martedì 27 ottobre 2015

#tutzla #tutzlagutierrez #tgz #salinacruz #adokiller #rally #rallydesalinacruz #raptor #huatulco #plazadelphinus #roberto #blanca #perritos #palmasunidas #bahias #maguey #laentrega #autostop #love #energy #goodpeople #friendshipneverends #mexicomagico

22 de Octubre llegada a TGZ (Tuxtla Gutierrez)
y viaje con destino al Pacìfico


Felici del ritorno dell' amato sole che ha lavato via la tristezza dai nostri animi, decidiamo che ci siamo meritati un pò di relax, quindi passeremo la notte non lontano dal Canon, a Tutzla Gutierrez, capitale dello stato del Chiapas che ci stà ospitando da Palenque e che si merita un pò di attenzione in più. Tuztla in effetti non è la capitale che ci si aspetta, non è moderna, non è curata, ma non si può dire che manchi di vitalità. Oltre che di traffico. Per nostra fortuna abbiamo localizzato un hotel che pare un' oasi felice in mezzo ad un marasma confuso e infetto. Per la prima volta mi sento infastidita da quello che mi circonda. Forse devo solo sfogare un pò di frustrazione accumulata finora.
Varcata la soglia del San Miguel il rumore si attutisce e sono pronta a sorridere anche al cicciollo della reception che cerca di incularci col cambio sul prezzo della camera, che comunque non riesce nell' intento. Questa cosa di modificare i prezzi a seconda della nazionalità degli ospiti deve finire, fortuna che l' arma booking.com è seconda solo al Napalm.

Lavati e profumati ci avventuriamo per l 'Avenida Central che col favore delle tenebre prende sicuramente qualche punto in più, diventando persino affascinante nei pressi dei giardini, dove nel gazebo centrale si suonano melodie locali con l' immancabile xilofono gigante. I ciudadanos ballano, altri osservano seduti in file come a teatro.
Per stasera facciamo i turisti, così andiamo a testare il folclore locale in un ristorantino atto proprio allo scopo di far conoscere e conservare le tradizioni chiapaneche attraverso uno spettacolo colorato di danze e suoni, mentre viene servita la cena a base di piatti tipici. La star della serata è il pumpo, un cocktail a base di ananas, cocco, lime e vodka, servito attraverso una zucca a borraccia tra urla e scampanellii, che informano tutto il locale che anche al tuo tavolo si spendono 150 pesos per qualche minuto di notorietà.
Parte dal bancone la prima scampanellata, i campanelli sono attaccati al soffitto e il camarero agita la cordicella gridando "sale el pumpooooo!" , gli altri camareros gli fanno il coro da ogni lato della sala, qualsiasi cosa stiano facendo, sia sparecchiando, sia portando i piatti, sia rifacendo un tavolo. Poi il camarero con il nostro vassoio con sopra la zucca e due bicchieri guadagna il centro della sala, sulla pista dove si esibiscono i ballerini, e suona il campanello chiamando a gran voce "el pumpo", ancora echi, finche arriva al nostro tavolo urlando "llega el pumpo", scampanella, versa dalla zucca nei nostri bicchieri la bevanda e ci gira le spalle urlando "se va il pumpo".
Ora tutte le volte che ne vogliamo ancora non ci resta che tirare la cordicella sopra il nostro tavolo e scampanellare. Lo xilofono inizia a suonare e i ballerini ci mostrano il Chiapas nei colori dei loro costumi.
La mattina successiva il sole con i suoi 31 gradi ci accompagna ancora.
Prima di addormentarci abbiamo saputo che la perturbazione che ci segue da Tulum si è trasformata in uragano e raggiungerà terra nelle prossime ore. Inizio a fare le congetture inutili che si fanno in questi momenti : ecco perchè il sito non mi faceva comprare i biglietti aerei due mesi fa... ecco il perchè di quella sensazione dell' ultimo minuto di dover cambiare meta, e con questa sono due, l' anno scorso in australia l' ho scampata per 1200 km, stavolta non la scampo..devo saperne di più. Appena mi collego all' ansa scopro che ci si aspetta una catastrofe di proporzioni bibliche, uragano di categoria 5, il più potente e devastante mai registrato, si abbatterà sul Jalisco, a circa 1500 km da dove prevediamo di essere in serata, penso all' anno passato, 1200 km di distanza sono stati sufficienti. Si muove di 20 km all' ora, prevedono venti ai 380 km orari e onde di 120 mt..ci siamo..siamo in un film di fantascienza!
Che questo sole sia la famosa calma prima della tempesta? Eppure mi sembra assurdo. Dicono che si sfogherà nelle prossime ore prima di dirigersi verso il Texas. Non siamo minimamente minacciati, al massimo percepiremo un pò di vento e qualche rovescio. Gli esperti di uragani hanno deciso. Si parte per Salina Cruz, ormai crediamo nel sole perciò abbiamo bisogno di associarci il mare, la tabella di marcia deve essere rispettata! Avremo il nostro epilogo caraibico, pur avendo abbandonato il Caribe ormai da tempo, uragano del cacchio!
Il viaggio è lentissimo, ma alla fine arriviamo alle 8 di sera a Salina Cruz, ci facciamo consigliare un hotel per il nostro budget che rispetti almeno i nostri canoni di pulizia e decoro, visto che questa volta internet non ci ha aiutato, invece ci mandano in una stamberga agghiacciante cupa e sinistra. Terry è sempre imbarazzato quando si tratta di rifiutare qualcosa, che si tratti di ristoranti che non ci convincono o di cianfrusaglie che provino a venderci. Il fatto è che non amiamo molto il tentativo di vendita aggressiva che dilaga da queste parti. E io invece non sono capace a nascondere la delusione che mi si dipinge in volto quando qualcosa non corrisponde alle mie aspettative..però in qualche modo bisogna dirglielo a questo disgraziato che se non rinfresca un pò la situazione qui la gente non ci viene, mi basta conoscere il prezzo attribuito al tugurio per farmi passare ogni delicatezza nel rifiutare l' offerta! Ringraziamo e andiamo oltre. Sosta riflessiva in un cafè italiano (pseudo..)con wifi (per le nostre ricerche) dopo aver visto cosa offre la cittadina...dunque..è deciso, prenderemo un autobus che ci porterà a Huatulco, dove siamo sicuri di quello che ci aspetta! Io cerco il bus, Terry cerca un letto a destinazione..spippoliamo coi nostri cellulari come due invasati, poi solleviamo le capocce trionfanti: abbiamo 3 ore di tempo prima del bus, al nostro arrivo ci presenteremo all' hotel che abbiamo prenotato dove pare troveremo un' ospitalità eccellente e camere confortevoli e abbiamo anche localizzato un ristorantino niente male poco distante da dove siamo seduti. Soddisfatti ci andiamo a rimpinzare di Camarones a la plancha y Camarones rellenos bevendo agua de Sandìa. Poi, zaino in spalla saliamo sull' Ado diretto a Huatulco. Il viaggio comincia e ci assopiamo nelle nostre poltroncine reclinabili in fondo all' autobus. Nel dormiveglia ci sentiamo sballottati un pò più del previsto, rimbalziamo uno contro l' altro, poi Terry apre un occhio proprio nel bel mezzo di una curva a gomito in salita e tra gli spiragli della tenda vede fogliame a non finire. Gli passa il sonno istantaneamente, mi prende la mano e lo sento dire.."ma qua..come ci vogliamo arrivare a Huatulco?". Apro gli occhi e mi ritrovo immersa nel buio dell' autobus sprofondato nel sonno, guardo fuori e anche la strada che stiamo percorrendo ad alta velocità, tra strattoni e sterzate è completamente buia e immersa nella vegetazione.
Curve a non finire, Terry aggiunge "sembra di essere sul Raptor a Gardalan...eravamo a Salina Cruz, abbiamo preso il Raptor e siamo arrivati a Huatulco!" iniziamo a soffocare le risate mentre il bus continua la sua folle corsa, ma si sa che lacrime e risate, più si cerca di trattenerle, più spingono per uscire..sghignazziamo senza riuscire a fermarci e ogni volta che sembra passata Terry tira fuori qualche altra cagata sul Raptor e io riprendo a soffocarmi..poi tocca all' autista, il rally dell' Ado, i passeggeri che dormono di lungo, i sorpassi dei camion al buio..sto per morire e lui non accenna a smettere, poi alla fine arriviamo. Il pavimento del bus sembra quello di una discoteca dopo uno schiuma party! Qualcuno deve aver perso il bagnoschiuma nel tragitto..mentre ci avviciniamo alla discesa Terry mi molesta ancora " Guardilo li Colin " alzando il mento a indicare l' autista che con la faccia da mezza età e gli occhiali sul naso, tutto ci sarebbe sembrato fuorchè il pilota isterico che si è rivelato. Recuperiamo gli zaini e ci facciamo portare all' hotel.

