martedì 24 gennaio 2017

..y al final #machupicchu #maravilladelmundo #peru #andes #inca #ruines #huaynapicchu #santateresa #aguascalientes #piscinas #lomosaltado


Durante la notte la pioggia è talmente forte che Puddy, forse credendo che per allagare la stanza abbia azionato la doccia si sveglia con la faccia impastata chiedendomi cosa sto facendo, appena anche lui realizza che il nubifragio è fuori e non dentro la camera del graziosissimo Machu Picchu Packers, mi rivolge uno sguardo che si traduce in: "Minchia che sfiga, Machu Picchu sotto l' acqua no!"
Riprendiamo sonno rassegnati, inutile fare la levataccia alle 5 del mattino, meglio prendersela comoda. Ci svegliamo quindi con tutta calma alle 7.30, che tanto da quando siamo in Perù è una costante e scendiamo a far colazione. Al botteghino per prendere il ticket del bus per salire al sito (30 minuti con bus per 24 USDollari andata e ritorno a persona altrimenti 2h a piedi percorrendo la stessa strada dei bus) non c'è nessuno perciò in un attimo siamo imbarcati e partiamo. Tutto molto comodo ma troppa burocrazia, sono necessari i passaporti per comprare i tickets, poi vengono timbrati dal primo controllore e poi scannerizzati dal secondo. Facciamo la strada percorsa ieri sotto la pioggia, poi invece di seguire a destra per i binari prendiamo a sinistra su un ponte di ferro e iniziamo a inerpicarci su per la montagna facendo una strada sterrata tutta a tornanti.
 Sul lato sinistro si vedono il fiume in basso sotto di noi, il campeggio degli scoppiati che stanotte si saranno lavati per bene e tutto un corollario di imponenti montagne solitarie. Finalmente si scende e nel frattempo il cielo si apre, inizia a fare il solito caldo infernale e come al solito noi siamo troppo vestiti. In questo viaggio non c'è stata una volta che abbiamo imbroccato l' abbigliamento giusto, si può dire che nonostante le previsioni di temmperature rigide e piogge torrenziali, avremmo potuto tranquillamente partire con tutto un' altro bagaglio! Comunque, si sa che se l' avessimo fatto saremmo certamente morti di freddo.
Entriamo e dopo un breve sentiero ci troviamo davanti ad una serie di terrazzamenti agricoli, un tempo dedicati alla coltura del mais e delle patate. Una piccola abitazione con tetto di paglia ospita un lama che incurante del nostro arrivo continua a rifocillarsi nel prato, scendiamo verso il settore urbano per vedere ai nostri piedi la cittadella in tutto il suo splendore, la sella rocciosa che domina un' ansa del rio Urubamba che la ospita e Huayna Picchu, la roccia sacra alle sue spalle. Lo spettacolo toglie il fiato, più dell' altitudine che è solo 2500mt e a noi ormai ci fa il solletico, il sole illumina le costruzioni e il verde delle terrazze che degradano geometriche verso il fondovalle. Si dice che questo fosse l' ultimo avamposto Inca delle Ande, il punto di partenza per addentrarsi nella foresta, ma la teoria che si trattasse di un santuario nascosto, dimora delle vergini del sole pare prendere piede, soprattutto in base allo studio effettuato sui corpi ritrovati nel luogo che risultano per l' 80% donne.
Ci aggiriamo per le abitazioni incantati da tanta perfezione, tocchiamo ogni pietra per sentire la potenza dei secoli, ogni tanto vorrei essere come il protagonista di quel telefilm di cui non ricordo il nome, che toccava gli oggetti e aveva un susseguirsi di visioni che gli mostravano episodi accaduti nelle sue vicinanze, immagino di vedere come si svolge la vita nella cittadella come un invisibile spettatore, l'arrivo dei conquistadores, le lotte, le fughe, l' abbandono, la selva che ricopre tutto sotto una spessa coltre verde e poi il ritrovamento, seguindo le mitiche leggende della città perduta degli Inca.
