martedì 10 novembre 2015

Istruzioni al viaggio - farneticazioni postume di una viaggiatrice transoceanica


Un altro viaggio è finito, un altro posto è stato esplorato. Ogni luogo conserva i suoi segreti, comunque, e il fatto che l' essere umano abbia una visione soggettiva, spesso basata sulle emozioni, oltre che sulle esperienze "qui e ora", assicura al mondo di essere sempre un bel posto da visitare, sempre nuovo agli occhi di chi lo vuole guardare, magico e sempre attuale.
D' altronde poi i viaggi modaioli non sono il mio forte, perciò non corro il rischio di prediligere mete blasonate. Che poi anche questo non è vero. E comunque, il "mio" viaggio, ovunque mi porti, sarà sempre e solo il "mio" viaggio.  E parlo volutamente al singolare, non per escludere chi ha condiviso e condividerà con me mete ed esperienze, ma perchè poi, senza tristezze e male interpretazioni, anche in coppia o in gruppo in certe cose si è da soli, e il viaggio, seppur diviso a metà, sarà comunque anche un viaggio in solitaria, introspettivo.
Meglio soli o in coppia, è la domanda che mi sentirò fare nei prossimi giorni e che mi sono già fatta durante questo mese eterno messicano.
Niente è meglio di niente. Viaggiare soli è bello, è coraggioso, è libertà di fare solo quello che vuoi tu, con i tuoi tempi e con le tue deviazioni. E' parlare con se stessi la maggior parte del tempo e diventarsi amici, riscoprirsi affini, è parlare con gli altri con estrema facilità, è necessità di dialogo, voglia di conoscere altre storie, capirle e spesso condividerle, provare ammirazione e trarre spunto senza mai allontanarsi dal proprio stile, è sapere quello che è giusto per te anche quando non sai neanche dove stai andando nè cosa farai il giorno dopo.
E' sorridere da dentro e illuminare il fuori, mentre gli altri "non viaggiatori singoli" ti osservano e non capiscono, è incrociare lo sguardo di un altro come te e ritrovarci la stessa espressione, la stessa beatitudine, e condividere un piccolo segreto di serenità e amore per tutto quello che ti circonda e che finalmente riesci ad ascoltare. Ed è quello che ricerchiamo, a tratti, quando viaggiamo in coppia e ci stacchiamo dal contatto creandoci il nostro spazio. Abbiamo bisogno di quel distacco, abbiamo bisogno di elaborare cosa vediamo, masticare le nostre sensazioni, assaporare le emozioni che ci provoca quello che stiamo vivendo. E anche se siamo in due e non c'è cosa più bella che dire all' altro " guarda che cielo, guarda che incanto..", la digestione di quel momento è solo nostra, del tutto personale.
Profondamente personale. Questo è quello che manca ad un viaggiatore singolo, qualcuno a cui dire " guarda che cielo, guarda che incanto..", ma è qualcosa che non dura, dal momento che inizi presto a dirlo a te stesso, perchè è con te che stai viaggiando. Da sempre. Ininterrottamente. Ma per assurdo lo scopri solo in quel momento. E ti piace talmente tanto che vorrai farlo ancora, finendo per chiederti se sarai mai più capace di viaggiare con qualcun altro che non sia te stesso.
Il bello di viaggiare in due è guardare l' altro e ritrovare in lui la beatitudine di cui sopra, la stessa che calma il tuo animo, che dipana il dubbio che ti assale quando pensi che il tuo ruolo sia quello di rendere il vostro viaggio indimenticabile. A tal punto da convincertene e rivestirti di un incarico che non ti compete e che dovresti invece lasciare alla natura. Lei ha il potere di stregarti, tu di saperla apprezzare. La preoccupazione che le mete che hai scelto, la tappa giornaliera, siano all' altezza delle aspettative del tuo compagno di viaggio, non ti farà godere il viaggio stesso. Ricordati sempre che non sei un tour operator e non hai a fianco un cliente esigente da soddisfare, ma qualcuno che con molta probabilità ha scelto di seguire te, prima ancora che il tuo itinerario.
Quindi saziati di quell' espressione beata che gli si dipinge in volto ogni volta che apprezza quello che vede e quando la riconosci, prendigli la mano, perchè in quel momento stà assaporando, masticando e gustando quello che avete avuto l' onore di vedere e vivere insieme, e quel tocco leggero di una mano che scivola dentro un' altra è solo e unicamente dire " eccoci qui, io e te, nello stesso posto ad emozionarci per la stessa cosa, nello stesso istante, anche se le sfumature saranno diverse".