Ci accoglie una stanza bianca e blu, con letto king size e accesso diretto alla piscina..sono le 4 del mattino..sprofondiamo in un sonno profondo fino a mezzogiorno. C'è ancora il sole..tempo di spiaggia, mentre ci avventuriamo fuori nel cortile bianco e azzurro del Delphinus, ci viene incontro Roberto, gambe secche, faccia buona, capelli ricci rossi. Ci chiede se vogliamo un giretto ricognitivo per le baie, ci porta lui, solo che ha un cane morto nel bagagliaio..sta andando a sotterrarlo..ooook..lui e la sua compagna Blanca fanno parte di una associazione chiamata Palmas unidas e cercano di prendersi cura dei cani calleros di Huatulco e di educare la gente alla cura dei propri animali, offrendo servizi veterinari a proprie spese.
Saliamo sul carro, io e Terry davanti, l' odore acre del perro dietro. Roberto ci porta a vedere le baie di Huatulco: la Chahue, di fronte all' hotel, bella, ecologica, selvaggia. Le correnti sono forti qui, può essere pericoloso. Poco distante c'è la baia di Santa Cruz, la vediamo dall' alto e non ci sfugge il colore azzurro e verde del mare pulito, oltrepassiamo la baia della Marina militare, ci mostra una spiaggetta segreta, el Violin, ma in questi giorni gli effetti dell' Uragano hanno reso le calette come questa un pò troppo esposte alla violenza delle onde. Scendiamo a la Entrega, dove Pancho Villa è stato fregato da un nostro connazionale e venduto agli Spagnoli.