E' l' ora di andare, la nostra camminata lungo i binari per tornare ad Hidroelectrica e poi sfidare la morte lungo i dirupi fino a Santa Teresa in pulmino non può attendere oltre. Ci facciamo lasciare appena dopo il ponte di ferro e dopo la foto di rito sotto il cartello che indica Machu Picchu come una delle 7 meraviglie del mondo moderno, percorriamo la scala che ci riporta ai binari, stavolta il pericolo pioggia pare scongiurato, e siccome abbiamo tempo ci fermiamo a mangiare da Dona Angelica a circa metà strada lungo i binari, un piccolo e grazioso campsite con sala da pranzo, dove in cucina due signore anziane preparano piatti tipici per i passanti come noi.
Quando arriviamo ad Hidroelectrica c'è il solito delirio di pulmini e taxi, prendiamo un combi al prezzo di 5 soles a testa e in mezz'ora siamo a destinazione senza intoppi. Il nostro hotel per la notte sembra fin troppo grande per un piccolo villaggio che di fatto è ancora in via di definizione. Probabilmente siamo gli unici ospiti e veniamo alloggiati al terzo piano, quello panoramico. Il pensiero che mi pervade, dopo aver dormito per due notti in una camera vista strada a Cusco, dove il traffico non cessa mai, aver affrontato levatacce per avvistare condor al Colca, leoni marini alle Isole Ballestas, intrapreso viaggi notturni in bus cama, aver raggiunto destinazioni ad orari improbabili, è che finalmente questa volta, ci sveglieremo naturalmente nella quiete di un piccolo pueblo. La signora ci consiglia di andare alle piscine di acqua calda distanti solo pochi minuti in combi, così finalmente tiriamo fuori i costumi e gli asciugamani pronti per immergerci nel tepore delle vasche di pietra dove già sguazzano famiglie con bambini festanti. Dopo un paio d'ore torniamo al pueblo e mi sovviene di non aver ancora stampato le carte di imbarco per il nostro volo interno del giorno seguente da Cusco a Lima.
L'indomani arriveremo troppo tardi per andare a cercare un internet point e la mattina dopo essendo Domenica forse saranno chiusi, inoltre  la Ugly Betty dell' ostello di Cusco mi ha già detto che non hanno imprimidora, perciò l'unica alternativa è l' ufficio del turismo qui a Santa Teresa, ma visto il numero di avventori quando arriviamo alle 6 è già chiuso. Ed ecco che si ripresenta la peruanità che tanto ci fa sentire piccoli: Aguila de acero, il nostro tassista che ci ha raccolto fuori dalle piscine varca la porta del retrostante ufficio del municipio, si fa dare il numero e fa tornare allo sportello l' addetto, poi un signore molto gentile ci fa accomodare alla sua scrivania tra scaffali pieni di faldoni riguardanti le opere di costruzione in atto e ci lascia con il suo pc, rispondendo ai nostri ringraziamenti con ospitalità e calore, ci dice che sono una piccola comunità ed è loro dovere mettersi a nostra disposizione, proviamo a pagare il disturbo ma non c'è verso.
Anche stavolta la fortuna è stata con noi, nel momento giusto, come quando a La Paz abbiamo incontrato Juan che ci ha caricato sul suo taxi per portarci all' agenzia di cambio quando nessuno sembrava volerci dare una mano o quando in dubbio su a chi affidarci per il tour di 3 giorni al Salar, dopo aver letto di esperienze terribili, ci è capitato in mano l' opuscolo dell' agenzia Perla de Bolivia. Detto questo, ci sediamo all' esterno di un ristorantino che affaccia, come tutti gli altri sulla strada principale di Santa Teresa, che porta alla piazza, l'unica, anche lei, come tutte le altre di ogni città visitata, chiamata Plaza des Armas. Ordino il lomo saltado più buono di queste tre settimane, l'ultimo prima del rientro. A poco a poco vediamo sopraggiungere orde di gente in tenuta da bagno di ritorno dalle fonti che si riversano nei ristoranti, torniamo in albergo ignari che di li a due ore pure il nostro silenzioso albergo fagociterà un numero imprecisato ma molto rumoroso di famiglie che cercheranno riparo dalla pioggia per la notte, tra gran spostamenti di letti, conversazioni a volumi palasportiani e passi titanici lungo le scale. E vabbè, notte più notte meno.

