martedì 10 novembre 2015

Istruzioni al viaggio - farneticazioni postume di una viaggiatrice transoceanica


Un altro viaggio è finito, un altro posto è stato esplorato. Ogni luogo conserva i suoi segreti, comunque, e il fatto che l' essere umano abbia una visione soggettiva, spesso basata sulle emozioni, oltre che sulle esperienze "qui e ora", assicura al mondo di essere sempre un bel posto da visitare, sempre nuovo agli occhi di chi lo vuole guardare, magico e sempre attuale.
D' altronde poi i viaggi modaioli non sono il mio forte, perciò non corro il rischio di prediligere mete blasonate. Che poi anche questo non è vero. E comunque, il "mio" viaggio, ovunque mi porti, sarà sempre e solo il "mio" viaggio.  E parlo volutamente al singolare, non per escludere chi ha condiviso e condividerà con me mete ed esperienze, ma perchè poi, senza tristezze e male interpretazioni, anche in coppia o in gruppo in certe cose si è da soli, e il viaggio, seppur diviso a metà, sarà comunque anche un viaggio in solitaria, introspettivo.
Meglio soli o in coppia, è la domanda che mi sentirò fare nei prossimi giorni e che mi sono già fatta durante questo mese eterno messicano.
Niente è meglio di niente. Viaggiare soli è bello, è coraggioso, è libertà di fare solo quello che vuoi tu, con i tuoi tempi e con le tue deviazioni. E' parlare con se stessi la maggior parte del tempo e diventarsi amici, riscoprirsi affini, è parlare con gli altri con estrema facilità, è necessità di dialogo, voglia di conoscere altre storie, capirle e spesso condividerle, provare ammirazione e trarre spunto senza mai allontanarsi dal proprio stile, è sapere quello che è giusto per te anche quando non sai neanche dove stai andando nè cosa farai il giorno dopo.
E' sorridere da dentro e illuminare il fuori, mentre gli altri "non viaggiatori singoli" ti osservano e non capiscono, è incrociare lo sguardo di un altro come te e ritrovarci la stessa espressione, la stessa beatitudine, e condividere un piccolo segreto di serenità e amore per tutto quello che ti circonda e che finalmente riesci ad ascoltare. Ed è quello che ricerchiamo, a tratti, quando viaggiamo in coppia e ci stacchiamo dal contatto creandoci il nostro spazio. Abbiamo bisogno di quel distacco, abbiamo bisogno di elaborare cosa vediamo, masticare le nostre sensazioni, assaporare le emozioni che ci provoca quello che stiamo vivendo. E anche se siamo in due e non c'è cosa più bella che dire all' altro " guarda che cielo, guarda che incanto..", la digestione di quel momento è solo nostra, del tutto personale.
Profondamente personale. Questo è quello che manca ad un viaggiatore singolo, qualcuno a cui dire " guarda che cielo, guarda che incanto..", ma è qualcosa che non dura, dal momento che inizi presto a dirlo a te stesso, perchè è con te che stai viaggiando. Da sempre. Ininterrottamente. Ma per assurdo lo scopri solo in quel momento. E ti piace talmente tanto che vorrai farlo ancora, finendo per chiederti se sarai mai più capace di viaggiare con qualcun altro che non sia te stesso.
Il bello di viaggiare in due è guardare l' altro e ritrovare in lui la beatitudine di cui sopra, la stessa che calma il tuo animo, che dipana il dubbio che ti assale quando pensi che il tuo ruolo sia quello di rendere il vostro viaggio indimenticabile. A tal punto da convincertene e rivestirti di un incarico che non ti compete e che dovresti invece lasciare alla natura. Lei ha il potere di stregarti, tu di saperla apprezzare. La preoccupazione che le mete che hai scelto, la tappa giornaliera, siano all' altezza delle aspettative del tuo compagno di viaggio, non ti farà godere il viaggio stesso. Ricordati sempre che non sei un tour operator e non hai a fianco un cliente esigente da soddisfare, ma qualcuno che con molta probabilità ha scelto di seguire te, prima ancora che il tuo itinerario.
Quindi saziati di quell' espressione beata che gli si dipinge in volto ogni volta che apprezza quello che vede e quando la riconosci, prendigli la mano, perchè in quel momento stà assaporando, masticando e gustando quello che avete avuto l' onore di vedere e vivere insieme, e quel tocco leggero di una mano che scivola dentro un' altra è solo e unicamente dire " eccoci qui, io e te, nello stesso posto ad emozionarci per la stessa cosa, nello stesso istante, anche se le sfumature saranno diverse".

La strada non è tua, non la conosci, tua è solo la responsabilità di mettere un piede davanti all' altro per continuare ad andare avanti, nella direzione che ti sei scelto e che ti regalerà emozioni, se solo permetterai ai tuoi occhi di guardare, al tuo naso di riempirsi di profumi e odori nuovi, alla tua mente di svuotarsi per accogliere altri ricordi. Viaggiare è un' arte, adattarsi è sopravvivere, cambiare testa, capire anzichè giudicare e accettare quello che non si può cambiare, anche il fatto di essere diversi. Il viaggio è conoscenza, non solo di ciò che esplori a passi, non solo di ciò che assaggi con la bocca, non solo di ciò che catturi con lo sguardo. E' conoscenza di se stessi in una dimensione diversa da quella in cui siamo abituati a contestualizzarci, è prendere visione dei nostri limiti ed è scoperta delle nostre capacità che abbiamo testato così poco fino ad ora, è presa di coscienza, e consapevolezza che quel traguardo superato non potrà più essere taciuto, nè dimenticato.
Ciò che si impara in viaggio non si dimentica una volta tornati a casa. E' crescita sbalorditiva di parecchi centimetri ogni volta che si trova una soluzione ad un imprevisto, e gli imprevisti spesso si rivelano opportunità. L' opportunità di sentire drizzarsi la schiena per intero per la prima volta dopo tanto tempo, nel tipico gesto di chi finalmente diventa fiero di se stesso. Viaggiare è raffrontare il proprio mondo con quello degli altri, senza fare paragoni, senza decretare un vincitore, senza sentirsi migliori, ma solo talvolta sentendosi felici per quello che si ha. A volte sognando di vivere in un posto diverso invece.
Viaggiare è sfidarsi con amore senza costringersi, è guidarsi fuori da un involucro di finte sicurezze e di necessità non necessarie, è  imparare a distaccarsi dal superfluo e ad attaccarsi all' imprescindibile, è mostrare a se stessi una certa via e scoprire che non vi si potrà più rinunciare.
Viaggiare è sapere a priori, già dal primo giorno, senza aspettare l' ultimo, che se tornassi indietro ripercorreresti esattamente le stesse strade che hai percorso e rifaresti le stesse scelte che hai fatto, perchè è grazie a questo che il tuo viaggio è stato quello che è stato, e se vorrai viverne un altro, uno diverso, potrai sempre ripartire e tutto sarà nuovo ancora una volta.Viaggiare è abbandonare un pezzo di sè in ogni parte del mondo e portarsene via molti di più. Viaggiare è rendersi conto della fortuna che abbiamo a poter fare un' esperienza del genere. Viaggiare è anche tornare, che sempre strada è. Quella di casa.




