venerdì 7 dicembre 2018

Giornata relax e tramonto spettacolare prima di scontrarsi con la nuova Thailandia



02/12/2018
Mi sveglio dopo una bella dormita scoprendo che, per una volta, il display del telefono non segna le 6, come primo numero, ma bensì le 9! Non che mi abbia pesato in questi due mesi, anzi, le giornate a Taiwan non bastavano mai, quelle in Vietnam si sono rivelate da subito lunghissime e mi hanno permesso di fare e vedere tantissime cose, qui in Cambogia, che fa più caldo, ma un bel caldo secco, ci si può permettere di poltrire un po’ oggi, che tanto il più è fatto! Alla fine ho comprato un volo per Bangkok, perché di passare un’altra frontiera via terra e prolungare la già enorme quantità di ore del viaggio più del dovuto non mi allettava.


Così molto pigramente io e Ariel andiamo  a fare colazione in una scuola di pasticceria speciale, dove vengono accolte e istruite ragazze con storie difficili. Il posto è un po’ inculatiello, ma grazie a questo può godere di un bel patio silenzioso all’ombra degli alberi. Nella vetrina sono esposti dolci d’ispirazione occidentale, rivisitati con prodotti locali come il cocco, il mango, e il dragon eye, una specie di litchi dal guscio liscio, molto più saporito e con un nocciolino piccolo e lucido che sarebbe l’occhio del drago. Ordino anche un caffè freddo, io che non ne bevo mai, ma che mi sono innamorata di quelli assaggiati in Vietnam, qui purtroppo non rimango soddisfatta, ma solo adrenalinica tutto il giorno.


Quando arrivano le 16, ci mettiamo nell’ottica di andare a vedere un piccolo tempio saltato ieri per la stanchezza, che nasconde all’interno delle sue torri dei bellissimi bassorilievi molto ben conservati, ma il MUST della giornata è scoprire se ho ragione, a pensare che il tramonto sulle acque a ridosso del Neak Pean, sará strepitoso. C’è poco margine di errore secondo me: una lunga passerella di legno attraversa un corso d’acqua statico da cui spuntano alberi spogli e tronchi. La vista è aperta per molte centinaia di metri nelle due direzioni, perciò ho ragione di credere che ci regalerà splendidi giochi di luce e ombre. L’unico inconveniente è che il sito, siccome non è contemplato come luogo papabile per il tramonto, chiude alle 17:30.


Quando arriviamo noi, la poca gente che è rimasta sta già sciamando e rimaniamo in meno di una decina seduti sulla passerella con i piedi a penzoloni, facendoci accecare dal sole che piano piano si tuffa nell’acqua. Lo spettacolo è stupendo, il cielo e il fiume assumono colorazioni assurde, dorate, infuocate, ad un certo punto il sole si incastra tra i rami di un albero secco che spunta dall’acqua. Il nostro nuovo Tuk Tuk driver di oggi, che è molto simpatico, aspetta insieme a noi per godersi lo spettacolo. Dal fondo, con passo rango si avvicina il guardiano del sito per farci sloggiare, è serio e inflessibile! Gli chiedo ancora 5 minuti, risponde secco no, ma poi scatto e gli faccio vedere la foto sul display, il viso si ammorbidisce, rapito dalla bellezza dell’immagine, mi concede ncora di stare finché il sole non sparisce dentro l’acqua, poi torna imperioso e abbandoniamo il campo.