Facce di circostanza, Roberto ridacchia, " no hay problema, yo soy italiano tambièn..mi abuelo..era de Bolsano!". Ci scatta una foto con la scogliera alle spalle, e mentre regrezamos al carro, lo miro y le digo que ahora que lo veo su cara es como la de la gente de norte y este de Italia, lui sembra divertito. "Si?" mi chiede pimpante, e io glielo dico che si, che ha quel naso e quegli occhi e quella forma del viso, "y como son" mi chiede, "los mejores de la peninsula" gli dico io, e lui sorride ancora di più. Per accedere alla spiaggia bisogna passare da uno dei tanti ristorantini che si appoggiano alla sabbia con capanne e tavoli di plastica, ognuno con la tovaglia differente dal ristorante accanto. Non si paga l' ingresso ma si ha l' obbligo della consumazione minima. A noi sta bene, è quasi l' ora di pranzo e l' aria è pervasa da profumi invitanti di mariscos. Ma Roberto è scrupoloso, dice che c'è troppa gente, lui vuole che stiamo bene e si offre di portarci a Maguey, poco distante ma molto più grande come spiaggia.
Ci fidiamo di lui e ci piace la sua ospitalità. Maguey è bellissima, accediamo alla playa tramite il ristorante di Sandra e ci sediamo affamati ad un tavolino a pochi metri dalla' acqua, i piedi immersi nella sabbia gialla. Sandra ci porta un piatto di ostriche per tappare il buco. Terry le studia incuriosito, poi decreta che non gli dispiacciono. Pollice su per le nuove scoperte. Mentre aspettiamo i Camarones a la Veracruzana y Camarones con mantequilla y mojo de ajo, ci andiamo a fare un tuffo rinfrescante nelle tiepide acque della baia. qui onde non ce ne sono, siamo protetti all' interno dell' insenatura. Stiamo tutto il giorno in acqua, a rilassarci sospinti dai flutti, guardando i pesci con la maschera intorno alla piccola barriera di coralli blu e bianchi.
Se resto immobile sulla superficie e tendo le mani davanti a me i pesci neri panciuti incuriositi si avvicinano e riesco a toccarne due. Mai successo prima. Ho accarezzato un pesce. No il delfino non lo è, è un mammifero. Poco prima del tramonto salutiamo Sandra e saliamo su un taxi collettivo che ci porta a casa. Dietro io, Terry e una donna giovane, lasciamo il posto davanti alla vecchia pensando di farle un piacere, anche se non ne sembra molto entusiasta. Dopo due curve il taxista rallenta per raccogliere un altro passeggero con valigetta ventiquattrore. Io e Terry ci guardiamo come a chiederci dove potrà mai sedersi..la risposta non tarda arrivare, quello apre al portiera anteriore e si siede in braccio alla vecchia!
Ecco perchè non era contenta! Passeggiamo con la manina lungo il marciapiedi che ci riporta all' hotel, realizzando di quanta tranquillità e silenzio goda questa posto. Non c'è un rumore, solo silenzio, sento le orecchie fischiare. La mattina dopo ci mettiamo in testa di andare a la Entrega a piedi. Sudiamo come porcelli mentre ci arrampichiamo al mirador, a picco sulla baia che ospita la baia della marina militare e da cui si vede il porticciolo di Santa Cruz per le imbarcazioni che portano alle altre baie. Siamo stoici, e un pò abelinati e arriviamo alla spiaggia spossati. Ci facciamo un cocco per riprenderci, il tempo si è guastato un pò. E' il momento giusto per un pulpo a la mexicana y uno encebollado..quanto ci piace mangiare!!
Ho un pò di remore a ordinare una cerveza per paura della maledizione della Negra Modelo, così ripiego sulla Modelo Especial. Sazi di mare e playa ci rimettiamo in cammino para regrezar a nuestra habitaciòn, ma l' ultimo pezzo di discesa che ora si è convertito in salita mi fa pentire di aver rifiutato il taxi facendo la stoica con Terry. Vedo passare le macchine dei Messicani e quasi mi infastidisco perchè a nessuno gli viene in mente di darci un passaggio, Terry mi fa notare che noi non lo faremmo, sento arrivare un carro, cerco di incrociare lo sguardo dell' autista, poi provo ad alzare un braccio, lui ci supera e si ferma a bordo strada, mi giro a guardare Terry " ci da un passaggio!!!" gli dico, "no non ce lo da!" mi dice lui, mi rendo conto che lo sto guardando come se gli stessi chiedendo " possiamo? dai Terry possiamo prendere il passaggio?", lui non dice niente, io mi giro, il carro è sempre li fermo, inizio a camminare più veloce, gridando "ce lo da, ce lo da!", mi giro a guardare Terry che prosegue alla stessa andatura, ma di fatto non mi sta dicendo di fermarmi.
Per me è sufficiente per iniziare a correre un pò di più, finchè raggiungo il finestrino e ci trovo dentro un ragazzo messicano con la divisa dell' hotel Las Palmas che mi saluta gentimente e si offre di portarci fino al centrocittà, chiamo Terry per incitarlo a raggiungerci e saliamo insieme sul sedile davanti. Il pickup riparte e dopo pochi minuti raccoglie un altro ragazzo che incredulo si accomoda nel cassone. Il nostro benefattore fa il concierge, stà andando a prendere servizio e ci racconta che stà lavorando per mettere da parte i soldi per il suo prossimo viaggio. Vuole venire in Europa, vedere Castelli e città medievali, come Bruges e andare in Germania a vedere i luoghi della seconda guerra mondiale, gli dico che deve assolutamente andare in Normandia sulle Route de la guerre, dove troverà testimonianze a non finire. Rientriamo in hotel giusto in tempo per farci reclutare da Roberto ad aiutarlo a portare l' acqua ai perritos che vivono al basurero municipal.
La scenario è avvilente. Rumenta, cani pelle e ossa e avvoltoi neri che aspettano il loro turno per banchettare. C'è anche gente che vive qui, come Fidel, che dà una mano a Roberto a riempire le mezze taniche che usa come abbeveratoi. Un groviglio di rami a terra fa da tana ad una perra che ha partorito 5 cuccioli e li ripara dagli artigli degli avvoltoi. Roberto ci racconta della campagna di sensibilizzazione che stanno facendo per educare la gente alla sterilizzazione. Al basurero vivono circa 900 cani, la maggior parte dei quali si nasconde nel bosco che lo delimita, cibandosi della fauna che lo popola, contribuendo alla sua quasi totale estinzione, il governo non se ne interessa ed è per questo che è nata l' associazione Palmas Unidas. Roberto ci invita a casa sua e finalmente conosciamo Blanca, la sua esposa. L' ampio soggiorno è un museo della musica inglese degli anni 60-70-80. Alle pareti poster dei Beatles, degli Who, Rolling Stones e di Bowie. Ci presenta i suoi pappagallini, Peter Gabriel e Freddy Mercury, il primo fischia fortissimo quando sente Roberto chiamare il cane Emilio.
Poi ci porta sul tetto, dove c'è la cupola blu che si vede dalla strada, il cielo è rosso che ci colora la pelle, quella di Roberto si confonde con il colore dei suoi capelli, mi permette di salire sulla cupola, Terry mi segue con le mani, ci scattiamo una foto tutti e tre, ci sentiamo vicini. Roberto ci parla del suo progetto artistico per ora abbandonato di trasformare los cuartos che si affacciano sul giardino in laboratori-abitazioni per scrittori e pittori. Ce la farà, lui agarra la buena honda. Ci invita a unirsi a lui e Blanca per la cena in un piccolo localino dove servono la parillada argentina, è il suo ultimo giorno di carne, da domani forse sarà vegetariano, forse si depurerà solo per un pò. Accettiamo senza neanche consultarci, onorati della proposta. Sappiamo già che ci mancherà Roberto, la sua naturalezza nel coinvolgerci e nell' offrirci la sua conoscenza, i viaggi sul suo carro io e Terry seduti uno in braccio all' altro su un unico sedile, stretti e abbracciati e sorridenti, l' energia, l' universo, il karma e le buone persone.
I casi della vita, le situazioni, le seconde chance e gli incontri fortunati. A metà strada verso casa ci facciamo lasciare a terra, abbiamo bisogno di camminare noi, di somatizzare e far scorrere dentro e fuori tutte queste emozioni che si agitano dentro, senza parlare, senza dircelo che ci sentiamo ricolmi e traboccanti.
Buena suerte amigo y gracias por todo.