sabato 21 gennaio 2017

Viaggio dimagrante verso Machu Picchu, il modo più economico per raggiungere il sito meraviglia del mondo e perdere peso #machupicchu #peru #maravilladelmundo #inca #urubamba #puente #vilcanota #selva #hidroelectrica #santateresa #camino #aguascalientes #standbyme


Il primo passo di avvicinamento a Machu Picchu si presenta sotto forma di un bus micro da 15 posti di cui occupiamo gli ultimi due dei quattro in fondo. Partiamo subito balzellando lontano da Cusco, scendendo lungo sgangherati sobborghi, caratterizzati dalle solite bancarelle di bebidas, paciughi e comida rapida. Il nostro autista si dimostra subito molto sprintoso e da prova di coglionaggine ripetuta azzardando folli sorpassi in curva, in salita o comunque quando non pare essercene necessità, visto che in giro ci sono prevalentemente pulmini turistici come il nostro diretti a Machu Picchu. Ecco, in realtà raggiungere la meraviglia del mondo è un fatto di soldi; ci sono solo due possibilità, treno o bus. Intanto, il pueblo da cui si accede alla cittadella di Machu Picchu di chiama Aguas Calientes ed è stato creato evidentemente per accogliere le genti di tutto il mondo che desiderano visitare il grande e inaccessibile sito.
La prima possibilità, la più comoda ma dispendiosa, con la compagnia Perurail che peraltro mi hanno detto essere cilena e neanche peruana, direttamente da Cusco per un prezzo esorbitante che varia a seconda dell' orario, della tipologia (il Bingham, il più caro porta il nome dello scopritore di MachuPicchu, il Vistadome la via di mezzo, ma comunque inavvicinabile e l' expedition il più economico) e se si acquista solo l' andata o anche il ritorno. In alternativa si può prendere da Cusco un combi (pulmino) fino a Ollantaytambo  ovvero la città di Ollanta, dove Manco Inca cercò di raggruppare la resistenza indigena dopo la disfatta contro gli spagnoli per la liberazione di Cusco, per la minima cifra di 10 soles (circa 3€) e poi il treno Perurail che arriva direttamente ad Aguas Calientes nel giro di un paio d'ore. La più accessibile delle tariffe, che sempre variano a seconda dei già citati requisiti, è 64 USDollari a persona per la sola andata! Volendo comprare solo la tratta inversa, quindi da Aguas Calientes a Ollantaytambo, il prezzo lievita sopra i 95 USDollari. Ovviamente i prezzi indicati sono quelli del treno expedition, il più economico dei tre. La seconda, l' alternativa più economica a cui noi due pidocchiosi, eticamente incorruttibili a proposito di sfruttamento della cultura aderiamo, è il pulmino da Cusco ad Hidroelectrica, seguita da una camminata di circa 2 ore lungo i binari del treno fino a raggiungere il pueblo di Aguas Calientes per una spesa di 75 soles (circa 20 €) a testa.
La scelta potrebbe sembrare ottimale, se si esclude l'ultimo tratto accidentato dal pueblo di Santa Maria alla stazione di Hidroelectrica, circa due ore di strada sterrata a strapiombo sulle acque del fiume Urubamba, che qui ha già cambiato nome in Vilcanota, che scorre impetuoso e incazzato sotto di noi, mentre l'autista come un pazzo si lancia alzando nuvole di polvere sui sassi sconnessi, puntando alle curve come un kamikaze al nemico, balliamo sui sedili come tarantolati mentre siamo percorsi dal dubbio di far notare o meno che stiamo procedendo un pò troppo allegri. Per aumentare la percentuale di pericolosità la strada, se così si può chiamare, è anche a doppio senso, ed è un attimo dover fare manovre secche per evitare o lasciare spazio ad altri pulmini che sopraggiugono dalla direzione opposta. Mi chiedo come sarà quando toccherà a noi tenere la destra a lato strapiombo. Ma l'autista impavido punta alla prossima curva come un foxhound alla volpe nella celebre caccia inglese, la strada si allarga un pochino e io mi giro verso Puddy dicendo "eheh adesso ci sta un bel sorpasso, ehehe", torno a guardare la strada e mi pietrifico in una smorfia sudata quando veramente il folle si lancia al sorpasso del pulmino davanti.
Non apro più bocca, solo nella mia testa stò piagnucolando e sento la voce dei miei pensieri che dice " io però a Machu Picchu almeno da viva ci vorrei arrivaaaaare".Finalmente si intravede il villaggio di Santa Teresa, dove ci fermiamo per rimettere in posizione le budella, prima dell' ultima mezz'ora di bestemmie a denti stretti.  Ad Hidroelectrica volendo c'è un piccolo trenino Perurail che per 31 USDollari, ti accoglie, te e le tue gambe molle e cuore infartato dalle precedenti due ore di panico e ti risparmia la camminata lungo i binari fino al pueblo di Aguas Caliente, ma noi non ci facciamo tentare e procediamo spediti verso la montagna.
La camminata si rivela piacevole e divertente. I binari corrono in mezzo alle rocce e alla selva dove si sentono i rumori e i suoni degli uccelli e si ha una meravigliosa visuale a 360° delle imponenti montagne ammantate di verde e nebbia. Ci sentiamo pionieri verso magiche scoperte, camminiamo sulle traversine quando le pietre ci danno noia e ci fanno slittare gli scarponi, attraversiamo un pò a sinistra quando si intravede un pò di terra battuta, un pò a destra a guardare il fiume che scorre impetuoso. Attraversiamo un bel ponte rosso di ferro, le cui pedane adibite al nostro passaggio ondeggiano e ballano sotto i nostri piedi come se fossero di lamierino sottilissimo.
Mi ricorda tanto il ponte di "Stand by me, ricordo di un' estate", il mitico film di Rob Reyner tratto dal libro di Stephen King , in cui quattro ragazzini nell' estate del 1959 lasciavano la loro piccola cittadina dell' Oregon per andare alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo sparito qualche giorno prima, passando attraverso pozze piene di sanguisughe, lotte e crescite adolescenziali e poesia nel caldo torrido panorama del nord ovest americano. Non ci sono cartelli ad indicare quanta strada ancora manca, non ci resta che procedere avanti fino a quando, ovviamente per non farci mancare niente inizia a piovere. Tiriamo fuori il nostro ombrellino sgangherato e ci pigiamo spalla a spalla finchè una pittura rupestre indica che dobbiamo lasciare i binari per dirigerci verso il pueblo.
 La strada però è fanghiglia e pozzanghere e lo scazzo di Puddy impregna l' aria. Insulta le giapponesi per come parlano o perchè hanno lo stesso poncho, insulta i fricchettoni che vanno a passare la notte al campeggio, i brasiliani che si sono portati chitarre e mini amplificatori per deturparci il sonno. Ci viene anche il dubio di essere sulla strada giusta, finchè si intravedono degli edifici e finalmente raggiungiamo il villaggio. Il nostro ostello è sempre il più difficile da trovare, ma alla fine siamo all' asciutto (non al caldo perchè come già detto in Perù anche a 5000 mt non hanno il riscaldamento) e in una bella camera confortevole. Piove fortissimo, temiamo per la nostra visita di domani al sito. Nella piazza principale uno schermo proietta il match Argentina Perù, qualche scoppiato europeo per pagarsi il viaggio improvvisa brevi sessions musicali di ristorante in ristorante, proponendo grandi classici della musica, il campetto di pallone lungo la calle dove sorge il nostro ostello è pieno di gente e maglie colorate e porte dove si svolgono all' unisono decine di partite diverse. La stanchezza si fa sentire, domani si sale a Machu.