La strada non è tua, non la conosci, tua è solo la responsabilità di mettere un piede davanti all' altro per continuare ad andare avanti, nella direzione che ti sei scelto e che ti regalerà emozioni, se solo permetterai ai tuoi occhi di guardare, al tuo naso di riempirsi di profumi e odori nuovi, alla tua mente di svuotarsi per accogliere altri ricordi. Viaggiare è un' arte, adattarsi è sopravvivere, cambiare testa, capire anzichè giudicare e accettare quello che non si può cambiare, anche il fatto di essere diversi. Il viaggio è conoscenza, non solo di ciò che esplori a passi, non solo di ciò che assaggi con la bocca, non solo di ciò che catturi con lo sguardo. E' conoscenza di se stessi in una dimensione diversa da quella in cui siamo abituati a contestualizzarci, è prendere visione dei nostri limiti ed è scoperta delle nostre capacità che abbiamo testato così poco fino ad ora, è presa di coscienza, e consapevolezza che quel traguardo superato non potrà più essere taciuto, nè dimenticato.
Ciò che si impara in viaggio non si dimentica una volta tornati a casa. E' crescita sbalorditiva di parecchi centimetri ogni volta che si trova una soluzione ad un imprevisto, e gli imprevisti spesso si rivelano opportunità. L' opportunità di sentire drizzarsi la schiena per intero per la prima volta dopo tanto tempo, nel tipico gesto di chi finalmente diventa fiero di se stesso. Viaggiare è raffrontare il proprio mondo con quello degli altri, senza fare paragoni, senza decretare un vincitore, senza sentirsi migliori, ma solo talvolta sentendosi felici per quello che si ha. A volte sognando di vivere in un posto diverso invece.
Viaggiare è sfidarsi con amore senza costringersi, è guidarsi fuori da un involucro di finte sicurezze e di necessità non necessarie, è  imparare a distaccarsi dal superfluo e ad attaccarsi all' imprescindibile, è mostrare a se stessi una certa via e scoprire che non vi si potrà più rinunciare.
Viaggiare è sapere a priori, già dal primo giorno, senza aspettare l' ultimo, che se tornassi indietro ripercorreresti esattamente le stesse strade che hai percorso e rifaresti le stesse scelte che hai fatto, perchè è grazie a questo che il tuo viaggio è stato quello che è stato, e se vorrai viverne un altro, uno diverso, potrai sempre ripartire e tutto sarà nuovo ancora una volta.Viaggiare è abbandonare un pezzo di sè in ogni parte del mondo e portarsene via molti di più. Viaggiare è rendersi conto della fortuna che abbiamo a poter fare un' esperienza del genere. Viaggiare è anche tornare, che sempre strada è. Quella di casa.




giovedì 5 novembre 2015

#Puebla #Popocatepetl #Muerte #Sueno #lamiamorte #Cholula #chiese #Mexico


Atterriti,terrorizzati, frustrati all' idea di prendere un altro autobus per raggiungere la città di Puebla che pare disti appena 5 ore di viaggio da Oaxaca, ci carichiamo mesti gli zaini sulle spalle. Per complicare la situazione non andiamo al terminale Ado che ci costerebbe quasi 1000 pesos, ma preferiamo servirci di un bus di seconda classe. Quando però vediamo dove sorge la stazione e le fattezze di alcuni vecchi autobus posteggiati iniziamo a tremare. Davanti agli occhi ci si prospettano scene da incubo di cassoni lanciati a folli velocità tra rombi assordanti, sbuffi di fumo nero dallo scarico, gomme bucate in mezzo a strade impraticabili con i passeggeri uomini costretti a fare da crick umano per sostituire una, due o anche tutte le ruote!
Bisognerebbe capirlo che ci sono paesi e paesi in cui fare i tirchi! Inoltre per complicare il tutto, il nostro autobus non ferma a Puebla, ma ci lascerà nelle vicinanze.
Invece, grazie al cielo ci capita un bel Volvo fiammante e due bei posti i prima fila vista strada, con ampio spazio per le ginocchia di Terry e nessun vecchio sdraiato davanti!