lunedì 26 ottobre 2015

#SanCristobaldelasCasas #2300mt. #Ninos #Indios #pioggia e #sole #Messico #Mexico #CanondelSumidero #Sumidero

20 de Octubre
llevamos de Palenque hasta San Cris
22 de Octubre Canon del Sumidero y llegada a Tuxtla

A mezzogiorno lasciamo Palenque con un OCC (Omnibus Cristòbal Colòn) diretto sui monti del Chiapas, destinazione finale: San Cristobal de las casas.
Dalla cartina le distanze sembrano contenute, ma basta allontanarsi di poco dal deposito degli autobus per cominciare a salire affrontando curve su curve tra la selva.

Passeremo le prossime 5 ore in territorio zapatista,
dove nacque la rivolta del subcomandante Marcos e dove ancora è attiva la presenza dell' esercito di liberazione nazionale, il famoso EZLN tanto caro ai nostri centri sociali che si fregiano della sua sigla senza però viverne le condizioni. 
Incontriamo natura selvaggia e villaggi al limite della
nostra comprensione. Dai finestrini, mentre procediamo lungo il percorso, guardiamo gruppi di persone che ci guardano passare, per strada, accanto a capanne di legno, o in bottegucce senza pavimento, dove si vendono l' immancabile coca cola, e altre porcherie confezionate.

I bimbi vestiti tutti uguali, con le divise fornite dalla scuola, escono a frotte da rettangoli di cemento con poche finestre, con il nome dipinto sulla facciata. Cani randagi in mezzo alla carretera, l' autista è obbligato a dare di clacson continuamente per farli spostare. Continuiamo a salire, i bambini camminano sulla strada, mentre fuori piove. Sembrano non curarsene. Altri villaggi lungo il percorso, su alcune grate di ferro arrugginite, di quelle usate nell' edilizia, stanno piccole magliette e calzoncini stesi ad asciugare,
che adesso si bagnano ancora, gli uomini lavorano lungo la strada, gruppi di ragazzini a lato dei rallentanti ci guardano passare, l' autobus sube y sale, mentre il monitor proietta Hercules.
Si procede piano. L'autista suona il clacson e ferma la mano in aria, con un gesto di monito, in direzione di un bimbo in piedi sul ramo di un albero, lui in risposta gli mostra il dito medio, i pochi che hanno assistito alla scena ridono. L' acqua cola sul vetro a cascate mentre la luce diminuisce. Arriviamo a San Cristobal che è quasi buio, la temperatura è più che fresca.

Nelle stanze delle posadas non c'è riscaldamento, ci domandiamo come si attrezzino per l'inverno,
quando le temperature si avvicinano allo zero. Le  indigene Lacandòn scese dai villaggi vicini per mercanteggiare, girano per le strade offrendo coperte e maglioni tradizionali, vestite di gonne nere di pelliccia ispida, ai piedi infradito. I bambini portano al collo cassette di legno con caramelle e cìcles. In testa cappellini colorati con i paraorecchie. Nella cattedrale la gente recita orazioni rivolta alle teche e alle statue dei santi, un padre schiaffeggia in testa il suo figlio adulto
con un mazzo di basilico odoroso, mentre ripete una litania in una lingua che non ha niente  a che fare con lo spagnolo.

I bimbi Lacandòn fuori in strada restano zuppi nei loro vestitini, una mamma sfila e strizza il cappellino del suo bimbo più piccolo, poi glielo calca in testa con un' espressione che sembra dire "questo hai, e te lo devi tenere così, perchè altro non c'è".
Terry si incazza col mondo, occhi gonfi e la rabbia di non poter fare molto di più. 
Viaggiare aiuta a crescere, è tutto quello che mi riesce di dire, spesso anche attraverso quello che ci fa male vedere, quello che non vogliamo accettare, ma che non possiamo cambiare.
Probabilmente sono tutte chiacchiere, per cercare in qualche modo di mettere a tacere quella parte dentro di me che si contorce, ma che non sa che cosa
fare, per continuare a girarsi dall' altra parte senza sentirsi complici e cinici pensando a quello che abbiamo lasciato a casa e di cui ci lamentiamo di continuo.
Viaggiare e vedere, conoscere e raffrontare, cercando di non cucire addosso alle persone infelicità e sofferenze che non sappiamo se
provano. Se la vita vissuta è sempre stata questa, se non se ne conosce altra, se andare via non è mai stato contemplato, se le regole non scritte
del pueblo sono sempre state quelle..cosa mi da il diritto di pensare che questa vita sia sbagliata? Cosa mi fa credere che la mia sia migliore?
Perchè occupo da sola una casa che qui normalmente si dividono in 8-10 persone dormendo accalcate sulle amache per tenersi caldo?
Perchè ho la facoltà di riempirla di cose inutili pagate con il mio tempo? Cosa sono i soldi se non tempo, tempo sprecato lavorando per poter
acquistare cose che non mi servono veramente. Tempo che non posso riavere, e che avrei potuto spendere diversamente. Lavorare per il tempo, e impiegare il tempo guadagnato in conoscenza. Del mondo in cui vivo, andando a conoscere la parte in cui non sono nata, per fortuna o per sfortuna. La pioggia ci butta giù, camminiamo, poche parole, un centro culturale allegro e attivo ci regala un pò di quiete nell' animo, un bel giardino circondato da quattro lati di passerella in legno scuro, ogni passo una porta che nasconde un piccolo universo di creatività..alcune chiuse, altre ci permettono di sbirciare.

