riproduzione della rilevazione di un sismografo..i picchi misurati sono impressionanti, nonostante non sappia tradurli.
Mi ritrovo a costeggiare un prato circondato da una pista da corsa, finchè si palesa l' ingresso del museo, che sorge dove una volta si ergeva il Liceo Guangfu, crollato quasi interamente durante il Sisma del 21 Settembre 1999. Sulla mia sinistra un susseguirsi di interessanti informazioni sulle placche tettoniche e sulla loro sovrapposizione, movimento e scontro, che causano effetti devastanti come appunto i terremoti e gli tsunami. 
Un pannello racconta di come, circa 5 milioni di anni fa, grazie ai movimenti della placca Eurasica , spinta verso l' arco vulcanico della placca del Mar delle Filippine, sia nata l' Isola di Taiwan. Attualmente la placca del Mar delle Filippine, si sposta di circa 7-9 cm all' anno, il chè vuol dire che l' isola è in costante mutamento e che i terremoti non si fermeranno nel prossimo futuro. 
Sulla destra le vetrate permettono di uscire all' aperto ad osservare da vicino la parte di pista da corsa che si è sollevata in due punti di più di 2 metri , dove è stata attraversata dalla faglia creata dal sisma. Il percorso esterno conduce attorno ad alcuni edifici adibiti ad aule, dove si possono osservare da vicino i pilastri piegati su se stessi e dove regna un silenzio spettrale. Particolarmente impressionante è un serpentone di due piani, suddiviso in aule, completamente abbattutto, schiacciato, piegato e contorto, che rimane lì, nella sua inerme e sofferente staticità, ferito a morte a tradimento. Fortunatamente il Liceo era deserto durante il sisma, ma la stessa fortuna non hanno avuto i circa 2500 morti e gli oltre 8000 feriti, che hanno visto crollare case, ponti, aprirsi le montagne, alzare le strade. Tutta Taichung ricorda quel terribile avvenimento ancora così vicino. Per soppiantare la tristezza cerco la pace nell'espressione del Grande Budda di Chuangua, che domina la città dalla collina di Baguashan, con i suoi 22 metri di altezza.




Perdo un pò di tempo per decidermi a raggiungerlo perchè non ci sono autobus che salgono alla collina e mi vogliono a tutti costi far prendere un taxi, chiedo a diversi ragazzi qual' è la strada e quanto ci vuole ad arrivarci e sembrano tutti convinti che sia una lunga camminata, ma quando gli chiedo quanto ci vuole, mi rispondono 10 minuti. Per me dieci minuti sono poca strada, ma sicome parlano poco inglese i casi sono due, o ignorano il significato del numero dieci associato alla parola minuti, o sono poco abituati a camminare, se per loro è una lunga. Alla fine mi decido, ed effettivamente, dopo aver fiancheggiato qualche bottega cercando di non farmi stirare (non esistono i marciapiedi, o meglio, ci sarebbero anche, ma sono invasi dai motorini!), arrivo al belvedere sulla cittadina di Changua, sopra la fontana dei nove dragoni. Alle mie spalle il Buddha sta placido sul suo fiore di loto, le gambe incrociate, le mani in grembo, nel Mudra della meditazione, simbolo di saggezza. Gli occhi socchiusi. Alle sue spalle sta il suo Tempio a 3 piani, con le colonne rosse e pieno di lanterne che si illuminano al tramonto creando un bellissimo effetto. Il sole sta calando, la collina si accende di luci, il Grande Buddha veglia sulla città. E per me è tempo di rientrare a Taichung. Domani mi sposterò ancora. Prenderò un treno fino alla cittadina microscopica di Ershui e poi la linea a scartamento ridotto che attraversa la campagna finì a Jiji, città in cui fu localizzato l’epicento del terremoto 921 ( anche detto ChiChi dal nome appunto della città) e Checheng, porta d’ingresso per il Lago del Sole e della Luna.

sabato 20 ottobre 2018

Da Taipei a Taichung, dal nord al centro, la regione delle montagne

12/10/2018 Lo zaino è pronto e manca ancora qualche ora alla mia partenza per Taichung, quindi lascio il bagaglio in reception decisa a sfruttare fino all' ultimo minuto la mia metro card 24h. Faccio colazione per strada in una bakery in stile occidentale, con una golosa fetta di torta al cioccolato e mi infilo nella metro in direzione Tamsui per andare a visitare il Tempio di Confucio. 