giovedì 5 novembre 2015

#Puebla #Popocatepetl #Muerte #Sueno #lamiamorte #Cholula #chiese #Mexico


Atterriti,terrorizzati, frustrati all' idea di prendere un altro autobus per raggiungere la città di Puebla che pare disti appena 5 ore di viaggio da Oaxaca, ci carichiamo mesti gli zaini sulle spalle. Per complicare la situazione non andiamo al terminale Ado che ci costerebbe quasi 1000 pesos, ma preferiamo servirci di un bus di seconda classe. Quando però vediamo dove sorge la stazione e le fattezze di alcuni vecchi autobus posteggiati iniziamo a tremare. Davanti agli occhi ci si prospettano scene da incubo di cassoni lanciati a folli velocità tra rombi assordanti, sbuffi di fumo nero dallo scarico, gomme bucate in mezzo a strade impraticabili con i passeggeri uomini costretti a fare da crick umano per sostituire una, due o anche tutte le ruote!
Bisognerebbe capirlo che ci sono paesi e paesi in cui fare i tirchi! Inoltre per complicare il tutto, il nostro autobus non ferma a Puebla, ma ci lascerà nelle vicinanze.
Invece, grazie al cielo ci capita un bel Volvo fiammante e due bei posti i prima fila vista strada, con ampio spazio per le ginocchia di Terry e nessun vecchio sdraiato davanti!
Il problema è che l' autista non va più veloce dei 60 neanche entrati in autostrada, contribuendo alla necessità di bestemmia  dei sottoscritti. Terry per la disperazione si mette a dormire e rimango da sola a sacramentare mentre tutto il Messico ci supera. Ogni tanto l' autista effettua fermate abusive, nel bel mezzo della carreggiata per raccogliere viaggiatori che stazionano nei pressi di cavalcavia o che bellamente passeggiano sulla corsia di emergenza.
Poi sale una venditrice ambulante con cestini ricolmi di ingredienti separati tra loro e inizia a riempire Tacos di carni varie, riso, insalate e salse..l' intero autobus si accalca sul davanti per servirsi e accaparrarsi il suo pasto. Ovviamente tutto mentre il viaggio prosegue e pure l' autista non rifiuta il suo taco e coca cola. Dopo due ore e mezza abbiamo percorso solamente 75 km e ce ne mancano circa 225..di questo passo arriveremo di gran lunga oltre le aspettative, immaginate l' impennata di Cristi quando becchiamo anche coda, invece, non si sa come, alle 17:15 l' autista ci deposita in mezzo all' autostrada, dicendoci che se raggiungiamo la rampa inferiore potremo prendere un bus per Puebla. Siamo interdetti. Ma non abbiamo alternativa, per fortuna il sole non si è ancora eclissato! Prendiamo il bus che viaggia per circa mezz'ora, e poi un' altro che dopo altri 15 minuti ci vomita nei pressi del centro, che è chiuso al traffico per le celebrazioni di coda del dia de los muertos.
Migliaia di gente in strada, un cordolo senza fine si è schierato da entrambi i lati del Boulevard 5 de mayo, quasi ad accogliere gli extraterrestri con gli zaini sulle spalle e i capelli a spazzoletta! Risaliamo tutta la calle 4 da oriente a poniente, girando di continuo le teste a destra e a sinistra a guardare tutto quello che ci passa di fianco, già ci siamo resi conto dal viaggio in bus che Puebla è enorme, ora scopriamo anche che è enormemente ricca e viva.
Molliamo gli zaini in ostello e usciamo a scoprire cosa ci aspetterà nei prossimi 3 giorni in questa città di cultura, di chiese colorate e di piccole corti nascoste all' interno di grandi palazzi, decorati con mattonelle di ceramica moresca e mattoni rossi.
Il sole ci sveglia filtrando dal soffitto alto a travi dell' ostello e ci predispone ad una nuova giornata di passeggio immersi nel reticolato urbano di questa città così attiva e dirigendoci verso la cattedrale un grande teschio gonfiabile attira la nostra attenzione: "La muerte es un sueno" recita il titolo dipinto sulla calavera e gli attori si pongono l'obiettivo di regalare un'esperienza sensoriale simile al trapasso.
"Solo los muertos lo saben", dice un' altra scritta, ed ecco quello che ci apprestiamo a vivere: l' esperienza della morte vissuta da chi ci lascia invece che come siamo abituati a concepirla, dalla parte di chi resta. Prima di consegnarci una mascherina per coprirci gli occhi, i nostri traghettatori ci invitano a lasciarci andare, al fine di vivere pienamente questa esperienza, di sentirci liberi di ridere, piangere, ballare e urlare se ne sentiamo l' esigenza. Poi le maschere calano sugli occhi e mi sento prendere le mani per essere condotta all' interno di quella che presumibilmente è una stanza all' interno della calavera gonfiabile. Mi fanno sedere su una sedia mentre una musica inizia a risuonare e piccole gocce vaporizzate di acqua profumata mi fanno drizzare i peli sulle braccia, mani mi accarezzano poi mi viene messo tra le mani un orsacchiotto, le mani premute sul petto, un cioccolatino premuto delicatamente sulle labbra e lasciato entrare in bocca. La musica cambia, al posto dell' orsacchiotto un fiore stretto a forza tra le dita e schiacciato di fretta al petto, un velo calato sul viso fino alle ginocchia.
Sono morta, nella cassa, le orecchie rimbombano di note convulse, respiro più rapido. la musica si placa, note dolorose, pianti e singhiozzi, femminili, maschili, vicino alle mie orecchie, intorno a me. Mi piangono, e io li sento, ma non li posso vedere. Soffrono, mi parlano. Del tempo trascorso insieme, del pezzo di vita condiviso. Mi ringraziano. Sono al mio funerale. Estremi saluti. Poi silenzio. Rimango nel mio buio, in attesa che qualche anima venga in mio soccorso, arrivano, mi accarezzano, mi soffiano aria fresca, mi abbracciano con le mie stesse braccia e io mi sento e mi proteggo, poi mi prendono le mani e mi fanno alzare, musica di festa, voci allegre e cori sempre più forti, balliamo, una danza leggera, la musica mi entra nelle orecchie e immagino un prato verde in cui danzare leggeri e bianchi, tra la leggerezza di un corpo senza più preoccupazioni.
I suoni si attutiscono, goccioline di pioggia sulla pelle, pace. Una voce ci guida e le maschere si alzano, ma gli occhi rimangono chiusi, alziamo il viso verso l' alto, per rimanere ancora connessi per un pò con i nostri morti, la porta è ancora aperta, il filo ci lega ancora. Li vedo tutti lì, sopra di me, i loro volti, la serenità negli occhi, le facce sorridenti, le lacrime iniziano a sgorgare tra le ciglia degli occhi serrati, poi piano piano li apriamo e ci guardiamo in faccia, tra il commosso e l' imbarazzato. Ci abbracciamo tra noi, per ricordarci che noi ci siamo ancora, per non permetterci di sprecare quello che abbiamo ora che potremmo non avere più domani, per ringraziare quello che abbiamo la possibilità di vivere e troppe volte diamo per scontato.
Il resto è bello, bellissimo, cattedrali, chiese, un piccolo vulcano di 13 metri, nato da un' eruzione di 400 anni fa del Popocatepetl, in cui calarsi dentro, il più piccolo al mondo, Cholula, la città delle chiese, si dice 365, una per ogni giorno dell' anno, ma nessuno lo sa con certezza se è davvero così, una piramide, enorme, la piramide più grande del mondo, non per altezza, ma con la base più grande del mondo, ricoperta e annientata costruendoci sopra una chiesa, che svetta sulla città, prolungamento dei tentacoli di Puebla. Il Popocatepetl osserva dall' alto fumando bianco. Comida tipica, il mercato dei sapori, la città rombante e strombazzante di traffico di giorno e silenziosa e addormentata alle 11 di sera, quando in pace torniamo verso la nostra stanza, per aspettare ancora un altro sole che domani mattina ci darà ancora il buongiorno, lui che non si stanca mai di farlo.