Il teatro dei burattini, la stanza donde se toca la guitara, la stanza di incisione, col tornio costruito a mano sul progetto del professore, la stanza dove si filano i tessuti con il telaio, lo xilofono gigante nel cortile, con le bacchette appoggiate sopra che ti invitano a provare e un quaderno su cui riporto le note dell' inno alla gioia che visto che non lo so suonare almeno ci pensa il maestro e mi sento un pò a casa.
Una bimbetta che rastrella le erbacce che il nonno ha tagliato intorno ai fiori, tra cespugli a forma di elefantini.
Di nuovo in strada, di nuovo pioggia, in lontananza una scala che si arrampica in collina e porta all' ennesima chiesa in cui rifugiarsi. Quanto stupore pretendi che possa tirar fuori in un posto come questo, con un tempo come questo.
Mi addormento infreddolita mentre parlo con mio nonno e gli chiedo di intercedere per un pò di sole, che so che sa essere convincente. Mi sveglio cercando la luce e trovo anche le nuvole che si sfaldano, sono le 7 e mi va di correre fuori.
Ripercorro strade già imboccate 100 volte e che adesso sembrano altre, vedo brillare colori di facciate che fino a ieri erano spente, il cielo esplode tra i tetti acceso e pulito anche se ho ancora paura che le nuvole tornino presto. Penso al programma della giornata. E' quella giusta per il Canon del Sumidero, corro a dirlo a Terry.
Un colectivo, 40 km, Chiapa de Corzo, imbarcadero, aspettiamo di riempire la lancia, poi si va.

Pareti di roccia a picco, su cui si aggrappa la vegetazione si allungano verticali a toccare il blu emergendo dal verde, rapaci neri sopra le nostre teste, girano e girano, aironi appoggiati ai tronchi d' albero che galleggiano sulle acque di fango ci guardano impassibili. La lancia si impenna e sfrecciamo tra le gole, tutti fasciati nei giubbotti salvagente. Cormorani si alzano in volo disturbati dal nostro passaggio. Un coccodrillo avvistato, 4 scimmiette su un albero, una cascata scivola sinuosa dalle rocce, una più alta viene giù dritta come un velo, un' altra rimbalza sulle falde larghe di un vestito di muschio. Il sole. Dio..il sole che ci cuoce ma non ci lamenteremo mai più se ci farà l' onore di rimanere con noi fino alla fine del viaggio. Ci avviciniamo ad un immenso cumulo di spazzatura galleggiante, la guida giustifica la presenza di migliaia di bottiglie di plastica adducendo la colpa alle recenti piogge, che avrebbero convogliato qua tutta la "basura" proveniente dalla strada...mmm..
davvero improbabile per poterci credere.
Ci rassicura dicendo che il personale apposito si stà già premurando di ripulire il corso d'acqua. Io e Terry osserviamo in silenzio tre lance che galleggiano tra i rifiuti, ognuna ha un' equipaggio di tre uomini, che prelevano una bottiglia alla volta della superficie dell' acqua per depositarla sul fondo della barca..ottimo lavoro ragazzi, di questo passo per il 2025 forse ce la fate..beh no, considerando che la gente, e non la pioggia, continuerà incurante a liberarsi dei suoi rifiuti impunemente, forse nel 2025 le visite al Canon si faranno guadando la rumenta!
Me li immagino gli imbarcati che al posto del giubottino salvagente verranno equipaggiati con ombrellini per proteggersi dai cumuli di bottiglie alzate dalle velocità della lancia.

Poi arrivano i pellicani, che in stormo ci seguono abbassandosi e alzandosi sul pelo dell' acqua in una danza sincronizzata. Il Canon si allarga e le pareti si dissolvono in acqua e ora siamo in un vastissimo lago circondato da prati e colline verdissime. La diga della centrale elettrica frena la nostra corsa, i messicani in vacanza si comprano anguria con chili (ma perchè?!) e birra in lattina per il viaggio di ritorno, da una barchetta a cui ci siamo affiancati. Il sole continua a splendere, Terry sembra aver abbandonato il grugno da pioggia di questi giorni. Il buon Cella ce l' ha fatta anche stavolta e io non avevo dubbi sul fatto che ci riuscisse. Continuerò a chiedertelo ogni giorno, di metterci una buona parola con Chaac, e non mi parlate di Uragani o di Patricias che tanto non ci credo.

domenica 25 ottobre 2015

#Palenque #Chiapas #rovine #ruinas #maya #Messico #Mexico #cascate #waterfall #pollo asado #jungla



Arriviamo alla città di Palenque dopo un viaggio notturno di 6 ore circa, come potrebbero arrivare dei quarti di bue ad una macelleria: refrigerati!
Non capiremo mai la motivazione delle temperature siberiane dei bus da turismo messicani, salvo la necessità, forse, di sterminare eventuali microbi e batteri. Terry sposta la tenda alle prime luci dell' alba, guarda fuori e in un improbabile genovese impastato di sonno esordisce con la prima frase del giorno: Ciove..tanto pe cangià! Epico.