venerdì 20 gennaio 2017

Ultimo giorno di tour, ritorno a Uyuni e uscita dalla Bolivia, arrivo a Cusco #salar giorno3 #uyuni #ramona #soroche #chile #borders #bolivia #peru #puno #bus #cusco #tupacamaru #sanblas


All' alba delle 4.15, al suono della sveglia impostata sul mio cellulare, come 6 morti viventi lasciamo le lapidi ai futuri occupanti che dopo di noi faranno l' esperienza di un soggiorno all' hostal San Marcelo, tremobondo rifugio in mezzo al nulla boliviano.
 Non tutti però abbiamo la fortuna di poterlo abbandonare così facilmente. Nella notte infatti Ramona, la bionda svizzera tedesca della nostra spedizione, deve aver ceduto ai peggiori sintomi del soroche, il mal d'altura che abbiamo già descritto nelle sue peggiori forme e al nostro risveglio ha già provveduto a ritinteggiare tutto il bagno compreso il lavandino. Il tutto senza l' ausilio di corrente elettrica, nè acqua. Poveraccia, non avrebbe potuto scegliere posto peggiore per patire un castigo simile. Fortunatamente noi, avendo preventivamente fatto la conoscenza di tale disagio stiamo continuando ad assumere il nostro farmaco bicolor a intervalli regolari e ad ogni pasto sorseggiamo mate de coca con aggiunta di foglie essicate.
Riforniamo Ramona di acqua e carta igienica, la nostra jeep parte per i Geyser lasciando i nostri compagni al loro triste destino. Il cielo si sta lentamente colorando quando giungiamo a destinazione, le fumarole si alzano alte riempiendo l' aria di nebbie e suoni di ribollenti pozze di fango. Mentre il Toyota scende ad altitudini più accettabili, il sole fa la sua comparsa in un cielo completamente sgombro e ancora una volta espressioni beate si dipingono sui nostri volti.
Ci fermiamo alle sorgenti di acqua calda circondati da montagne e paludi popolate da fenicotteri e anatre, i nostri soci si immergono mentre noi preferiamo perlustrare la zona in attesa della colazione. Pancake con dulce de leche e mantequilla sono quello che ci vuole per raggiungere la frontiera col Cile, dove i nostri compagni ci salutano e ci lasciano ad un tour privato in compagnia solo di Abraham che ci guida tra deserti di montagne multicolore, ci fermiamo in un piccolo villaggio per il pranzo dove i lama pascolano su zolle di prato verdissime, solcate da piccoli ruscelli di acqua limpida, tanto belle da sembrare artificiali, a completare il tutto, una montagna rossa fa da sfondo e alcuni ragazzi accompagnano il momento pizzicando una chitarra.
Ci arrivano notizie confortanti della ripresa repentina di Ramona dopo aver assunto il farmaco portentoso quindi cerchiamo di incrociare l' altra auto alla Valle delle Rocce, ma a parte rimanere a bocca a parte e tentare di scalare tutte le formazioni rocciose che troviamo, dei nostri soci non c'è traccia. Dopo una sosta gelato in un piccolo villaggio di minatori, proseguiamo il tragitto di rientro.

Ad Uyuni ci rifocilliamo in vista dell' imminente traversata notturna per rientrare a La Paz dove senza posa prenderemo un micros per Desaguadero, riattraverseremo la frontiera, passando in mezzo ad un' altra coda, stavolta resa più vivibile dalla convivialità delle chiacchiere con un' anziana coppia di Peruani, ci ritroveremo altri timbri sui passaporti e un ultimo micros ci ricondurrà a Puno per una sosta tattica di descanso e lavanderia.
E' l'ultimo giorno di scuola per i bambini della città che dopo aver preso parte ad una parata sportiva per pubblicizzare i corsi estivi in cui saranno coinvolti durante il verano, festeggiano facendosi innaffiare dai getti irregolari delle fontane, noi assistiamo divertiti mangiando papas rellenas al prezzo di 1 Nuevo Sol. Finalmente i nostri zaini sono nuovamente carichi di indumenti puliti per affrontare l' ultima tappa del nostro itinerante viaggio, domattina alle 5 ci sveglieremo a Cusco, tra le urla ipnotiche dei venditori delle compagnie di trasporto e le offerte di tour a Machu Picchu e al Valle Sagrado.
Il nostro Hostal si trova alle porte del quartiere Santiago e quando arriviamo alle 6, sta giusto aprendo, ci accoglie la Duena con le chiavi della nostra stanza che è gia pronta per regalarci una doccia bollente e un comodo letto per i prossimi due giorni. Cusco è bellissima e piena di meraviglie sotto forma di pietra. Il sole è caldo e anche qui ci ritroviamo a gironzolare in maglietta e crema solare al cospetto di imponenti cattedrali e antiche mura. Cusco è la Roma dei Peruani e mi sbilancio dicendo in anticipo che Machu Picchu è il suo Colosseo se bisogna trovare un termine di paragone per rendere l' idea. Bisogna? L' immensa Plaza des Armas ha come sempre bei palazzi e portici a delimitarne il quadrilatero e una fontana centrale su cui capeggia la statua di Tupac Amaru II, guerriero inca della resistenza contro gli spagnoli di Pizarro.
Dietro si estende il quartiere di San Blas, con i suoi saliscendi, le sue botteghe di artesanias, i suoi ristorantini, i muri di pietra perfettamente incastonate tra loro fanno da cornice a questa meravigliosa città di montagna. Dall' alto del Cristo Blanco e della Iglesia de San Cristobal si può ammirare la piazza e tutta la città che la notte accende i pendii di luci gialle e bianche. Finalmente possiamo dire di aver sospeso il Sorochipills e ci siamo ambientati con l' attuale altitudine sui 3300 mt.
Andiamo alla ricerca di ristorantini fantasma nascosti dietro piccole porte quasi impercettibili, dove si cucinano piatti mitologici come il Kcapchi de Zetas, una zuppa di piccoli funghi champignones che si trovano solo in questa stagione, serviti da un' anziana signora sorridente in un' ambiente casalingo e senza fronzoli. Per la sera, entrambe per la verità, ci piace camminare per la Calle Maruri fino alla esquina dove si trova la piccola pizzeria Carlo, un posticino intimo, solo 4 tavolini in legno e panche dove assaggiare la pizza migliore di Cusco, accompagnata da una Cusquena Dorada che va giù come acqua.
Pomodoro, mozzarella, tocino, chorizo, salchicha e oregano la prima sera, pomodoro, mozzarella, cebolla, aceitunas negras y jamon la seconda. Willi il proprietario ci racconta di aver vissuto e lavorato a Torino, che è innamorato di Diano Marina e della riviera ligure, che ha visitato le 5 terre e quando ci rivede la seconda sera al momento dell' ordine mi chiede in perfetto italiano "Dimmi Valentina". E' l'ora di preparare lo zaino, domani andiamo ad Aguas Calientes, ai piedi del tanto atteso sito di Machu Picchu, il biglietto lo abbiamo già comprato negli uffici del ministero della cultura, adesso è il mio turno di avverare un antico desiderio, formatosi al tempo in cui mio papà mi comprava il Topolino da leggere, quando in una delle tante avventure di Paperino e Qui Quo Qua, l' avido Zio Paperone, sempre in cerca di nuove fortune per accrescere i possedimenti del suo deposito, coinvolgeva i nipoti in un' ardua impresa alla ricerca degli antichi tesori degli Inca proprio nella remota Machu Picchu, tra sentieri impervi, antichi rituali e meravigliose culture.