mercoledì 4 novembre 2015

#PuertoEscondido #Oaxaca #Mexico #mar y #sol #paradise #diadelosmuertos #fiesta

Dopo averci indottrinato a dovere sulle molteplici possibilità esplorative dei prossimi giorni, Roberto ci accompagna al terminal degli autobus dove prendiamo un autobus "Sur" diretto a Puerto Escondido. Anche questo viaggio concorre al miglior piazzamento nella categoria "colossi della strada" della edizione 2015 del "rally de Mexico". Con l' aggiunta di gocciolamento acquifero dal soffitto nei posti davanti e caldo palustre in quelli dietro. Due ore sono il limite massimo di sopportazione, poi per fortuna si scende.
L' hostal One Love sorge giallo in fronte alla spiaggia Zicatela e ci ruba il cuore da subito! Tante adorabili cabanas moderne a due piani, curate e ben arredate, ognuna dedicata ad un mostro sacro della musica degli anni 60-70..a noi capita il grande Hendrix. Il suo faccione si assicura che facciamo sonni tranquilli.
Andiamo subito alla spiaggia a vedere le onde altissime che si ripiegano su se stesse prima di infrangersi sulla sabbia nera e gialla scavando un cordolo simile al rim di un piccolo canyon da cui osservare il mare dall' alto. Sinceramente mi aspettavo che Puerto Escondido fosse una località balneare piuttosto turistica, ed invece, sarà la bassa stagione, ma potrebbe davvero essere un paradiso per cambiare vita. I prezzi sono contenuti anche nelle zone più curate, dove si presuppone che i turisti preferiscano spendere il loro tempo e i loro soldi, ma rimane pur sempre un posto da surfisti, quindi conserva il suo fascino selvatico lontano da sofisticazioni.
Passiamo le nostre giornate tra sole, spiagge e cavalloni che ci risucchiano per poi catapultarci a riva riempiendoci i costumi di sabbia morbida. La sera prendiamo un furgoncino collettivo al costo di 7 pesos per raggiungere il paseo di fronte alla lunga spiaggia della Zicatela e poi tronfi ce ne torniamo in camera passando per la spiaggia, una passeggiata tranquilla di 10 minuti, rischiarata dalla luce della luna piena, scandita dal fragore delle onde che incessantemente si arrotolano su se stesse e si allungano quasi a toccarci. Che bello vivere con i piedi accarezzati dall' acqua ogni sera, ciabatte in mano e occhi rivolti al cielo a fissare le stelle, quando l' animo è in pace e la smette di scavare tra le macerie, che poi è anche grazie a questo continuo dissotterrare se siamo capaci di altrettanta poesia di tanto in tanto..
Comunque..C'e una considerazione da fare sui MUST della vita di un Messicano, cose da cui sembrano non poter prescindere, alcune delle quali forse non per volontà loro, come la Coca Cola, dalla quale sono dipendenti peggio di un junkyman dalla sua pipetta di crack, o come gli spostamenti in autobus, non potendo scegliere tra altri mezzi a disposizione, se non i Combi, già citati, più simili a carri bestiame, ma pur sempre appartenenti alla categoria autobus...per non dire "cosi con le ruote", collettivi, di qualsiasi forma e dimensione sono la salvezza delle nostre tasche per i viaggi brevi e gli spostamenti all' interno delle città, possono presentarsi sotto forma di pulmini, di taxi, di furgoncini attrezzati con cassone posteriore, di api truccate con panche sul cassone e tendone per proteggersi dal sole.
Successivamente nella nostra lista troviamo Farmacia Similares, una sorta di parafarmacia che vende medicinali generici al grido di "misma qualidad al precio mas barato"..e solo loro sanno cosa ti ingurgiti! La Parisina, una sorta di Standa anni 80, dove trovi oggetti per la casa, tessuti, complementi d' arredo e paccottiglia varia di carta.
La Mitchoacana, catena locale tipo franchising nel campo paleteria (ghiaccioli a base di frutta vera e non solo aromi), neveria (gelati che non abbiamo avuto ancora il coraggio di assaggiare), aguas frescas, ai vari gusti di frutta.
Per la categoria Supermercati e affini troviamo OXXO, catena di piccoli alimentari spesso aperti a qualsiasi ora, o i più grandi e forniti Soriana, Bodega Aurrera e Chedraui detto Che, dove oltre alle corsie infinite di bevande di ogni tipo, il reparto rosticceria, panaderia, carniceria, dulces y pescado, ti vendono anche le moto. Tornando quindi al settore spostamenti, come non spendere due parole su Ado, "siempre primera", compagnia di bandiera nei trasporti, imbattuta nel monopolio totale degli spostamenti messicani, e a prezzi non proprio contenuti. Il fatto che sia la prediletta da locali e viaggiatori internazionali non è direttamente proporzionale alla qualità del servizio o alla puntualità delle corse, infatti spesso, per non dire sempre, l' orario di arrivo a destinazione è assolutamente a discrezione dell' autista e delle sue necessità corporali o alimentari.
Chi viaggia infatti a ridosso degli orari ritenuti consoni alla comida, deve preventivare un' ora di lasco necessaria all' autista per espletare la delicata pratica del pranzo o della cena. Quindi si raggiungerà un ristorante convenzionato, dove si attenderà che l' autista si rifocilli insieme ad altri colleghi che come per magia, sfidando le leggi del traffico e del rispetto dei tempi messicano, sono riusciti a giungere in contemporanea al luogo suddetto. La nostra epopea quindi di preventivate 10 ore di viaggio da Puerto Escondido a Oaxaca, già dipersè assurda per coprire la ridicola distanza di km 256, si trasforma in una grottesca arrampicata infinita tra curve a strampiombo, cactus che si mezclan alla vegetazione a foglie verdi, costoni di roccia che si tuffano in rios dalle acque marroni a fondo valle e un documentario-concerto di un patetico gruppo musicale della levatura di un talent show becero, che propone ininterrottamente una carrellata di brani tutti uguali tra loro, per almeno due ore. Maledette canzoni d'amore melense messicane! Non bastano le curve ad attentare al mio già provato stomaco dopo un mese di piccanterie e frijoles! Giuro solennemente che al mio regreso in patria, almeno per una settimana, in prossimità del 4° piano di un certo appartamento, ubicato in un preciso palazzo nel silenzioso quartiere di San Fruttuoso, riecheggieranno esclusivamente sonorità metal e batterie triggherate! Per Dio! E siamo persino costretti a scendere dal bus per un superficiale controllo degli zaini per mano di quattro militari ciccioni in tuta mimetica, elmetto con go-pro incorporata e mitra a tracolla come vostra cugina potrebbe portare a spasso la sua Luis Vuitton!