In ogni caso eccoci qui, ore 7 del mattino, Palenque, il grande sito Maya avvolto dalla jungla.
Visto il buon tempo che ci accompagna decidiamo di fare un richiamino di sonno alla posada Aguila Real che ci darà ricovero per la notte, anche se noi ci presentiamo appena dopo il canto del gallo. La camera c'è! Siempre viva la bassa stagione! Verso mezzogiorno ci alziamo e andiamo a replicare l' esperienza del pollo asado che abbiamo smembrato con le mani sul bus diretto a Mèrida. Stolti noi che crediamo che consumando all' interno del cubicolo di cemento che fa da negozio ci daranno forchetta e coltello..macchè..non ce n' hanno proprio! E vai di mani anche stavolta!
Scongiurato per un soffio il pericolo di usare l' acido per la tazza del cesso come sapone lava mani, intelligentente posto sul lavandino, siamo pronti per montare su un collectivo che in pochi minuti ci porta all' ingresso delle rovine, dove ci assaltano guide, venditori di ponchos antipioggia e spacciatori di presunti funghi allucinogeni. Carlos è il nostro Cicerone per oggi, una fila di denti bianchi sotto, una ben più contenuta fila di denti gialli sopra..mah..impianto dice Terry. E sia.
Quello che vedremo oggi è il 5% del patrimonio di Palenque, quello visibile, el descubierto, il restante 95% se l' è inglobato la jungla, e per i messicani è meglio così. Un' intera metropoli è addormentata sotto strati di terra e radici che la proteggono e la conservano dal deterioramento, dalla profanazione degli uomini. Perchè meglio così? La risposta sta nel precedente destino di Palenque, condannata fin dall' inizio: il disboscamento per l' edificazione che venne perpetrata dai Maya, portò all' impoverimento del terreno, eliminando la jungla eliminarono anche la fauna ed alterando l' ecosistema i proventi dati dalla terra iniziarono a scarseggiare, questo è quello che accadrebbe di nuovo se si costringesse la natura ad arretrare ancora, ma fortunatamente il Messico non ha abbastanza fondi per un' opera di tali proporzioni e l' antica città di Lakamba (Palenque è il nome datogli dagli spagnoli) può continuare a far brillare il suo splendore nelle profondità della jungla tropicale.
Abbiamo deciso di non spendere altre parole sul palazzo di Pakal o sulla piramide che contiene nelle sue profondità la sua tomba per evitare nozionismi e inutili descrizioni che si possono trovare ovunque digitando in rete le parole chiave, ma solo cercare di trasmettere il nostro stupore arrivando alle rovine dopo una breve passeggiata tra alberi con le spine sulla corteccia e piante dal tronco nudo e rosso. Immaginate di camminare in mezo alle piante, e mano a mano che la jungla si assottiglia e ci si avvicina alla radura appaiono tra le fronde i gradoni del palazzo,  imponenti, vertiginosi, perfetti. Gli altorilievi presenti nella corte centrale sono impressionanti, così come i canoni di bellezza della civiltà Maya a cui i nobili non rinunciavano di sottoporsi fin dalla tenera età: un paio di tavole di legno per appiattire la testa, una pietra tra gli occhi per provocare un' affascinantissimo strabismo, limatura dei denti per sorrisi accattivanti, il tutto condito da accoppiamenti tra consanguinei, per preservare la purezza della specie, salvo poi generare figli con 6 dita per mano o arti di lunghezze diverse. Il commento di chiusura di Carlos è "cazzarola! Cerchiamo di convincelo a dire " Belin belino!".
Quando dopo un' ora e mezza ci lascia liberi di vagare per il sito, ci dirigiamo verso le cascate de la Reina, belle bellissime, non fosse per le famiglie di minchioni che ci precedono e decidono di prendere la residenza sul ponte de los murcielagos, scattandosi selfie a ripetizione mentre tentano di finire in acqua saltando come scimmie per far dondolare il ponte. Io e Terry aspettiamo diligentemente il nostro turno, ripetendoci che dopo il prossimo scatto se ne andranno, invece gli stupidi padri si mettono a fare le trazioni con i cavi che sorreggono il ponte. Alla fine, straziati dall' attesa, li scalziamo in malo modo e ci scattiamo qualche foto anche noi.
Lungo la discesa e l'abbandono del sito realizziamo quanto fascino e quanta ricchezza possa regalarti la natura nella sua incontenibile voracità, questo è il Chiapas per noi, per l' idea che ce ne siamo fatti: una regione ostica per i suoi abitanti, selvatica, prepotente nell' esplosione della sua vegetazione rigogliosa, ricca di bellezze solo sue che però ancora non bastano a cancellarne il passato ribelle e sovversivo, neanche quando l' epicentro della sua disobbedienza si è trasformato nella versione pallida di una località di montagna alla moda.

giovedì 22 ottobre 2015

#Merida #Mexico #mercato #mercado #PaseoMontejo #comidas #palaciodegobierno #green #murales #FernandoCastroPacheco #Oriente #Poniente #Norte #centro y #Sur #Celestùn #NegraModelo #Cerveza #Maldida


Al nostro risveglio Merida è già indaffarata e operosa come potrebbe esserlo una grande città europea. Maria ci prepara la colazione e con un sorriso ci suggerisce di visitare il mercato alimentare: non ci facciamo pregare troppo.

Nel reticolato urbano si trova tra la 67 e la 50 e dopo quasi due settimane di intersezioni tra calles e avenidas i meccanismi di localizzazione ci appaiono più comprensibili. Avvicinandoci al mercato notiamo come il fervore della gente si faccia ad ogni passo più incalzante, spezzato ad intervalli irregolari dall'offerta di cibo di bancarelle di fortuna, dove la vera attenzione è riposta nella disposizione di quello che si vende. Ognuno a suo modo esalta le caratteristiche dei propri prodotti, sfruttandone la forma, il colore o l'odore, improvvisandosi arredatore in una piccola zapateria o architetto di piramidi di pithaya o di lime vicino al suo piccolo carretto: una Chichen Itza moderna, che muore e rinasce ogni giorno a ciclo continuo, che garantisce il sostentamento di centinaia di nuclei familiari per quei pesos, pochi o tanti che siano, che riesce a procurargli.