martedì 17 gennaio 2017

Bolivia tour giorno 2: quante facce hanno i deserti, animali autoctoni, lagune e precipitazioni improvvise #bolivia #lagunas #lagunacolorada #kanapa #lagunahedionda #biscacha #boliviarail #volcanos #flamengos #morenada #



Alle 6 siamo già in piedi, con gli zaini fatti, pronti per la colazione nel nostro ricovero di sale. Mate de coca perchè oggi saliremo abbastanza, un buon frullato di banana per attentare ai nostri intestini, nel caso in cui l' altitudine non facesse abbastanza, una frittella da cospargere con mantequilla e dulce de leche, huevos revueltos per concludere.
Saliamo in vettura che il sole è già spuntato, ci dirigiamo verso una collina piena zeppa di cactus e come loro puntiamo lo sguardo lontano verso il salar, che inizia a splendere di luce. Attraversiamo qualche piccolo pueblito, tra lama al pascolo, cani polverosi che trottano in mezzo alla strada e panoramiche strade terrose. Ci muoviamo nella solitudine del nostro tragitto, senza incontrare anima viva, cercando di fotografare con gli occhi ogni roccia, ogni cespuglio, ogni colorata collina e montagna innevata che fa da sfondo al percorso.
Attraversiamo le rotaie dritte che un tempo portavano i minerali dritti al Cile, prima che le miniere si esaurissero e ci troviamo al cospetto di uno dei tanti vulcani semi attivi che circondano l' area che perlustriamo in questi giorni. Attraversiamo deserti diversi ciascuno con una sua particolarità: formazioni rocciose erose dalle intemperie, pietre ricoperte di velluto erboso e piccoli fiorellini bianchi, distese di piccoli cespugli spinosi simmetricamente disposti alla stessa distanza uno dall' altro sulla terra rossiccia e ferrosa. Le Toyota si arrampicano sulle pietre bianche ondeggiando e diffondendo le note delle morenadas, canzoni rappresentative della cultura boliviana dei tempi in cui la Corona spagnola adoperava schiavi neri per le miniere d' argento della città di Potosì, trasferendoli poi stremati alle coltivazioni delle foglie di coca.
C'è sempre una voce narrante che incita alle danze e ride grottescamente, strumenti a fiato e percussioni incalzanti, ritmiche che invogliano al movimento. Abraham, il nostro conductor e quello dell' altra macchina fermano i 4x4 in uno spiazzo di terra protetto da rocce rosse di fronte ad una grande montagna circondata da nuvole bianche, montano le tavole e ci prepariamo al rancho, poi mentre mangiamo si avvicina una biscacha, una lepre selvatica dalla lunga coda a ricciolo con gli occhi socchiusi, e le lunghe ciglia nere. Si avvicina scendendo a balzi dalle roccie, fermandosi poco sopra di noi, ci osserva, viene a prendere dalle nostre mani offerte di broccoli, per poi consumarli tenendoli stretti tra le zampette anteriori.
Riassicurate tavole, sedute e ceste dei viveri con le corde al tetto, partiamo alla volta delle lagune colorate: Kanapa, dove facciamo il primo incontro con i fenicotteri andini, che incessantemente tuffano il becco ricurvo nelle acque limacciose per rimpinzarsi di organismi tossici, plancton, che danno la colorazione rosata alle loro piume. In questa laguna coabitano tre differenti specie delle 6 esistenti al mondo: quello andino, con gambe e zampe interamente gialle, il piumaggio rosa pallido ad eccezione di collo, busto e interno ali rosa intenso e il becco giallo e nero, quello cileno con strisce rosso brillante sul dorso, zampe e articolazioni rosse, becco a banana color nero e bianco e quello di James, il più piccolo dei tre, con la parte finale delle ali nere, il becco giallo e nero e le gambe completamente rosse.