Ovviamente entriamo in Oaxaca che è già buio, completamente rintronati dalla televisione di bordo e resi inevitabilmente ciechi dal cellulare del vecchio seduto davanti a noi, che nel buio dell' autobus ci ha abbronzati per l' ultima mezz'ora di viaggio, oltre ad aver piallato le ginocchia di Terry per le abbondanti 11 ore necessarie alla traversata, sdraiando il sedile ad angolo ottuso.
Siamo distrutti, dopo una notte sulla terraza del One love e l' equivalente di un anno seduti in un centimetro quadrato, ci aspettano le celebrazioni del dia de los muertos. Questa sera niente trucchi, los muertos siamo noi!
Invece ci travolge una parata, tra le strade dello zocalo, tra teschi e scheletri, facce pitturate da calaveras e bambini che inscenano omicidi lungo i marciapiedi, suscitando risate o lasciando interdetti quelli che come noi sono abituati a celebrare la morte in maniera differente. Le bande suonano e picchiano sulle grancasse, cantando e incitando la gente come in un immenso e macabro carnevale. Lupi mannari, zombies, creature spaventose di ogni genere ci passano accanto, una morte con sombrero di paglia e cestino mi fissa e mi passa una mano ossuta sul collo mantenendo il suo sguardo nel mio. Tanti bambini, bellissimi, con le loro faccette pitturate, tengono il personaggio e danzano in vestiti tipici e gonnelloni piroettanti, protetti da un cordolo di ossa di cartapesta tenuto dalle madri per proteggerli ed evitare di perderli nel delirio della parata. I bambini sono il tesoro del Messico, la famiglia è sacra. Ci spostiamo verso il Pantheon, il cimitero della città dove è in atto la peregrinazione alle tombe dei defunti per ricordarli e onorarli decorando e illuminando i loro giacigli perpetui con fiori arancioni e amaranto dall' odore intenso e persistente e lumini bianchi, piccoli teschi di zucchero, bottiglie della bevanda preferita del caro estinto e alcuni dei suo piatti prediletti, cucinati con amore e poi coperti con pellicola trasparente per conservarli belli e appetitosi. Mentre vaghiamo tra tomba e tomba osserviamo gruppi di persone sedute sulle tombe che fanno salotto, bevono in compagnia e brindano al ricordo del loro compianto e al dono della vita.
Una coppia di mezza età è felice che apprezziamo il lavoro svolto per impreziosire l' abitazione del proprio defunto e ci prega di fotografarla, ci offrono uno shot di Mezcal, spiegandoci come sorseggiarlo, già che è la prima volta. Continuiamo il giro nella penombra, lasciando il sentiero per avvicinarci ad osservare altre tombe, poi arriviamo in prossimità dell' ingresso principale dove è in scena uno spettacolo teatrale sulla morte, e sulla vita e i ricordi dei defunti nell' aldilà, una specie di rappresentazione musicale, a cui partecipano cantando anche gli spettattori che uniscono il coro delle loro voci a quelle degli attori. Ci guardiamo intorno straniti nel vedere intorno a noi centinaia di persone arrampicate sulle tombe che assistono allo spettacolo.
Domande senza risposta si preparano ad invadere i meandri più reconditi della mia psiche e dei miei ricordi di bambina, quando pensavo di dovermi costringere a provare dolore alla morte di qualcuno, per non sentirmi insensibile e per paura di essere giudicata superficiale da chi quel dolore lo manifestava.
Quando nella solitudine della mia stanza mi analizzavo alla ricerca di qualche ghiandola sconnessa che non riceveva l' input cerebrale di mettersi a lacrimare e vedevo i visi contriti di chi mi veniva incontro e mi stringeva in abbracci sudati per condividere con me per pochi istanti quel dolore che in realtà non provavo. La morte, quella che mi porto addosso tra spalle, gambe, braccia, bocca e caviglie, come desiderio di vita mutevole e mai statica. Quella inevitabile. Definitiva.


martedì 27 ottobre 2015

#tutzla #tutzlagutierrez #tgz #salinacruz #adokiller #rally #rallydesalinacruz #raptor #huatulco #plazadelphinus #roberto #blanca #perritos #palmasunidas #bahias #maguey #laentrega #autostop #love #energy #goodpeople #friendshipneverends #mexicomagico

22 de Octubre llegada a TGZ (Tuxtla Gutierrez)
y viaje con destino al Pacìfico


Felici del ritorno dell' amato sole che ha lavato via la tristezza dai nostri animi, decidiamo che ci siamo meritati un pò di relax, quindi passeremo la notte non lontano dal Canon, a Tutzla Gutierrez, capitale dello stato del Chiapas che ci stà ospitando da Palenque e che si merita un pò di attenzione in più. Tuztla in effetti non è la capitale che ci si aspetta, non è moderna, non è curata, ma non si può dire che manchi di vitalità. Oltre che di traffico. Per nostra fortuna abbiamo localizzato un hotel che pare un' oasi felice in mezzo ad un marasma confuso e infetto. Per la prima volta mi sento infastidita da quello che mi circonda. Forse devo solo sfogare un pò di frustrazione accumulata finora.
Varcata la soglia del San Miguel il rumore si attutisce e sono pronta a sorridere anche al cicciollo della reception che cerca di incularci col cambio sul prezzo della camera, che comunque non riesce nell' intento. Questa cosa di modificare i prezzi a seconda della nazionalità degli ospiti deve finire, fortuna che l' arma booking.com è seconda solo al Napalm.