 Nel viaggio di ritorno cantiamo e il driver si gira a guardarci divertito. Consumiamo la nostra ultima cena insieme  e poi ci abbracciamo prima di fare ritorno nelle rispettive camere, mi viene quasi la lacrimuccia, perche questa è davvero l’ultima volta che ci incontreremo, almeno in questo viaggio. L’indomani alle 6:30 sono già pronta a salire sull’ennesimo Tuk Tuk, diretta all’aereoporto per il volo che mi porterà in Thailandia, a Bangkok in meno di 50 minuti. È presto, sono stanca, ho dormito ad intermittenza e sono la prima della fila del check in. Subito dopo di me arriva un inglese con i denti in putrescenza ed evidenti segni di psoriasi o malattie affini su entrambe le mani, gomiti e collo. Mi parla, ma un po’ perché è mattina e sono stanca, un po’ perché l’accento di Londra è veramente ostico, capisco una parola su tre, per il resto interpreto e cerco di non fare la faccia stupida di quella che non afferra il concetto. Praticamente mi racconta che viaggia per lavoro, non so bene cosa consegna nelle mani di chi, ma il punto è che mi mostra un sacco di timbri di entrata e uscita sul passaporto, spesso ad un solo giorno di distanza uno dall’altro. Però lui dice che non è male..
Per due file non siamo seduti vicini, segno che ogni tanto la provvidenza intercede, ma comunque fa tempo a localizzarmi prima dell’imbarco, dopo l’atterraggio e fino a quando le nostre strade si dividono: la mia porta al recupero bagagli, la sua alla connessione con il prossimo volo. Nella foga di liberarmi di lui gli stringo la mano, per poi chiedermi se fosse per caso contagioso!
E comunque sono in Thailandia, quarto paese di questo viaggio che sta per concludersi, ma che, se tutto va bene, riprenderò a Gennaio di nuovo da qui! La prima cosa che salta agli occhi è che fa caldo, troppo caldo, il più caldo di tutti i caldi, non piacevole come il Vietnam, non secco come la Cambogia, ma torrido come la Thailandia!


E già mi sento l’influenza per la troppa aria condizionata.
Fortunatamente il percorso dall’aereoporto al mio ostello è tutto all’interno di stazioni di metro, quindi per il 95% del tragitto sono al fresco. Ma l’ultimo 5%...ovvero gli ultimi 500 metri a piedi sono un massacro. L’ostello però è bello, tranquillo e siamo in due in una stanza da 6..l’altra è cinese e non esce mai dal letto, una sorta di mummia, quindi una compagna perfetta. Mi accomodo nel mio letto, indecisa se abbandonarlo subito per la prima di una lunga serie di sudate o se decidere di barricarmi anch’io tra le lenzuola per i prossimi tre giorni. Poi decido di uscire.


Cammino fino al molo 4 da cui prendo un battello che mi porta sulla sponda destra del fiume Chao Phraya, mi dicono che farò il biglietto a bordo ma la signora col cilindretto in acciaio con le monete da me non ci viene, quindi brusisco che la Thailandia mi sta dando il benvenuto. Mi trovo davanti il Wat Arun, un bellissimo complesso di Templi buddhisti riccamente decorato con ceramiche cinesi e da animali mitologici, purtroppo il mio abbigliamento non è considerato consono e quindi non posso visitare il Prang principale, ma mi accontento di vedere tutto il resto.


Quando poi ritorno sul molo per riprendere il battello, vengo assalita in malo modo da un cafonissimo  della compagnia di navigazione più cara, che mi accusa di voler salire sull’imbarcazione senza biglietto. Io provo a spiegargli che mi hanno detto che si paga a bordo, ma lui strepita che sono una bugiarda, gli chiedo allora con altrettanto calore dove fare il biglietto e mi manda dalla sua bigliettaia, una grassa antipatica scorbutica che quando gli nomino il molo 4 mi dice di no e indica col braccio in direzione del molo, interdetta cerco di capirci qualcosa e torno sulla banchina.


Dopo ritorna lui, il cafonazzo a urlarmi ancora dietro, perdo le staffe e urlo più di loro, lui è quella cretina della sua bigliettaia che ora nega che gli abbia chiesto di fare il biglietto, altri stranieri assistono e prendono le mie difese, gli occhi mi diventano una fessura e a denti stretti intimo alla stronza sovrappeso di darmi un cazxo di biglietto, ma al solo nominare il molo 4, ahhhh niente biglietto!!