Il problema è che l' autista non va più veloce dei 60 neanche entrati in autostrada, contribuendo alla necessità di bestemmia  dei sottoscritti. Terry per la disperazione si mette a dormire e rimango da sola a sacramentare mentre tutto il Messico ci supera. Ogni tanto l' autista effettua fermate abusive, nel bel mezzo della carreggiata per raccogliere viaggiatori che stazionano nei pressi di cavalcavia o che bellamente passeggiano sulla corsia di emergenza.
Poi sale una venditrice ambulante con cestini ricolmi di ingredienti separati tra loro e inizia a riempire Tacos di carni varie, riso, insalate e salse..l' intero autobus si accalca sul davanti per servirsi e accaparrarsi il suo pasto. Ovviamente tutto mentre il viaggio prosegue e pure l' autista non rifiuta il suo taco e coca cola. Dopo due ore e mezza abbiamo percorso solamente 75 km e ce ne mancano circa 225..di questo passo arriveremo di gran lunga oltre le aspettative, immaginate l' impennata di Cristi quando becchiamo anche coda, invece, non si sa come, alle 17:15 l' autista ci deposita in mezzo all' autostrada, dicendoci che se raggiungiamo la rampa inferiore potremo prendere un bus per Puebla. Siamo interdetti. Ma non abbiamo alternativa, per fortuna il sole non si è ancora eclissato! Prendiamo il bus che viaggia per circa mezz'ora, e poi un' altro che dopo altri 15 minuti ci vomita nei pressi del centro, che è chiuso al traffico per le celebrazioni di coda del dia de los muertos.
Migliaia di gente in strada, un cordolo senza fine si è schierato da entrambi i lati del Boulevard 5 de mayo, quasi ad accogliere gli extraterrestri con gli zaini sulle spalle e i capelli a spazzoletta! Risaliamo tutta la calle 4 da oriente a poniente, girando di continuo le teste a destra e a sinistra a guardare tutto quello che ci passa di fianco, già ci siamo resi conto dal viaggio in bus che Puebla è enorme, ora scopriamo anche che è enormemente ricca e viva.
Molliamo gli zaini in ostello e usciamo a scoprire cosa ci aspetterà nei prossimi 3 giorni in questa città di cultura, di chiese colorate e di piccole corti nascoste all' interno di grandi palazzi, decorati con mattonelle di ceramica moresca e mattoni rossi.
Il sole ci sveglia filtrando dal soffitto alto a travi dell' ostello e ci predispone ad una nuova giornata di passeggio immersi nel reticolato urbano di questa città così attiva e dirigendoci verso la cattedrale un grande teschio gonfiabile attira la nostra attenzione: "La muerte es un sueno" recita il titolo dipinto sulla calavera e gli attori si pongono l'obiettivo di regalare un'esperienza sensoriale simile al trapasso.
"Solo los muertos lo saben", dice un' altra scritta, ed ecco quello che ci apprestiamo a vivere: l' esperienza della morte vissuta da chi ci lascia invece che come siamo abituati a concepirla, dalla parte di chi resta. Prima di consegnarci una mascherina per coprirci gli occhi, i nostri traghettatori ci invitano a lasciarci andare, al fine di vivere pienamente questa esperienza, di sentirci liberi di ridere, piangere, ballare e urlare se ne sentiamo l' esigenza. Poi le maschere calano sugli occhi e mi sento prendere le mani per essere condotta all' interno di quella che presumibilmente è una stanza all' interno della calavera gonfiabile. Mi fanno sedere su una sedia mentre una musica inizia a risuonare e piccole gocce vaporizzate di acqua profumata mi fanno drizzare i peli sulle braccia, mani mi accarezzano poi mi viene messo tra le mani un orsacchiotto, le mani premute sul petto, un cioccolatino premuto delicatamente sulle labbra e lasciato entrare in bocca. La musica cambia, al posto dell' orsacchiotto un fiore stretto a forza tra le dita e schiacciato di fretta al petto, un velo calato sul viso fino alle ginocchia.