 Scattiamo un' infinità di foto, finalmente in presenza di questi mitici uccelli che per ben due volte ci sono sfuggiti, in Messico lo scorso anno e in Perù a Paracas qualche settimana fa. Ci spostiamo alle lagune Hedionda, ovvero lago fetido a 4100 metri, dove montagne innevate fanno da sfondo al banchetto dei flamingos e Ch'iar Quta, in lingua Aymara lago nero. Il maltempo inizia ad avvicinarsi oscurando il cielo sopra la laguna colorada, nel giro di pochi minuti passiamo dalla canotta al piumino, berretto e guanti.
Saliamo ancora di altitudine per avvicinarci al nostro ricovero per la notte, quando lungo la strada ci sorprende una grandinata pazzesca. Protetti dall' interno del Toyota, mentre Abraham mantiene il controllo del mezzo sotto l' assedio delle sfere di ghiaccio, noi osserviamo increduli e ammirati lo strano fenomeno che in pochi secondi ammanta di bianco tutta la terra rossa circostante. Scendiamo eccitati dalla jeep, chi in infradito, chi imbacuccato alla siberiana, per gironzolare tra la coltre di proiettili ghiacciati che scricchiolano al nostro passare, Mizie e Grant (giappo-americani) giocano a tirarsi la grandine, Paloma e Nik (svizzeri-tedeschi) saltellano facendosi le foto, Danilo Lopez guarda attonito qualcosa che forse in Brasile non ha mai visto, non ci siamo proprio fatti mancare niente. L' aria è gelida e pungente.
 Il nostro ostello per la notte è un tugurio di pietra, con camerate da 6 dove i materassi sono poggiati sopra lapidi di pietra. C'è un solo gabinetto per tutte le stanze che sono circa una decina, senza carta, sporco e poco invitante. La luce c'è solo nella sala dove ci riuniamo a mangiare, per vedere qualcosa in camera bisogna avere una torcia, di cui siamo tutti forniti per fortuna. La cena viene servita alla penombra della luce fioca di un' unica lampadina, per fortuna non si può dire che faccia freddo perchè il riscaldamento non esiste, ma comunque non è una novità visto che non lo abbiamo trovato ne ad Arequipa, ne al Canyon del Colca dove si congelava, nè a Puno e con grande probabilità non lo troveremo nemmeno a Cusco. Ci beviamo una birra dopocena con gli svizzeri chiacchierando amabilmente in un misto di inglese ispanico, poi a nanna, la sveglia è alle 4:15, e a parte la levataccia, tutti noi desideriamo stare il meno possibile in questo posto.

lunedì 16 gennaio 2017

La Bolivia vista dagli occhi occidentali, il Salar de Uyuni, grande meraviglia della natura #lapaz #bolivia #capitalcity #teleferico #uyuni #salar #salardeuyuni #desert #saltdesert #saltflat


La Paz..che dire, un ingorgo disordinato di automobili e persone, le persone inventano modi per guagagnare qualche boliviano, con bancarelle, carretti, a volte neanche quello. Commerciano pane in mezzo agli incroci che sanno di gasolina, lustrano scarpe con il viso coperto dai passamontagna per non farsi riconoscere da amici e familiari, per evitare la discriminazione in una società fin troppo povera e ignorante.
Le automobili, i taxi, le carrette, i micros con la scritta Dodge e le bardature colorate, girano e caricano, scaricano, senza sosta, inghiottono, schiacchiano e rigurgitano persone ad ogni ora del giorno e della notte, con il clacson sempre caldo di strimpellante premura.
La Paz, con le case di mattoni rossi mai finite, che sorgono dall' immondizia, pattugliate da ronde di cani randagi alla ricerca di sacchetti da profanare con i musi pulciosi e spelacchiati. La Paz delle Cholitas con le gonne a balze, le bombette e gli scialli, sempre cariche di fagotti colorati sulla schiena, trasportano viveri o bambini, le vedi sedute sui gradini, sui marciapiedi, su panchetti che scompaiono sotto i loro immensi culi a vendere gorditas, bebidas o agende.