Finalmente capisco da sola che al molo 4 ci va la compagnia più economica, ma loro mica lo dicono, e neanche ti indicano dove aspettare! Gli stranieri mi accolgono nella loro fila e come vacche da macello attendiamo il nostro battello delimitati dai cordoli, finché veniamo incitati in malo modo ad imbarcarci, mentre ci spintonano e ci gridano. Io sei anni fa mi ricordavo un popolo completamente diverso, il paese del sorriso lo chiamavano, ma ora, trovo una situazione diversa, un popolo trasformato, che al posto di sorridere urla e strattona.


Ovviamente tutti i turisti che arrivano sul molo e cercano indicazioni, vengono informati dalla sottoscritta che non è necessario pagare il triplo per il battello con la bandiera blu, perché quella arancione è più economica. E quando arriva il mio turno di salire a bordo e passo davanti allo stronzo cafonazzo, sfoggio un sorriso vittorioso e appena apre bocca per chissà come apostrofarmi, gli rifilo una sequela di insulti e maledizioni che se ne va a segno anche solo una, può pregare Buddha, Shiva, Vishnu e la Madonna che neanche padre Amort lo può salvare!


mercoledì 5 dicembre 2018

Angkor giorno 2: il Bayon, le mille facce sorridenti, la storia di Naga e il tramonto all’Angkor Wat



01/12/2018
È Dicembre!! Qui in Cambogia hanno gia iniziato ad esporre gli addobbi natalizi e si sentono ovunque canzoni di Natale. Ma fuori ci sono sempre gli implacabili 30 e più gradi!
Alle 8:00 precise Pon ci aspetta fuori dall’ostello e partiamo verso il giro dei Templi più conosciuti.


Ci basta vedere da lontano quanta gente sta attraversando la passerella galleggiante dell’ Angkor Wat per decidere di proseguire verso il Phnom Bakheng, che molti pare prediligano per il tramonto. In realtà, come visto ieri per il Pre Rup, il tramonto dai templi è abbastanza inutile: 1- perché sarà pure bello vedere tramontare il sole tra gli alberi seduti in massa su pietre antiche e cariche di storia, ma di fatto a me piace vedere il sole che tramonta contro il tempio, e se è pieno di gente ammassata sui gradini, che guarda nella parte opposta, l’effetto fa molto foto ricordo cinese, quindi no grazie. 2- sono una viaggiatrice atipica, lo so, ma la condivisione dello spazio con troppa gente non è nelle mie corde, non basta che il limite massimo sia di 300 persone..300 persone stipate in pochi metri sono un mucchio di gente! Lungo la strada incontriamo un gruppo di scimmiette e ci fermiamo a giocare un po’ con loro, Ariel riesce a farmi delle foto molto carine con una piccina che si è fatta prendere in braccio.


Sulla nostra sinistra inizia il sentiero che si arrampica fino al Phnom Bakheng, un sito minore, attualmente in restauro, ma molto apprezzato e bello. Lungo la salita ci supera una coppia locale in scooter con un maiale cotto allo spiedo legato dietro. Arriviamo alla base del tempio, che è  strutturato come una piramide a 7 livelli, un tempo 108 torrette erano di guardia attorno alla struttura principale, lungo i gradini e sui lati, oltre che intorno alla base, ma sono tutte crollate. C’è un bellissimo panorama tutto intorno, la foresta circonda i Templi e li rende magicamente selvaggi.


Oltre la piramide, una breve passeggiata porta ad un paio di torrette, dove i cambogiani in scooter stanno celebrando un rituale per gli dei della natura, il maiale arrostito è posato a terra su un cartone, loro pregano e versano bevande al suolo, poi tagliano il maiale in pezzi e lo offrono simbolicamente alle statue racchiuse dentro la torretta. Affrettano i gesti vedendoci arrivare, pur restando sorridenti e cordiali. Si spartiscono in maiale e se ne vanno. Quando arriviamo al Bayon, il Tempio più grande, caratterizzato da un’infinita moltitudine di volti sorridenti, decidiamo di prendere una guida per 15 Usd. L’ora e mezza trascorsa insieme si rivela davvero interessante ed istruttiva.