In realtà miravo al Baoan, che sta proprio di fronte e pare essere il più bello della città, riconosciuto pure dall' Unesco, ma purtroppo lo trovo chiuso fino alle 17. Comunque il Tempio di Confucio è molto grande e bello e oltre alle tipiche strutture in stile cinese, ospita stanze interattive che raccontano gli insegnamenti del maestro e un Teatro.




Prima di entrare nel giardino trovo lungo il marciapiede le statuette delle tre scimmiette "non vedo, non sento, non parlo", con l' aggiunta di una quarta con le braccia dietro la schiena, che mimano alcuni famosi temi filosofici di Confucio: " non agire impropriamente, non guardare in maniera scorretta, non parlare in modo inappropriato, non ascoltare ciò che è inappropriato" , lievemente differenti dalla nostra trasposizione omertosa. 




Mentre mi trovo nel cortile prinicipale, un rumore assordante mi costringe ad alzare lo sguardo e osservo sfrecciare, a poca distanza dal tetto a punte, un aereo di linea diretto al vicino aereoporto. Mentre faccio ritorno alla metro, ne conto altri tre. Uno addirittura lo vedo arrivare da lontano, scorgendo le luci anteriori sbucare dalle nuvole.



Recupero lo zaino, raggiungo la stazione dei bus e mi imbarco nel mio primo spostamento, verso il centro dell' isola; visto che al nord pioverà per tutto il mese, almeno cerco di rincorrere il sole che dovri trovare a Taichung nei prossimi giorni. Questa notte ho prenotato una scatola di alluminio con porta scorrevole. 



Ci stà dentro solo il letto, comodo, pulito e a due piazze, c'è solo da sperare che i vicini di scatola siano poco rumorosi. L'host è molto rigoroso e preciso, mi accompagna al secondo piano dello stabile e mi invita a levarmi le scarpe per riporle in un cilindro bicolore, in cambio di una paio di orrende ciabatte dorate da vecchia. 



Attraversiamo una sala con al centro un biliardo e su un lato una poltrona massaggiante. Mi mostra la mia bedbox e mi invita a seguirlo in un giro perlustrativo dei lavandini, delle docce e dei gabinetti, che sono delle specie di turche ma con una forma differente: un corto canale di ceramica coi bordi rialzati che termina con una semi cupola. Ci si mette a cavalcioni del canale, si espleta e poi si schiaccia un pedale che aziona un potente getto che conduce il prodotto sotto la cupola dove risiede il buco dello scarico. Mi viene da pensare al minigolf, io che con un tocco spedisco la pallina lungo il canale, rimbalzo contro la cupola, centro perfetto. Chissà se è il caso di esultare dopo lo sforzo...in posizione opposta rispetto alle scatole c'è un spazio riservato alle tende: un campeggio formato da due dozzine di canadesi colorate, anch'esse contenenti il loro letto a due piazze e nulla più. Entrambe le tipologie di sistemazione sono simpatiche ed economiche, la struttura è in centro città e vicino c'è un bel parco in stile giapponese, con romantici ponti illuminati e una pagoda al centro del laghetto. 




Oltre il parco si raggiunge un night market che offre tante proposte interessanti di street food. 


I localini ai lati delle bancarelle hanno cucine vere e offrono comodi tavolini ai quali consumare il proprio pasto, con aggiunta di riso e the freddo sempre gratuiti. La spesa si aggira intorno ai 5€.




Ritorno all' ostello attraversando il parco, popolato da strani uccelli che si appostano nella penombra a fare versi strani, le strade sono pulite, contrariamente ad altri paesi asiatici che ho visitato, non c'è traccia di spazzatura, il camioncino giallo dei netturbini gira di continuo, accompagnato da due motivetti riconoscibili,uno dei quali è "Perelisa". 
Per ora le mie impressioni sono estremamente positive, anche le persone mi sembrano gentili e disponibili; nonostante parlino poco inglese cercano sempre di essere d' aiuto, ci sono servizi igienici un pò ovunque, sempre puliti e ben tenuti, le metro sono efficienti e non percepisco sensazioni di pericolo o di raggiro, proclamo quindi Taiwan, la Svizzera d' Oriente.