L'entrata del mercato anticipa quello che nasconde il suo interno; un girone dantesco che si muove scomposto e rumoroso, che si imbottiglia e che si allunga a fisarmonica. Le donne si accalcano attentissime nella scelta della frutta e della verdura, valutano e soppesano tutto con la precisione di un gemmologo: la comida qui è una cosa seria, un principio inaffondabile e non si può certo sfigurare nel risultato. Dove avanza spazio si sistema una cassa stereo, quasi sempre vicino a chi prepara tacos o antojitos, e allora la musica dei mariachi ci avvolge e allieta la pausa di chi mangia.

Il criterio e il caos si salutano continuamente ma non varcano mai le loro linee di confine, quando osservi la dedizione all'ordine in un banco di spezie, ipnotizzato dai colori quasi psichedelici o quando superi con fretta e passo accelerato le gabbie arrugginite e malconcie degli animali domestici, e lo fai con pena. Lungo il perimetro esterno si accalcano prepotenti quei banchi che non si riesce a contenere nell'involucro e che allora sono stati vomitati fuori. La frenesia occupa spazi impensabili, si impadronisce di muri, scalini e scorciatoie, è un dedalo di vie in cui saltano gli schemi e si sacrifica tutto alla vendita. Chiunque richiama a gran voce la nostra attenzione, chiunque ha ciò che ci serve al prezzo migliore. Si vende con la presenza, soprattutto. Ci allontaniamo.

Il Mercato di Merida non è la Boqueria di Barcellona o il Mercato centrale di Firenze, ha odori forti e ti colpisce con fotogrammi rubati a paesi più disperati, però è tangibile come in ogni altro mercato del mondo l'appartenenza alla gente del posto, quella voglia che ha di scandire la vita sociale di chi abita il luogo; una giostra immobile che divora il tuo tempo e te lo restituisce sotto forma di cibo e cultura.
"Se vuoi conoscere le vere abitudini di un popolo, frequenta il suo mercato." E in questo Merida non fa eccezione.Trascorriamo il resto della giornata a farci una cultura sulla storia messicana tra archeologia, religione e colonialismo, saltabeccando dalla visita al Paseo de Montejo, una lunga avenida  tra bellissimi palazzi costruiti dal fondatore della citta Francisco Montejo di chiara ispirazione ispanico-europea, alla sua propria casa eretta nella Plaza Major, fino a qualche foto distratta all'interno della cattedrale di  San Ildefonso, riscuotendo simpatie e rispetto dai cittadini, che ci confidano di apprezzare molto di più l' interessamento europeo alla loro storia e cultura a differenza degli americani che preferiscono alzare gomiti e tassi alcolemici a Gringolandia (Cancun), come la chiamano loro.
In particolare il bellissimo palazzo verde del Governo, sorvegliato da poliziotti che si aprono come le acque del mar rosso al nostro passaggio, ci da la possibilità di capire qualcosa di più sugli accadimenti politici di questa parte di Messico, attraverso 27 meravigliosi murales del maestro Fernando Castro Pacheco che raffigurano i momenti salienti e personaggi determinanti per el desarrollo di Mèrida e dello Yucatan. In cima alla scala che porta al piano superiore ci  attende un trittico di opere magneficenti per grandezza e soggetto: l' artista deve rappresentare la concezione mesoamericana del mondo divisa in 5 regioni in accordo con la visione Maya: el Oriente, el Sur, el Poniente, el Norte y el Centro.

Però ha a disposizione solo tre muri e allora risolve il problema con la rappresentazione di tre regioni ( Nord, centro e sud ) nel murale centrale, in modo che il nord sia raffigurato nella parte superiore, il centro in quella centrale e il sud in quella inferiore. Qui la figura principale, e guardandolo scopriamo quanto è stato ed è ancora importante il mais per il popolo messicano, è l'uomo maya che emerge dalla mazorca, la pannocchia, proprio come è spiegato nel "popol vuh", il libro sacro dei Maya. Gli Dei contemplano la sua creazione. Tutto intorno, il ricco fogliame che si sviluppa e cresce in tutto il dipinto rappresenta la creazione della vita tutta.

 Il Murale di sinistra è la rappresentazione del Ponente ( da Sampi a Pra..buhahhahaha!) luogo dove muore il sole ogni giorno, dove si inabissa il "gran astro" tra le ombre della notte e del mistero. In questo luogo, nelle tenebre dimora il giaguaro, figlio della notte e maestro dell' imboscata, creatura della morte e orrore dell' uomo. I colori scuri coaudiuvano a rendere più funesta la scena, arricchita di demoni, scheletri e sinistri sacerdoti. Al contrario nel murale di sinistra, che equivale all' oriente, tutto è luce e allegria, poichè il sole è sorto di nuovo e illumina la vita dei maya e le loro creazioni.

Qui la mano si estende nell' atto di proteggere e la scena intera manifesta la feconda operosità umana. Nell' oriente hanno origine i venti benevoli che portano la pioggia del Dio Chaac, che farà germogliare la terra e produrre il raccolto.
Ma il metro di giudizio più efficace a cui noi italiani ci affidiamo per giudicare un popolo è sempre quello della cucina, perciò due Negra Modelo, pollo pibil e sopa de chaya e la cena è fatta: andrebbe tutto alla perfezione se la pioggia non si accanisse ormai da giorni sulla penisola yucateca, per di più oggi si inaugura il festival della cultura maya qui a Merida e il comune ha investito parecchio dinero per regalare uno spettacolo senza precedenti a turisti e ciudadanos, ma Chaac (ricordate..il dio della pioggia maya) ha un carattere di merda e quando gli gira male non guarda in faccia nessuno.
Non abbiamo potuto assistere a nessun evento, a parte una insolita danza di giovani ballerini che giravano come trottole senza sosta, vestiti di bianco con un vassoio di bicchieri pieni d' acqua sopra la testa e neppure quattro ore di collectivo con destinazione Celestùn ci hanno salvato da una tempesta tropicale. Eravamo partiti con l'idea di fare avvistamento dei fenicotteri rosa nella loro riserva naturale ma l'unica cosa che abbiamo avvistato sono stati un polpo impanato e un granchio blu a spezzatino, ottimi. E due Modelo negra, immancabili: inizio a pensare che questa birra porti sfiga.
Da Tulum in poi il viaggio è stato parecchio umido e anche cambiando scenari e macinando chilometri a centinaia, il clima ci è rimasto avverso. E se è vero che i segnali divini si manifestano a chi sa leggerli, allora io aspetto istruzioni per come accompagnare i miei prossimi pasti!