Bana ci racconta che il Bayon è stato l’ultimo tempio ad essere edificato ad Angkor e l’unico costruito principalmente come tempio Buddista, questo perché nel corso dei secoli dell’impero Khmer,  c’è stata parecchia confusione in merito alla religione predominante: inizialmente si celebravano gli dei della natura, (come abbiamo visto fare nel tempio precedente, confermato da Bana la guida) poi divennero Buddhisti e i templi furono arricchiti con statue raffiguranti il Buddha, alcune ci sono ancora, molte vennero distrutte, altre invece, in rilievo lungo i muri, furono tagliate e asportate quando la religione diventó induista. Le colonne sono ricche di bassorilievi rappresentanti Sciva, danzatrici Khmer e Visnu. Quando poi si fece ritorno al Buddhismo, tutto venne lasciato inalterato, la filosofia pacifista di Buddha permette che in questi templi si venerino anche gli dei Indù.


Il primo livello che visitiamo, la galleria più esterna, è ricca di bassorilievi che rappresentano varie scene della storia dei Khmer e della loro vita sociale, si possono vedere gli scontri via mare con il popolo dei Champa, cerimonie e celebrazioni con tanto di danze, il lavoro nei campi, con tanto di pigrone che dice agli altri cosa fare, divertimenti popolari come le lotte di galli o di cinghiali, la vita di casa, la cottura del pesce. I Champa sono riconoscibili dal copricapo a punta, i Khmer invece dalle orecchie lunghe, Bana dice che era simbolo di fortuna e lui ricorda che da piccolo sua mamma gli tirava sempre i lobi per farglieli allungare.


Poi i Khmer Rossi hanno diviso le famiglie, e lui è stato mandato da solo in un villaggio lontano dai suoi cari, non l’ha più rivisti ed è cresciuto coi monaci. Molti orfani sono cresciuti nei Templi, sfamati dai Monaci che li hanno anche istruiti, poi quando sono stati abbastanza grandi per lavorare hanno contribuito ad aiutare, finché ognuno ha trovato la sua strada. Adesso Bana ha una moglie e due figlie, ma gli manca non avere altri familiari all’infuori di loro. Saliamo al secondo livello, osservati dalle tante facce sorridenti di pietra, attraversiamo corridoi coperti, che ci regalano un po’ di riparo dal sole, poi arriviamo davanti alla statua di Buddha in meditazione seduto su un Naga acciambellato sotto di lui.


Bana ci racconta la bellissima storia rappresentata da questa statua: al fine di raggiungere l’illuminazione decise di meditare per 7 giorni e sette notti senza fermarsi, ma nel frattempo arrivó un monsone che portó forti venti e piogge incessanti. Egli tuttavia non smise di meditare, il suolo inizió a coprirsi d’acqua e la temperatura a scendere, così Naga, il mitologico serpente a 7 teste che generó il popolo Khmer, si acciambelló sotto di lui, elevandolo dal suolo, aprì le sue 7 teste e spruzzó fuoco per tenerlo al caldo.


Sono talmente affascinata da questa storia che subisso Bana di domande e a fine giornata, fuori dall’ultimo tempio, Ariel compra e mi regala una statuetta in legno di Naga che protegge Buddha. Dice che si vedeva che mi era piaciuta così tanto la storia e sarebbe stato bello averne un ricordo. È stato un gesto davvero carino!
Proseguiamo la nostra visita in altri tempi molto belli, Ta Keo, il Ta Phnom, con gli edifici avviluppati dalle radici degli alberi, finchè per ultimo ci teniamo Angkor Wat, quando la maggior parte dei turisti si dividerà tra i due templi indicati dalla Lonely Planet, come i migliori per vedere il tramonto.