Lavati e profumati ci avventuriamo per l 'Avenida Central che col favore delle tenebre prende sicuramente qualche punto in più, diventando persino affascinante nei pressi dei giardini, dove nel gazebo centrale si suonano melodie locali con l' immancabile xilofono gigante. I ciudadanos ballano, altri osservano seduti in file come a teatro.
Per stasera facciamo i turisti, così andiamo a testare il folclore locale in un ristorantino atto proprio allo scopo di far conoscere e conservare le tradizioni chiapaneche attraverso uno spettacolo colorato di danze e suoni, mentre viene servita la cena a base di piatti tipici. La star della serata è il pumpo, un cocktail a base di ananas, cocco, lime e vodka, servito attraverso una zucca a borraccia tra urla e scampanellii, che informano tutto il locale che anche al tuo tavolo si spendono 150 pesos per qualche minuto di notorietà.
Parte dal bancone la prima scampanellata, i campanelli sono attaccati al soffitto e il camarero agita la cordicella gridando "sale el pumpooooo!" , gli altri camareros gli fanno il coro da ogni lato della sala, qualsiasi cosa stiano facendo, sia sparecchiando, sia portando i piatti, sia rifacendo un tavolo. Poi il camarero con il nostro vassoio con sopra la zucca e due bicchieri guadagna il centro della sala, sulla pista dove si esibiscono i ballerini, e suona il campanello chiamando a gran voce "el pumpo", ancora echi, finche arriva al nostro tavolo urlando "llega el pumpo", scampanella, versa dalla zucca nei nostri bicchieri la bevanda e ci gira le spalle urlando "se va il pumpo".
Ora tutte le volte che ne vogliamo ancora non ci resta che tirare la cordicella sopra il nostro tavolo e scampanellare. Lo xilofono inizia a suonare e i ballerini ci mostrano il Chiapas nei colori dei loro costumi.
La mattina successiva il sole con i suoi 31 gradi ci accompagna ancora.
Prima di addormentarci abbiamo saputo che la perturbazione che ci segue da Tulum si è trasformata in uragano e raggiungerà terra nelle prossime ore. Inizio a fare le congetture inutili che si fanno in questi momenti : ecco perchè il sito non mi faceva comprare i biglietti aerei due mesi fa... ecco il perchè di quella sensazione dell' ultimo minuto di dover cambiare meta, e con questa sono due, l' anno scorso in australia l' ho scampata per 1200 km, stavolta non la scampo..devo saperne di più. Appena mi collego all' ansa scopro che ci si aspetta una catastrofe di proporzioni bibliche, uragano di categoria 5, il più potente e devastante mai registrato, si abbatterà sul Jalisco, a circa 1500 km da dove prevediamo di essere in serata, penso all' anno passato, 1200 km di distanza sono stati sufficienti. Si muove di 20 km all' ora, prevedono venti ai 380 km orari e onde di 120 mt..ci siamo..siamo in un film di fantascienza!
Che questo sole sia la famosa calma prima della tempesta? Eppure mi sembra assurdo. Dicono che si sfogherà nelle prossime ore prima di dirigersi verso il Texas. Non siamo minimamente minacciati, al massimo percepiremo un pò di vento e qualche rovescio. Gli esperti di uragani hanno deciso. Si parte per Salina Cruz, ormai crediamo nel sole perciò abbiamo bisogno di associarci il mare, la tabella di marcia deve essere rispettata! Avremo il nostro epilogo caraibico, pur avendo abbandonato il Caribe ormai da tempo, uragano del cacchio!
Il viaggio è lentissimo, ma alla fine arriviamo alle 8 di sera a Salina Cruz, ci facciamo consigliare un hotel per il nostro budget che rispetti almeno i nostri canoni di pulizia e decoro, visto che questa volta internet non ci ha aiutato, invece ci mandano in una stamberga agghiacciante cupa e sinistra. Terry è sempre imbarazzato quando si tratta di rifiutare qualcosa, che si tratti di ristoranti che non ci convincono o di cianfrusaglie che provino a venderci. Il fatto è che non amiamo molto il tentativo di vendita aggressiva che dilaga da queste parti. E io invece non sono capace a nascondere la delusione che mi si dipinge in volto quando qualcosa non corrisponde alle mie aspettative..però in qualche modo bisogna dirglielo a questo disgraziato che se non rinfresca un pò la situazione qui la gente non ci viene, mi basta conoscere il prezzo attribuito al tugurio per farmi passare ogni delicatezza nel rifiutare l' offerta! Ringraziamo e andiamo oltre. Sosta riflessiva in un cafè italiano (pseudo..)con wifi (per le nostre ricerche) dopo aver visto cosa offre la cittadina...dunque..è deciso, prenderemo un autobus che ci porterà a Huatulco, dove siamo sicuri di quello che ci aspetta! Io cerco il bus, Terry cerca un letto a destinazione..spippoliamo coi nostri cellulari come due invasati, poi solleviamo le capocce trionfanti: abbiamo 3 ore di tempo prima del bus, al nostro arrivo ci presenteremo all' hotel che abbiamo prenotato dove pare troveremo un' ospitalità eccellente e camere confortevoli e abbiamo anche localizzato un ristorantino niente male poco distante da dove siamo seduti. Soddisfatti ci andiamo a rimpinzare di Camarones a la plancha y Camarones rellenos bevendo agua de Sandìa. Poi, zaino in spalla saliamo sull' Ado diretto a Huatulco. Il viaggio comincia e ci assopiamo nelle nostre poltroncine reclinabili in fondo all' autobus. Nel dormiveglia ci sentiamo sballottati un pò più del previsto, rimbalziamo uno contro l' altro, poi Terry apre un occhio proprio nel bel mezzo di una curva a gomito in salita e tra gli spiragli della tenda vede fogliame a non finire. Gli passa il sonno istantaneamente, mi prende la mano e lo sento dire.."ma qua..come ci vogliamo arrivare a Huatulco?". Apro gli occhi e mi ritrovo immersa nel buio dell' autobus sprofondato nel sonno, guardo fuori e anche la strada che stiamo percorrendo ad alta velocità, tra strattoni e sterzate è completamente buia e immersa nella vegetazione.
Curve a non finire, Terry aggiunge "sembra di essere sul Raptor a Gardalan...eravamo a Salina Cruz, abbiamo preso il Raptor e siamo arrivati a Huatulco!" iniziamo a soffocare le risate mentre il bus continua la sua folle corsa, ma si sa che lacrime e risate, più si cerca di trattenerle, più spingono per uscire..sghignazziamo senza riuscire a fermarci e ogni volta che sembra passata Terry tira fuori qualche altra cagata sul Raptor e io riprendo a soffocarmi..poi tocca all' autista, il rally dell' Ado, i passeggeri che dormono di lungo, i sorpassi dei camion al buio..sto per morire e lui non accenna a smettere, poi alla fine arriviamo. Il pavimento del bus sembra quello di una discoteca dopo uno schiuma party! Qualcuno deve aver perso il bagnoschiuma nel tragitto..mentre ci avviciniamo alla discesa Terry mi molesta ancora " Guardilo li Colin " alzando il mento a indicare l' autista che con la faccia da mezza età e gli occhiali sul naso, tutto ci sarebbe sembrato fuorchè il pilota isterico che si è rivelato. Recuperiamo gli zaini e ci facciamo portare all' hotel.