 Le gambe grosse nelle spesse calze di alpaca, si incastrano in scarpette troppo strette e impolverate. La Bolivia è il loro regno e loro ne sono regine, vendono, comprano, trasportano, figliano, allattano e crescono. Nelle campagne arano, coltivano, mietono e camminano giorni eterni dietro ai lama e agli alpaca, sempre sole, instancabili. La Paz avrebbe bisogno di cure, di sanificazione, di un miracolo, invece ha un piano e due immense teleferiche da 150 milioni di dollari, che dal basso della valle in cui soffoca se stessa, la trascinano a El alto in colorate cabine rosse e gialle. La Svizzera gliele ha fornite. La faccia del presidente Evo Morales sorride sulle porte automatiche, mentre La Paz scorre sotto di noi, fatiscente e incompleta, dalla base fino alla cima, finestre senza vetri, tetti senza copertura, stracci appesi,bambini abbandonati al sonno nei cortili incolti, cani sdraiati sui tetti, guardiamo agghiacciati protetti dal guscio del nostro ovetto elettrico.
Nella notte ci allontaniamo a bordo di un bus cama che ci porta a sud, ad Uyuni, porta d'ingresso dell' immenso omonimo Salar, 10.500 km quadrati di deserto di sale che in questa stagione delle piogge diventa uno specchio lucido e riflettente, e tutto ciò che è sopra diventa sotto, in un magico effetto di infinita, imperturbabile grandiosa vastità.
Siamo una spedizione variegata formata da 3 coppie di svizzeri tedeschi, un brasiliano, un americano del Wisconsin bianco e biondo che si accompagna ad una giapponese trasferita a New York, noi, gli autisti e una guida, i nostri Land Cruiser, con le taniche e i viveri sui tetti partono alla volta di quella che sarà la più incredibile avventura di questo viaggio.
 Facciamo conoscenza con i nostri compagni di sedile con cui condivideremo la magia di questi 3 giorni, colazioni, pranzi e cene, nonchè camerate al limite del minimalismo alberghiero. Appena ci addentriamo nel deserto di sale sprofondiamo in un silenzio reverenziale, muti e sopraffatti, il lieve scroscio dell'acqua sotto le gomme, una quiete ipnotica delicatamente violata dalla voce sinuosa di Lana del Rey..will you still love me when i'm no longer young and beautiful? I know you will, I know you will, I know that you will..nessuno lo dice ma io credo che tutti stiamo pensando che non poteva esserci atmosfera migliore per accompagnare questo momento.
La jeep scivola sola e silenziosa su quest'immensa lastra di vetro, dove le nuvole bianche lasciano spazio a sprazzi di cielo azzurrissimo, si riflettono e si specchiano in questo immenso mare calpestabile, le zolle di sale sono esagoni perfetti, uniti tra loro, sotto il pelo dell' acqua, le distanze sono falsate, cielo e terra si toccano e non si riesce a capire dove finisce l'uno e comincia l' altro, persino fare una foto dritta diventa un'impresa, a 360° ci siamo solo noi, per km, persi in un mare di luce e azzurro, camminiamo su uno specchio che si sforma sotto i nostri passi per poi ricomporsi un attimo dopo, quasi volerci mostrare che in nessun modo potremo mai modificare questa immensa e perfetta bellezza creata dalla natura.Per ore viaggiamo in auto lungo il salar avendo l' impressione di essere sempre fermi nello stesso punto, poi il sole inizia a calare, il cielo si scurisce, l'acqua si alza e ci mettiamo in salvo su una lingua di terra che ci porta in collina, guidiamo su strade dissestate mentre l'oscurità ci avvolge fino a raggiungere le deboli luci del nostro alloggio per la notte, pietra e sale si fondono insieme per farci da giaciglio e da mensa, i granelli scricchiolano sotto i nostri piedi.
Dopo una doccia bollente siamo pronti per lasciarci andare ai sogni tra le nostre pareti di sale, realizzando finalmente che qui siamo arrivati, dopo averlo ammirato in fotografie scattate da altri, averlo sognato guardando filmati irreali, e aver pensato che mai avremmo saputo come raggiungerlo, come viverlo coi nostri occhi, mentre il sale ci incrostava gli scarponi e ci lasciava scie bianche secche e rigide da intirizzire gli orli dei pantaloni.
Un altro sogno è diventato realtà, ancora una volta abbiamo insistito per riempirci gli occhi di bellezza straordinaria, anche quest'anno facciamo preoccupare e stupire le nostre famiglie che aspettano nostre notizie tra facebook e skype per augurarci ancora buon appetito mentre loro vanno a dormire, vivendo attraverso di noi lo spettacolo impensabile che il mondo riesce ancora a regalare a chi vuole mettersi in viaggio per andarlo a scoprire. La vita è breve, ci se ne accorge pensando al poco tempo che abbiamo da dedicare alla scoperta, a quanto poco abbiamo visto finora e quanto ancora il mondo aspetta di mostrarci, solo per questo vale la pena mettersi in moto e non negarci lo splendore della natura.

mercoledì 11 gennaio 2017

L'epico attraversamento della frontiera, gli esorcismi radiofonici e primo contatto con la popolazione boliviana #frontiera #desaguadero #frontera #perù #bolivia #borders #confinedistato #polizia #immigrazione #lapaz #elalto #gisela #minivan #bolivianos #soles #esorcismo #religiousrock


Lasciamo Puno con un' altra bellissima giornata di sole, diretti al terminal zonal dove i micros (minivan) aspettano di riempirsi per partire verso le loro destinazioni, il nostro va a Desaguadero, città di confine tra il Perù e la Bolivia lungo la sponda sud-est del lago Titicaca. La giornata è splendida, calda, il cielo azzurrissimo con nuvole bianche panna. Il micro è lanciato sulla strada dritta che costeggia il lago, tra campi coltivati, mucche al pascolo e donne Aymana con il loro tipico cappello a bombetta. Gli zaini sono al sicuro sul tetto.