 La passerella è sgombra e anche se c’è un po’ di gente, la situazione è molto vivibile, inoltre non c’è coda per salire alla struttura principale, da cui si gode di bellissimi panorami. Usciamo prima che il sole scompaia dietro gli alberi, per vedere le 3 torri, simbolo della Cambogia e rappresentate nella bandiera, infiammarsi di luce.


Poi lo spettacolo migliora di minuto in minuto sull’acqua del fiume che lo circonda, quando il cielo assume tonalità dal rosso al rosa. Fondo la povera Canon per immortalare ogni frazione, Ariel sicuramente è già spiaggiato sul Tuk Tuk che mi aspetta insieme a Pon. Mangiamo un piatto veloce morti dal sonno e ci diamo appuntamento all’indomani, ma senza orario. Siamo stanchi del caldo, delle buche e delle scalate degli ultimi due giorni, dedicheremo la giornata al relax.






lunedì 3 dicembre 2018

Del ritorno di Ariel, degli effetti dell’happy pizza e del primo giorno ai Templi di Angkor


29-30/11/2018
Fa moltissimo caldo anche oggi..siamo alla fine del mese di Novembre e il sole qui in Cambogia è decisamente più sfiancante che in Vietnam, dove si stava bene, c’era caldo ma non si aveva l’impressione di fondere In una fornace. Ieri sera, di ritorno dalla mia giornata pesantissima ho però ricevuto una bella sorpresa ad attendermi. Ariel, il mio amico Israeliano, mi ha raggiunto oltre confine per visitare Siem Reap e i templi di Angkor War insieme!
Mi ha fatto molto piacere ritrovarlo ancora, anche perché eravamo ad Ho Chi Minh City negli stessi giorni, ma tra tempeste e appuntamenti galanti con ragazze asiatiche (lui ovviamente), non eravamo riusciti a salutarci.


Andiamo quindi a cenare in un ristorante vegetariano vicino al fiume Tonle Sap, su cui si affaccia il nostro ostello e poi finiamo la serata a chiacchierare sul tetto, che ha una bellissima zona Chill out, dove rilassarsi, guardare le barche illuminate che scivolano sull’acqua, bere una birretta e sfumazzare le ultime sigarette Saigon che mi sono rimaste. Quando torno in camera mia, la singaporense dorme già e la taiwanese inizia una sinfonia di russate degne di un taglialegna. Provo coi versi, a schiarirmi la gola, a chiamarla come fosse un gatto ma ottengo solo un effetto peggiore, alla fine le sbragio un ”Ohuuuu” e per un po’ si cheta.
Il giorno dopo è l’ultimo a Phnom Penh, devo un po’ correre queste ultime tappe perché il tempo stringe, così, mentre Ariel dedica la sua giornata all’orrore dei Khmer Rossi, io gironzolo tra Stupa, Templi e il Museo Nazionale.


Il Palazzo Reale no, perché anche se indosso una grande e caldissima stola, non basta per non offendere la famiglia reale, quindi vengo rimbalzata..non ci rimango così male, in coda per entrare ci sono una tonnellata di cinesi e vecchi francesi dall’aria sperduta.
Oh, e c’è anche l’imbarcazione più lunga del mondo iscritta al Guinness dei primati! Mi dicono che se arrivavo qualche settimana fa potevo vederla scendere lungo il fiume!


Visto il gran caldo e la fatica a fare qualsiasi cosa, mi lancio dentro una Spa e mi regalo un fantastico massaggio Orientale, uno dei migliori della mia vita, il posto è bellissimo, tutto in legno scuro e tappeti di corda, mi lavano i piedi, calzo le infradito, salgo le scale mentre ascolto note rilassanti e mi sdraio su un lettino che profuma di albero, abbandonandomi alle mani della mia sapiente massaggiatrice Khmer.