Sono morta, nella cassa, le orecchie rimbombano di note convulse, respiro più rapido. la musica si placa, note dolorose, pianti e singhiozzi, femminili, maschili, vicino alle mie orecchie, intorno a me. Mi piangono, e io li sento, ma non li posso vedere. Soffrono, mi parlano. Del tempo trascorso insieme, del pezzo di vita condiviso. Mi ringraziano. Sono al mio funerale. Estremi saluti. Poi silenzio. Rimango nel mio buio, in attesa che qualche anima venga in mio soccorso, arrivano, mi accarezzano, mi soffiano aria fresca, mi abbracciano con le mie stesse braccia e io mi sento e mi proteggo, poi mi prendono le mani e mi fanno alzare, musica di festa, voci allegre e cori sempre più forti, balliamo, una danza leggera, la musica mi entra nelle orecchie e immagino un prato verde in cui danzare leggeri e bianchi, tra la leggerezza di un corpo senza più preoccupazioni.
I suoni si attutiscono, goccioline di pioggia sulla pelle, pace. Una voce ci guida e le maschere si alzano, ma gli occhi rimangono chiusi, alziamo il viso verso l' alto, per rimanere ancora connessi per un pò con i nostri morti, la porta è ancora aperta, il filo ci lega ancora. Li vedo tutti lì, sopra di me, i loro volti, la serenità negli occhi, le facce sorridenti, le lacrime iniziano a sgorgare tra le ciglia degli occhi serrati, poi piano piano li apriamo e ci guardiamo in faccia, tra il commosso e l' imbarazzato. Ci abbracciamo tra noi, per ricordarci che noi ci siamo ancora, per non permetterci di sprecare quello che abbiamo ora che potremmo non avere più domani, per ringraziare quello che abbiamo la possibilità di vivere e troppe volte diamo per scontato.
Il resto è bello, bellissimo, cattedrali, chiese, un piccolo vulcano di 13 metri, nato da un' eruzione di 400 anni fa del Popocatepetl, in cui calarsi dentro, il più piccolo al mondo, Cholula, la città delle chiese, si dice 365, una per ogni giorno dell' anno, ma nessuno lo sa con certezza se è davvero così, una piramide, enorme, la piramide più grande del mondo, non per altezza, ma con la base più grande del mondo, ricoperta e annientata costruendoci sopra una chiesa, che svetta sulla città, prolungamento dei tentacoli di Puebla. Il Popocatepetl osserva dall' alto fumando bianco. Comida tipica, il mercato dei sapori, la città rombante e strombazzante di traffico di giorno e silenziosa e addormentata alle 11 di sera, quando in pace torniamo verso la nostra stanza, per aspettare ancora un altro sole che domani mattina ci darà ancora il buongiorno, lui che non si stanca mai di farlo.


mercoledì 4 novembre 2015

#PuertoEscondido #Oaxaca #Mexico #mar y #sol #paradise #diadelosmuertos #fiesta

Dopo averci indottrinato a dovere sulle molteplici possibilità esplorative dei prossimi giorni, Roberto ci accompagna al terminal degli autobus dove prendiamo un autobus "Sur" diretto a Puerto Escondido. Anche questo viaggio concorre al miglior piazzamento nella categoria "colossi della strada" della edizione 2015 del "rally de Mexico". Con l' aggiunta di gocciolamento acquifero dal soffitto nei posti davanti e caldo palustre in quelli dietro. Due ore sono il limite massimo di sopportazione, poi per fortuna si scende.
L' hostal One Love sorge giallo in fronte alla spiaggia Zicatela e ci ruba il cuore da subito! Tante adorabili cabanas moderne a due piani, curate e ben arredate, ognuna dedicata ad un mostro sacro della musica degli anni 60-70..a noi capita il grande Hendrix. Il suo faccione si assicura che facciamo sonni tranquilli.
Andiamo subito alla spiaggia a vedere le onde altissime che si ripiegano su se stesse prima di infrangersi sulla sabbia nera e gialla scavando un cordolo simile al rim di un piccolo canyon da cui osservare il mare dall' alto. Sinceramente mi aspettavo che Puerto Escondido fosse una località balneare piuttosto turistica, ed invece, sarà la bassa stagione, ma potrebbe davvero essere un paradiso per cambiare vita. I prezzi sono contenuti anche nelle zone più curate, dove si presuppone che i turisti preferiscano spendere il loro tempo e i loro soldi, ma rimane pur sempre un posto da surfisti, quindi conserva il suo fascino selvatico lontano da sofisticazioni.