Ci accoglie una stanza bianca e blu, con letto king size e accesso diretto alla piscina..sono le 4 del mattino..sprofondiamo in un sonno profondo fino a mezzogiorno. C'è ancora il sole..tempo di spiaggia, mentre ci avventuriamo fuori nel cortile bianco e azzurro del Delphinus, ci viene incontro Roberto, gambe secche, faccia buona, capelli ricci rossi. Ci chiede se vogliamo un giretto ricognitivo per le baie, ci porta lui, solo che ha un cane morto nel bagagliaio..sta andando a sotterrarlo..ooook..lui e la sua compagna Blanca fanno parte di una associazione chiamata Palmas unidas e cercano di prendersi cura dei cani calleros di Huatulco e di educare la gente alla cura dei propri animali, offrendo servizi veterinari a proprie spese.
Saliamo sul carro, io e Terry davanti, l' odore acre del perro dietro. Roberto ci porta a vedere le baie di Huatulco: la Chahue, di fronte all' hotel, bella, ecologica, selvaggia. Le correnti sono forti qui, può essere pericoloso. Poco distante c'è la baia di Santa Cruz, la vediamo dall' alto e non ci sfugge il colore azzurro e verde del mare pulito, oltrepassiamo la baia della Marina militare, ci mostra una spiaggetta segreta, el Violin, ma in questi giorni gli effetti dell' Uragano hanno reso le calette come questa un pò troppo esposte alla violenza delle onde. Scendiamo a la Entrega, dove Pancho Villa è stato fregato da un nostro connazionale e venduto agli Spagnoli.

Facce di circostanza, Roberto ridacchia, " no hay problema, yo soy italiano tambièn..mi abuelo..era de Bolsano!". Ci scatta una foto con la scogliera alle spalle, e mentre regrezamos al carro, lo miro y le digo que ahora que lo veo su cara es como la de la gente de norte y este de Italia, lui sembra divertito. "Si?" mi chiede pimpante, e io glielo dico che si, che ha quel naso e quegli occhi e quella forma del viso, "y como son" mi chiede, "los mejores de la peninsula" gli dico io, e lui sorride ancora di più. Per accedere alla spiaggia bisogna passare da uno dei tanti ristorantini che si appoggiano alla sabbia con capanne e tavoli di plastica, ognuno con la tovaglia differente dal ristorante accanto. Non si paga l' ingresso ma si ha l' obbligo della consumazione minima. A noi sta bene, è quasi l' ora di pranzo e l' aria è pervasa da profumi invitanti di mariscos. Ma Roberto è scrupoloso, dice che c'è troppa gente, lui vuole che stiamo bene e si offre di portarci a Maguey, poco distante ma molto più grande come spiaggia.
Ci fidiamo di lui e ci piace la sua ospitalità. Maguey è bellissima, accediamo alla playa tramite il ristorante di Sandra e ci sediamo affamati ad un tavolino a pochi metri dalla' acqua, i piedi immersi nella sabbia gialla. Sandra ci porta un piatto di ostriche per tappare il buco. Terry le studia incuriosito, poi decreta che non gli dispiacciono. Pollice su per le nuove scoperte. Mentre aspettiamo i Camarones a la Veracruzana y Camarones con mantequilla y mojo de ajo, ci andiamo a fare un tuffo rinfrescante nelle tiepide acque della baia. qui onde non ce ne sono, siamo protetti all' interno dell' insenatura. Stiamo tutto il giorno in acqua, a rilassarci sospinti dai flutti, guardando i pesci con la maschera intorno alla piccola barriera di coralli blu e bianchi.
Se resto immobile sulla superficie e tendo le mani davanti a me i pesci neri panciuti incuriositi si avvicinano e riesco a toccarne due. Mai successo prima. Ho accarezzato un pesce. No il delfino non lo è, è un mammifero. Poco prima del tramonto salutiamo Sandra e saliamo su un taxi collettivo che ci porta a casa. Dietro io, Terry e una donna giovane, lasciamo il posto davanti alla vecchia pensando di farle un piacere, anche se non ne sembra molto entusiasta. Dopo due curve il taxista rallenta per raccogliere un altro passeggero con valigetta ventiquattrore. Io e Terry ci guardiamo come a chiederci dove potrà mai sedersi..la risposta non tarda arrivare, quello apre al portiera anteriore e si siede in braccio alla vecchia!
Ecco perchè non era contenta! Passeggiamo con la manina lungo il marciapiedi che ci riporta all' hotel, realizzando di quanta tranquillità e silenzio goda questa posto. Non c'è un rumore, solo silenzio, sento le orecchie fischiare. La mattina dopo ci mettiamo in testa di andare a la Entrega a piedi. Sudiamo come porcelli mentre ci arrampichiamo al mirador, a picco sulla baia che ospita la baia della marina militare e da cui si vede il porticciolo di Santa Cruz per le imbarcazioni che portano alle altre baie. Siamo stoici, e un pò abelinati e arriviamo alla spiaggia spossati. Ci facciamo un cocco per riprenderci, il tempo si è guastato un pò. E' il momento giusto per un pulpo a la mexicana y uno encebollado..quanto ci piace mangiare!!
Ho un pò di remore a ordinare una cerveza per paura della maledizione della Negra Modelo, così ripiego sulla Modelo Especial. Sazi di mare e playa ci rimettiamo in cammino para regrezar a nuestra habitaciòn, ma l' ultimo pezzo di discesa che ora si è convertito in salita mi fa pentire di aver rifiutato il taxi facendo la stoica con Terry. Vedo passare le macchine dei Messicani e quasi mi infastidisco perchè a nessuno gli viene in mente di darci un passaggio, Terry mi fa notare che noi non lo faremmo, sento arrivare un carro, cerco di incrociare lo sguardo dell' autista, poi provo ad alzare un braccio, lui ci supera e si ferma a bordo strada, mi giro a guardare Terry " ci da un passaggio!!!" gli dico, "no non ce lo da!" mi dice lui, mi rendo conto che lo sto guardando come se gli stessi chiedendo " possiamo? dai Terry possiamo prendere il passaggio?", lui non dice niente, io mi giro, il carro è sempre li fermo, inizio a camminare più veloce, gridando "ce lo da, ce lo da!", mi giro a guardare Terry che prosegue alla stessa andatura, ma di fatto non mi sta dicendo di fermarmi.
Per me è sufficiente per iniziare a correre un pò di più, finchè raggiungo il finestrino e ci trovo dentro un ragazzo messicano con la divisa dell' hotel Las Palmas che mi saluta gentimente e si offre di portarci fino al centrocittà, chiamo Terry per incitarlo a raggiungerci e saliamo insieme sul sedile davanti. Il pickup riparte e dopo pochi minuti raccoglie un altro ragazzo che incredulo si accomoda nel cassone. Il nostro benefattore fa il concierge, stà andando a prendere servizio e ci racconta che stà lavorando per mettere da parte i soldi per il suo prossimo viaggio. Vuole venire in Europa, vedere Castelli e città medievali, come Bruges e andare in Germania a vedere i luoghi della seconda guerra mondiale, gli dico che deve assolutamente andare in Normandia sulle Route de la guerre, dove troverà testimonianze a non finire. Rientriamo in hotel giusto in tempo per farci reclutare da Roberto ad aiutarlo a portare l' acqua ai perritos che vivono al basurero municipal.
La scenario è avvilente. Rumenta, cani pelle e ossa e avvoltoi neri che aspettano il loro turno per banchettare. C'è anche gente che vive qui, come Fidel, che dà una mano a Roberto a riempire le mezze taniche che usa come abbeveratoi. Un groviglio di rami a terra fa da tana ad una perra che ha partorito 5 cuccioli e li ripara dagli artigli degli avvoltoi. Roberto ci racconta della campagna di sensibilizzazione che stanno facendo per educare la gente alla sterilizzazione. Al basurero vivono circa 900 cani, la maggior parte dei quali si nasconde nel bosco che lo delimita, cibandosi della fauna che lo popola, contribuendo alla sua quasi totale estinzione, il governo non se ne interessa ed è per questo che è nata l' associazione Palmas Unidas. Roberto ci invita a casa sua e finalmente conosciamo Blanca, la sua esposa. L' ampio soggiorno è un museo della musica inglese degli anni 60-70-80. Alle pareti poster dei Beatles, degli Who, Rolling Stones e di Bowie. Ci presenta i suoi pappagallini, Peter Gabriel e Freddy Mercury, il primo fischia fortissimo quando sente Roberto chiamare il cane Emilio.
Poi ci porta sul tetto, dove c'è la cupola blu che si vede dalla strada, il cielo è rosso che ci colora la pelle, quella di Roberto si confonde con il colore dei suoi capelli, mi permette di salire sulla cupola, Terry mi segue con le mani, ci scattiamo una foto tutti e tre, ci sentiamo vicini. Roberto ci parla del suo progetto artistico per ora abbandonato di trasformare los cuartos che si affacciano sul giardino in laboratori-abitazioni per scrittori e pittori. Ce la farà, lui agarra la buena honda. Ci invita a unirsi a lui e Blanca per la cena in un piccolo localino dove servono la parillada argentina, è il suo ultimo giorno di carne, da domani forse sarà vegetariano, forse si depurerà solo per un pò. Accettiamo senza neanche consultarci, onorati della proposta. Sappiamo già che ci mancherà Roberto, la sua naturalezza nel coinvolgerci e nell' offrirci la sua conoscenza, i viaggi sul suo carro io e Terry seduti uno in braccio all' altro su un unico sedile, stretti e abbracciati e sorridenti, l' energia, l' universo, il karma e le buone persone.
I casi della vita, le situazioni, le seconde chance e gli incontri fortunati. A metà strada verso casa ci facciamo lasciare a terra, abbiamo bisogno di camminare noi, di somatizzare e far scorrere dentro e fuori tutte queste emozioni che si agitano dentro, senza parlare, senza dircelo che ci sentiamo ricolmi e traboccanti.
Buena suerte amigo y gracias por todo.