martedì 20 ottobre 2015

#Campeche una #bomboniera sul #mare #colores #mexico #cathedral #loterìa #pirates


Riusciamo finalmente a lasciare Mèrida, non senza il dispiacere di non beneficiare più dell' allegria di Maria e dell' ospitalità di Leopoldo, ma siamo diretti a Campeche, senza sapere che ci attende una cittadina bomboniera, coloratissima e vitale anche se poco turistica. Lo testimoniano le risate imbarazzate che suscitiamo nei locals e le strambe richieste dei più giovani di scattarsi una foto insieme a noi, gli estranjeros venuti dall' Europa a visitare il loro centro storico.
Ce ne innamoriamo subito, con le sue stradine reticolate caratterizzate da palazzi a tinte pastello, i suoi caffè che sembrano rubati a cortili cubani, la sua piazza principale dove la bella cattedrale si affaccia su un grazioso giardino che ruota intorno al suo gazebo, mentre la filodiffusione trasmette le note di allegre melodie che allietano il pomeriggio.

Ci lasciamo incantare dai dettagli e dai contrasti, mentre saliamo e scendiamo dagli alti marciapiedi che tengono al sicuro dai "laghi" che si formano in strada dopo gli acquazzoni, che ormai sono una costante delle nostre giornate. Pranziamo all' ora di merenda alla parrocchia, una localino di comida regional che ci da modo di assaggiare qualche specialità del luogo, quale Queso relleno e Camarones empanisados al coco, accompagnati da agua de coco e agua de sandìa, i famosi refrescos a base di acqua e essenza di frutto, quale cocco, anguria, chaya, tamarindo, ananas, etc.

La sera ci vestiamo belli anche noi per assistere alla prima serata della festa campechana che prevede l' esibizione di diversi gruppi di ballerini in abiti bellissimi e colorati, ma purtroppo la pioggia rovina tutto. Il giorno seguente visitiamo il fortino dei pirati, facciamo una lunga passeggiata sul lungo mare, dove Terry da anche prova delle sue doti "palestroidiche", mentre io faccio finta di farmi impressionare dai suoi sollevamenti! Richiamiamo ancora l' attenzione di qualche locale che ci saluta caloroso passando in macchina e ritorniamo all' interno del Barrio San Francisco.
Nel tardo pomeriggio sfioriamo l' incidente diplomatico quando Terry mi lascia al parco pubblico per andare a ritirare qualche pesos al Banco Azteco, in vista del nostro prossimo spostamento. Mi avvicino incuriosita alle tavolate a ridosso del gazebo, dove le abuelitas del luogo stanno giocando a una specie di bingo con cartelle quadrate piene di figure di animali, piante e frutti, su cui ripongono delle pietruzze colorate che si sono portate da casa, mano a mano che la campechana al microfono chiama i numeri: veinte y cinco el arbol, dos paloma, noventa mundo, ochenta y cinco panzòn, sesenta y tres la bailarina..

Essendo che Terry ritarda, mi sono decisa a sedermi ad un tavolo, non mancando  di creare scompiglio, io, extraterrestre europea che si intromette nel gioco de la loterìa della domenica, chiedendo in prestito cartelle e qualche pietruzza ad una abuela e costringendo dirimpettaie e compagne di tavolo a controllare anche le mie 4 cartelle perchè non ci capisco un cavolo, oltre tutte le loro che sono decine e decine. Succede che Terry arriva e siccome non può estirparmi dal gioco, è costretto ad unirsi a me, ma non c'è spazio e in fretta e fuori cambiamo tavolo, portandoci dietro le cartelle, perchè la campechana mica aspetta, e comincia  ad estrarre i numeri, nella fretta mischio le pietruzze datemi in concessione con quelle di un altro tavolo e la abuelita me le richiede indietro con prontezza. Si crea quansi un caso di stato, con queste pietruzze che non tornano alla proprietaria legittima, la loterìa si ferma e i giocatori danno segni di fastidio..e ora spiegaglielo in spagnolo dove sono finite le pietruzze. Il gioco non attende più e per ora la questione è riinviata, ma alla fine della nostra performance, in cui io e Terry in 5 manches non guadagneremo niente mi toccherà fare la spola tre volte tra i due tavoli per mediare alla mia distrazione.

La sera mentre gironzoliamo assistiamo alla bellissima proiezione di un cortometraggio di animazione che racconta la storia di campeche dall'era Maya ai giorni nostri, proiettata direttamente sul porticato lungo circa 40 metri sotto il quale meno di mezz' ora prima stavamo scattando le nostre foto di romanticismo messicano. E' tutto un fiorire di frangipani e flores de Cempazuchitl, tra giaguari, fenicotteri rosa, pesci colorati e templi antichi. Le immancabili calaveras ballano allegre vestendo sombresi e spazzolandosi i teschi, i pirati campechani respingono i conquistadores, le vecchie costruzioni vengono sostituite dagli edifici colorati del Barrio San Francisco, tutto accompagnato da coinvolgenti melodie messicane. Rimaniamo incantati anche quando la pioggia tenta di rovinare ancora la festa. Poi dopo un fragoroso applauso andiamo a cena per l' ultima volta in questo meraviglioso borgo e raggiungiamo el estacionamento Ado per affrontare il viaggio notturno che ci consegnerà al mattino tra le braccia di Pakal, il signore di Palenque, per una nuova fantastica giornata immersi nella affascinante cultura maya.