Passiamo le nostre giornate tra sole, spiagge e cavalloni che ci risucchiano per poi catapultarci a riva riempiendoci i costumi di sabbia morbida. La sera prendiamo un furgoncino collettivo al costo di 7 pesos per raggiungere il paseo di fronte alla lunga spiaggia della Zicatela e poi tronfi ce ne torniamo in camera passando per la spiaggia, una passeggiata tranquilla di 10 minuti, rischiarata dalla luce della luna piena, scandita dal fragore delle onde che incessantemente si arrotolano su se stesse e si allungano quasi a toccarci. Che bello vivere con i piedi accarezzati dall' acqua ogni sera, ciabatte in mano e occhi rivolti al cielo a fissare le stelle, quando l' animo è in pace e la smette di scavare tra le macerie, che poi è anche grazie a questo continuo dissotterrare se siamo capaci di altrettanta poesia di tanto in tanto..
Comunque..C'e una considerazione da fare sui MUST della vita di un Messicano, cose da cui sembrano non poter prescindere, alcune delle quali forse non per volontà loro, come la Coca Cola, dalla quale sono dipendenti peggio di un junkyman dalla sua pipetta di crack, o come gli spostamenti in autobus, non potendo scegliere tra altri mezzi a disposizione, se non i Combi, già citati, più simili a carri bestiame, ma pur sempre appartenenti alla categoria autobus...per non dire "cosi con le ruote", collettivi, di qualsiasi forma e dimensione sono la salvezza delle nostre tasche per i viaggi brevi e gli spostamenti all' interno delle città, possono presentarsi sotto forma di pulmini, di taxi, di furgoncini attrezzati con cassone posteriore, di api truccate con panche sul cassone e tendone per proteggersi dal sole.
Successivamente nella nostra lista troviamo Farmacia Similares, una sorta di parafarmacia che vende medicinali generici al grido di "misma qualidad al precio mas barato"..e solo loro sanno cosa ti ingurgiti! La Parisina, una sorta di Standa anni 80, dove trovi oggetti per la casa, tessuti, complementi d' arredo e paccottiglia varia di carta.
La Mitchoacana, catena locale tipo franchising nel campo paleteria (ghiaccioli a base di frutta vera e non solo aromi), neveria (gelati che non abbiamo avuto ancora il coraggio di assaggiare), aguas frescas, ai vari gusti di frutta.
Per la categoria Supermercati e affini troviamo OXXO, catena di piccoli alimentari spesso aperti a qualsiasi ora, o i più grandi e forniti Soriana, Bodega Aurrera e Chedraui detto Che, dove oltre alle corsie infinite di bevande di ogni tipo, il reparto rosticceria, panaderia, carniceria, dulces y pescado, ti vendono anche le moto. Tornando quindi al settore spostamenti, come non spendere due parole su Ado, "siempre primera", compagnia di bandiera nei trasporti, imbattuta nel monopolio totale degli spostamenti messicani, e a prezzi non proprio contenuti. Il fatto che sia la prediletta da locali e viaggiatori internazionali non è direttamente proporzionale alla qualità del servizio o alla puntualità delle corse, infatti spesso, per non dire sempre, l' orario di arrivo a destinazione è assolutamente a discrezione dell' autista e delle sue necessità corporali o alimentari.
Chi viaggia infatti a ridosso degli orari ritenuti consoni alla comida, deve preventivare un' ora di lasco necessaria all' autista per espletare la delicata pratica del pranzo o della cena. Quindi si raggiungerà un ristorante convenzionato, dove si attenderà che l' autista si rifocilli insieme ad altri colleghi che come per magia, sfidando le leggi del traffico e del rispetto dei tempi messicano, sono riusciti a giungere in contemporanea al luogo suddetto. La nostra epopea quindi di preventivate 10 ore di viaggio da Puerto Escondido a Oaxaca, già dipersè assurda per coprire la ridicola distanza di km 256, si trasforma in una grottesca arrampicata infinita tra curve a strampiombo, cactus che si mezclan alla vegetazione a foglie verdi, costoni di roccia che si tuffano in rios dalle acque marroni a fondo valle e un documentario-concerto di un patetico gruppo musicale della levatura di un talent show becero, che propone ininterrottamente una carrellata di brani tutti uguali tra loro, per almeno due ore. Maledette canzoni d'amore melense messicane! Non bastano le curve ad attentare al mio già provato stomaco dopo un mese di piccanterie e frijoles! Giuro solennemente che al mio regreso in patria, almeno per una settimana, in prossimità del 4° piano di un certo appartamento, ubicato in un preciso palazzo nel silenzioso quartiere di San Fruttuoso, riecheggieranno esclusivamente sonorità metal e batterie triggherate! Per Dio! E siamo persino costretti a scendere dal bus per un superficiale controllo degli zaini per mano di quattro militari ciccioni in tuta mimetica, elmetto con go-pro incorporata e mitra a tracolla come vostra cugina potrebbe portare a spasso la sua Luis Vuitton!