lunedì 26 ottobre 2015

#SanCristobaldelasCasas #2300mt. #Ninos #Indios #pioggia e #sole #Messico #Mexico #CanondelSumidero #Sumidero

20 de Octubre
llevamos de Palenque hasta San Cris
22 de Octubre Canon del Sumidero y llegada a Tuxtla

A mezzogiorno lasciamo Palenque con un OCC (Omnibus Cristòbal Colòn) diretto sui monti del Chiapas, destinazione finale: San Cristobal de las casas.
Dalla cartina le distanze sembrano contenute, ma basta allontanarsi di poco dal deposito degli autobus per cominciare a salire affrontando curve su curve tra la selva.

Passeremo le prossime 5 ore in territorio zapatista,
dove nacque la rivolta del subcomandante Marcos e dove ancora è attiva la presenza dell' esercito di liberazione nazionale, il famoso EZLN tanto caro ai nostri centri sociali che si fregiano della sua sigla senza però viverne le condizioni. 
Incontriamo natura selvaggia e villaggi al limite della
nostra comprensione. Dai finestrini, mentre procediamo lungo il percorso, guardiamo gruppi di persone che ci guardano passare, per strada, accanto a capanne di legno, o in bottegucce senza pavimento, dove si vendono l' immancabile coca cola, e altre porcherie confezionate.

I bimbi vestiti tutti uguali, con le divise fornite dalla scuola, escono a frotte da rettangoli di cemento con poche finestre, con il nome dipinto sulla facciata. Cani randagi in mezzo alla carretera, l' autista è obbligato a dare di clacson continuamente per farli spostare. Continuiamo a salire, i bambini camminano sulla strada, mentre fuori piove. Sembrano non curarsene. Altri villaggi lungo il percorso, su alcune grate di ferro arrugginite, di quelle usate nell' edilizia, stanno piccole magliette e calzoncini stesi ad asciugare,
che adesso si bagnano ancora, gli uomini lavorano lungo la strada, gruppi di ragazzini a lato dei rallentanti ci guardano passare, l' autobus sube y sale, mentre il monitor proietta Hercules.
Si procede piano. L'autista suona il clacson e ferma la mano in aria, con un gesto di monito, in direzione di un bimbo in piedi sul ramo di un albero, lui in risposta gli mostra il dito medio, i pochi che hanno assistito alla scena ridono. L' acqua cola sul vetro a cascate mentre la luce diminuisce. Arriviamo a San Cristobal che è quasi buio, la temperatura è più che fresca.

Nelle stanze delle posadas non c'è riscaldamento, ci domandiamo come si attrezzino per l'inverno,
quando le temperature si avvicinano allo zero. Le  indigene Lacandòn scese dai villaggi vicini per mercanteggiare, girano per le strade offrendo coperte e maglioni tradizionali, vestite di gonne nere di pelliccia ispida, ai piedi infradito. I bambini portano al collo cassette di legno con caramelle e cìcles. In testa cappellini colorati con i paraorecchie. Nella cattedrale la gente recita orazioni rivolta alle teche e alle statue dei santi, un padre schiaffeggia in testa il suo figlio adulto
con un mazzo di basilico odoroso, mentre ripete una litania in una lingua che non ha niente  a che fare con lo spagnolo.