Dopo più di un’ora ritorno sulla terra e con lo sguardo goduto sono pronta a riaffrontare il caldo di Phnom Penh, l’incessante offerta di Tuc Tuc e neanche me ne frega più del Palazzo Reale. Anzi, entro nel Burger King che è di strada e ordino un panino, in quella arriva Ariel, che ha avuto la mia stessa idea, siccome qui in Cambogia i ristoranti sono più cari e meno allettanti del Vietnam.
Prenotiamo lo sleeping bus notturno delle 23 per Siem Reap e andiamo a veder il tramonto sul tetto. Lui va a mangiare una pizza, ma non una normale pizza, la famosa happy pizza di cui anche le mie compagne di stanza mi parlavano stamattina, ecco spiegato perché la notte precedente una era brasata e l’altra russava come un trattore! Trattasi di pizza con semi di marijuana, disponibile in versione soft, con pochi semi, intermedia e superstrong!


Il fatto è che io mica ho associato che Ariel andava a mangiare l’happy pizza, quindi quando torna con gli avanzi me li offre, io la guardo senza capire cosa sia il condimento verdastro, penso ad una spezia di quelle orrende che solo loro possono mettere sulla pizza e ne addento una fetta. Storco il naso perché mi sembra di mangiare una pizza all’alga Nori, quella usata dai giapponesi per il Sushi, e gli chiedo “ Is it Pesto Sauce?” Lui mi guarda come se fossi cretina e mi risponde “No, weeds!”  Quando realizzo che ho appena mangiato una fetta di pizza ai semi di Marijuana strabuzzò gli occhi e  inizio a insultarlo! “Ma sei scemooooo! Io non mi drogo!” Lui mi guarda esterrefatto, dicendo che pensava avessi capito, si scusa 100 volte, ma ormai io sono già lì ad aspettare di percepire l’effetto di quella piccola microscopica fetta, che immagino mi procurerà incubi notturni, proprio stanotte che devo viaggiare in un bus, tra chissà quante persone, senza l’accesso al bagno, nè i comfort di una normale stanza in ostello!


Quando arriviamo sul bus, scopriamo che ci hanno dato due posti letto a livello inferiore, come volevamo, ma sono gli ultimi in fondo, quindi quando ci sdraiamo sentiamo il motore che gira sotto le nostre teste. Ci scappa la ridarella, forse l’ happy pizza inizia a fare effetto e cerchiamo di soffocare le risate peggiorando la situazione. Nel silenzio si sente solo noi. Iniziamo a sparare cazzate, immaginando di essere tamponati nella notte, poi arrivano i due inquilini sopra ai nostri letti: uno più grasso dell’altro!


 Riattacchiamo a ridere pensando che le strutture non reggeranno e verremo schiacchiati nella notte, poi per fortuna il bus parte e noi ci addormentiamo. Mi sveglio che ci siamo appena fermata alla stazione di Siem Reap, incredibilmente ho dormito tutto il viaggio!
Andiamo in ostello a posare gli zaini e partiamo subito a contrattare un Tuc Tuc che ci porti a visitare un po’ di templi, tra l’altro pantaloni sotto il ginocchio e maniche oltre le spalle per rispetto ai luoghi di culto!! Voglio morire!


Il meglio lo lasciamo per il giorno seguente. Oggi facciamo il giro dei misci!
Il nostro Pon ci porta in giro fin dopo il tramonto, aspettando paziente il nostro ritorno e fermandosi ad ogni richiesta. Si diverte anche a scassarci la schiena sulla strada piena di buche che porta da un tempio all’altro!


Visitiamo in tutto 6 templi, tra il sole cocente, la terra rossa che ci ricopre tutti i pori fin sopra ai capelli e la nausea del sali e scendi di scale ripidissime, cunicoli stretti, viste mozzafiato, stagni in cui si specchiano le antiche torri cerimoniali, giovani bellezze esotiche che ci sfiniscono di richieste d’acquisto della loro merce, bambini bellissimi che ci guardano diffidenti. La sera Ariel va in un posto dove si riunisce la comunità ebraica locale, io faccio un giro tra le luci colorate dell’enorme night market e poi mi butto nel letto stravolta dalla giornata.