Ovviamente entriamo in Oaxaca che è già buio, completamente rintronati dalla televisione di bordo e resi inevitabilmente ciechi dal cellulare del vecchio seduto davanti a noi, che nel buio dell' autobus ci ha abbronzati per l' ultima mezz'ora di viaggio, oltre ad aver piallato le ginocchia di Terry per le abbondanti 11 ore necessarie alla traversata, sdraiando il sedile ad angolo ottuso.
Siamo distrutti, dopo una notte sulla terraza del One love e l' equivalente di un anno seduti in un centimetro quadrato, ci aspettano le celebrazioni del dia de los muertos. Questa sera niente trucchi, los muertos siamo noi!
Invece ci travolge una parata, tra le strade dello zocalo, tra teschi e scheletri, facce pitturate da calaveras e bambini che inscenano omicidi lungo i marciapiedi, suscitando risate o lasciando interdetti quelli che come noi sono abituati a celebrare la morte in maniera differente. Le bande suonano e picchiano sulle grancasse, cantando e incitando la gente come in un immenso e macabro carnevale. Lupi mannari, zombies, creature spaventose di ogni genere ci passano accanto, una morte con sombrero di paglia e cestino mi fissa e mi passa una mano ossuta sul collo mantenendo il suo sguardo nel mio. Tanti bambini, bellissimi, con le loro faccette pitturate, tengono il personaggio e danzano in vestiti tipici e gonnelloni piroettanti, protetti da un cordolo di ossa di cartapesta tenuto dalle madri per proteggerli ed evitare di perderli nel delirio della parata. I bambini sono il tesoro del Messico, la famiglia è sacra. Ci spostiamo verso il Pantheon, il cimitero della città dove è in atto la peregrinazione alle tombe dei defunti per ricordarli e onorarli decorando e illuminando i loro giacigli perpetui con fiori arancioni e amaranto dall' odore intenso e persistente e lumini bianchi, piccoli teschi di zucchero, bottiglie della bevanda preferita del caro estinto e alcuni dei suo piatti prediletti, cucinati con amore e poi coperti con pellicola trasparente per conservarli belli e appetitosi. Mentre vaghiamo tra tomba e tomba osserviamo gruppi di persone sedute sulle tombe che fanno salotto, bevono in compagnia e brindano al ricordo del loro compianto e al dono della vita.
Una coppia di mezza età è felice che apprezziamo il lavoro svolto per impreziosire l' abitazione del proprio defunto e ci prega di fotografarla, ci offrono uno shot di Mezcal, spiegandoci come sorseggiarlo, già che è la prima volta. Continuiamo il giro nella penombra, lasciando il sentiero per avvicinarci ad osservare altre tombe, poi arriviamo in prossimità dell' ingresso principale dove è in scena uno spettacolo teatrale sulla morte, e sulla vita e i ricordi dei defunti nell' aldilà, una specie di rappresentazione musicale, a cui partecipano cantando anche gli spettattori che uniscono il coro delle loro voci a quelle degli attori. Ci guardiamo intorno straniti nel vedere intorno a noi centinaia di persone arrampicate sulle tombe che assistono allo spettacolo.
Domande senza risposta si preparano ad invadere i meandri più reconditi della mia psiche e dei miei ricordi di bambina, quando pensavo di dovermi costringere a provare dolore alla morte di qualcuno, per non sentirmi insensibile e per paura di essere giudicata superficiale da chi quel dolore lo manifestava.
Quando nella solitudine della mia stanza mi analizzavo alla ricerca di qualche ghiandola sconnessa che non riceveva l' input cerebrale di mettersi a lacrimare e vedevo i visi contriti di chi mi veniva incontro e mi stringeva in abbracci sudati per condividere con me per pochi istanti quel dolore che in realtà non provavo. La morte, quella che mi porto addosso tra spalle, gambe, braccia, bocca e caviglie, come desiderio di vita mutevole e mai statica. Quella inevitabile. Definitiva.