I bimbi Lacandòn fuori in strada restano zuppi nei loro vestitini, una mamma sfila e strizza il cappellino del suo bimbo più piccolo, poi glielo calca in testa con un' espressione che sembra dire "questo hai, e te lo devi tenere così, perchè altro non c'è".
Terry si incazza col mondo, occhi gonfi e la rabbia di non poter fare molto di più. 
Viaggiare aiuta a crescere, è tutto quello che mi riesce di dire, spesso anche attraverso quello che ci fa male vedere, quello che non vogliamo accettare, ma che non possiamo cambiare.
Probabilmente sono tutte chiacchiere, per cercare in qualche modo di mettere a tacere quella parte dentro di me che si contorce, ma che non sa che cosa
fare, per continuare a girarsi dall' altra parte senza sentirsi complici e cinici pensando a quello che abbiamo lasciato a casa e di cui ci lamentiamo di continuo.
Viaggiare e vedere, conoscere e raffrontare, cercando di non cucire addosso alle persone infelicità e sofferenze che non sappiamo se
provano. Se la vita vissuta è sempre stata questa, se non se ne conosce altra, se andare via non è mai stato contemplato, se le regole non scritte
del pueblo sono sempre state quelle..cosa mi da il diritto di pensare che questa vita sia sbagliata? Cosa mi fa credere che la mia sia migliore?
Perchè occupo da sola una casa che qui normalmente si dividono in 8-10 persone dormendo accalcate sulle amache per tenersi caldo?
Perchè ho la facoltà di riempirla di cose inutili pagate con il mio tempo? Cosa sono i soldi se non tempo, tempo sprecato lavorando per poter
acquistare cose che non mi servono veramente. Tempo che non posso riavere, e che avrei potuto spendere diversamente. Lavorare per il tempo, e impiegare il tempo guadagnato in conoscenza. Del mondo in cui vivo, andando a conoscere la parte in cui non sono nata, per fortuna o per sfortuna. La pioggia ci butta giù, camminiamo, poche parole, un centro culturale allegro e attivo ci regala un pò di quiete nell' animo, un bel giardino circondato da quattro lati di passerella in legno scuro, ogni passo una porta che nasconde un piccolo universo di creatività..alcune chiuse, altre ci permettono di sbirciare.

Il teatro dei burattini, la stanza donde se toca la guitara, la stanza di incisione, col tornio costruito a mano sul progetto del professore, la stanza dove si filano i tessuti con il telaio, lo xilofono gigante nel cortile, con le bacchette appoggiate sopra che ti invitano a provare e un quaderno su cui riporto le note dell' inno alla gioia che visto che non lo so suonare almeno ci pensa il maestro e mi sento un pò a casa.
Una bimbetta che rastrella le erbacce che il nonno ha tagliato intorno ai fiori, tra cespugli a forma di elefantini.
Di nuovo in strada, di nuovo pioggia, in lontananza una scala che si arrampica in collina e porta all' ennesima chiesa in cui rifugiarsi. Quanto stupore pretendi che possa tirar fuori in un posto come questo, con un tempo come questo.
Mi addormento infreddolita mentre parlo con mio nonno e gli chiedo di intercedere per un pò di sole, che so che sa essere convincente. Mi sveglio cercando la luce e trovo anche le nuvole che si sfaldano, sono le 7 e mi va di correre fuori.
Ripercorro strade già imboccate 100 volte e che adesso sembrano altre, vedo brillare colori di facciate che fino a ieri erano spente, il cielo esplode tra i tetti acceso e pulito anche se ho ancora paura che le nuvole tornino presto. Penso al programma della giornata. E' quella giusta per il Canon del Sumidero, corro a dirlo a Terry.
Un colectivo, 40 km, Chiapa de Corzo, imbarcadero, aspettiamo di riempire la lancia, poi si va.

Pareti di roccia a picco, su cui si aggrappa la vegetazione si allungano verticali a toccare il blu emergendo dal verde, rapaci neri sopra le nostre teste, girano e girano, aironi appoggiati ai tronchi d' albero che galleggiano sulle acque di fango ci guardano impassibili. La lancia si impenna e sfrecciamo tra le gole, tutti fasciati nei giubbotti salvagente. Cormorani si alzano in volo disturbati dal nostro passaggio. Un coccodrillo avvistato, 4 scimmiette su un albero, una cascata scivola sinuosa dalle rocce, una più alta viene giù dritta come un velo, un' altra rimbalza sulle falde larghe di un vestito di muschio. Il sole. Dio..il sole che ci cuoce ma non ci lamenteremo mai più se ci farà l' onore di rimanere con noi fino alla fine del viaggio. Ci avviciniamo ad un immenso cumulo di spazzatura galleggiante, la guida giustifica la presenza di migliaia di bottiglie di plastica adducendo la colpa alle recenti piogge, che avrebbero convogliato qua tutta la "basura" proveniente dalla strada...mmm..
davvero improbabile per poterci credere.
Ci rassicura dicendo che il personale apposito si stà già premurando di ripulire il corso d'acqua. Io e Terry osserviamo in silenzio tre lance che galleggiano tra i rifiuti, ognuna ha un' equipaggio di tre uomini, che prelevano una bottiglia alla volta della superficie dell' acqua per depositarla sul fondo della barca..ottimo lavoro ragazzi, di questo passo per il 2025 forse ce la fate..beh no, considerando che la gente, e non la pioggia, continuerà incurante a liberarsi dei suoi rifiuti impunemente, forse nel 2025 le visite al Canon si faranno guadando la rumenta!
Me li immagino gli imbarcati che al posto del giubottino salvagente verranno equipaggiati con ombrellini per proteggersi dai cumuli di bottiglie alzate dalle velocità della lancia.

Poi arrivano i pellicani, che in stormo ci seguono abbassandosi e alzandosi sul pelo dell' acqua in una danza sincronizzata. Il Canon si allarga e le pareti si dissolvono in acqua e ora siamo in un vastissimo lago circondato da prati e colline verdissime. La diga della centrale elettrica frena la nostra corsa, i messicani in vacanza si comprano anguria con chili (ma perchè?!) e birra in lattina per il viaggio di ritorno, da una barchetta a cui ci siamo affiancati. Il sole continua a splendere, Terry sembra aver abbandonato il grugno da pioggia di questi giorni. Il buon Cella ce l' ha fatta anche stavolta e io non avevo dubbi sul fatto che ci riuscisse. Continuerò a chiedertelo ogni giorno, di metterci una buona parola con Chaac, e non mi parlate di Uragani o di Patricias che tanto non ci credo.