Disaguadero ci stordisce con il suo casino di bancarelle per strada, le sue carrette da trasporto, che se non fai attenzione ti travolgono, il fango per terra. Ci avviciniamo al ponte che divide i due stati, un primo cartello sopra le nostre teste, all'ingresso del ponte ci ringrazia per la visita al Perù, il secondo, al termine, ci da il benvenuto in Bolivia. Cerchiamo di districarci per capire cosa fare per passare la frontiera, chiediamo informazioni ad una poliziotta peruana che ci manda oltre il ponte. Un brutto edificio che divide a metà la strada fangosa verso la Bolivia è strabordante di gente in fila di cui non si vede la fine. Chiediamo ad un poliziotto boliviano se ci troviamo nel posto giusto, ma lui, trovandoci sprovvisti di timbro di uscita, ci rimanda al di là del ponte dall' ufficio immigrazione del Perù.

Iniziamo a innervosirci e torniamo dalla poliziotta peruana che questa volta ci indica la struttura. Breve coda in cui compiliamo il modulo di uscita in cui indichiamo chiaramente che ci stiamo recando in Bolivia, arriva il nostro turno, l'impiegato timbra i passaporti e torniamo all' infinita coda boliviana, sotto il sole, vestiti come se dovessimo scalare l' Everest, con gli zaini in spalla. Io cerco di fare "l' italiana" inserendomi a metà della fila, ma Puddy mi riprende severamente, perciò accetto di mala voglia di passare le successive 3 ore procedendo di pochi millimetri alla volta.

Poi lui inizia a bestemmiare per il caldo e l' assurdità della condizione disumana a cui tutta questa gente è costretta per una formalità da pochi secondi. Finalmente arriva il nostro turno, l' addetta inserisce i dati del modulo d' entrata nel computer, apre i passaporti per apporre il timbro di ingresso e strabuzza gli occhi, scuote la testa e dice "no no no". L' ufficio immigrazione peruano, invece di apporre sui moduli e sui passaporti il timbro di uscita, ha apposto quello di entrata, quindi ora abbiamo due entrate in Perù in date differenti e nessuna uscita!
Ci informa che dobbiamo tornare oltre il ponte a correggere l' errore. Ci infiammiamo, terrorizzati dall' idea di altre 3 ore di coda, protestiamo, intimiamo, ma lei ci garantisce che con il timbro giusto salteremo la fila. Parto con i passaporti, Alessio tiene gli zaini, volo oltre il ponte, schivando carretti e mamacitas, me ne sbatto della coda e vado diretta allo sportello di quel mentecatto che è riuscito a non accorgersi che stava usando il timbro sbagliato e mi faccio mettere sui passaporti quello di uscita.

Ricorro oltre il ponte, raggiungo Puddy che si sta facendo le sue ragioni con i poliziotti boliviani, anche un pò imbarazzati e ritorniamo dentro gli uffici, supero la coda anche con una certa prepotenza, passo sotto la catena sradicando i paletti che la tengono in piedi e lancio i passaporti sotto il vetro del gabbiotto dell' addetta, che finalmente annuisce e timbra l'ingresso in Bolivia. Raccattiamo la nostra roba e di gran carriera, cerchiamo i bus diretti a La Paz. Non ci sono strade, solo gettate di fango rosso, con crateri e pozze, tra palazzi iniziati e mai finiti, con mattoni e griglie di ferraccio a vista, cani randagi che cercano cibo, spazzatura abbandonata a mucchi e bancarelle di acqua, bevande, merendine e cioccolate. I bus li troviamo, scassati, graffiati, logori, con il tetto pieno di sacche e scatoloni e fagotti colorati, all' interno gente stipata tra forniture di carta igienica annuali, borse, bastoni e qualsiasi accessorio per la casa. Occupiamo due posti in fondo, continua a salire umanità, sempre più carica, con bimbi legati alla schiena e sacche, borse, pacchi..iniziamo a pensare che il viaggio sarà eterno e ci vorrà tutta che il trabiccolo riesca a muoversi, così stipato.
Mi viene la curiosità di chiedere alla nostra vicina di posto se ci sono altri mezzi per raggiungere la capitale, lei risponde che ci sono i micros, ma costano 20 bolivianos (ovvero circa 3€), evidentemente per lei un prezzo altissimo, ci lanciamo giù dalla carretta prima che ci inglobi definitivamente, restituiamo i biglietti al conducente che ci ridà i soldi e gli zaini. Percorriamo un' isolato di terra rossa e spazzatura e palazzi lasciati a metà e troviamo i micros che stanno riempiendosi per La Paz, carichiamo gli zaini sul tetto e saliamo davanti a fianco al conducente. Nel delirio di code, timbri sbagliati e fughe da bus fagocitanti, abbiamo scordato di cambiare un pò di pecunia nella nuova valuta, grave ingenuità, l'autista però accetta il pagamento in soles al corretto cambio di 10soles per 20bolivianos.


Intanto ci godiamo il viaggio ignari dei momenti di terrore che vivremo a La Paz, una bellissima bambina ci tiene compagnia tutto il viaggio, ci da la manina, fa le foto con noi, si mangia le nostre gallette e poi quando non ne vuole più me le appoggia smangiucchiate sulla spalla. La strada è bella, unica lingua di asfalto tra prati di pecore e vacche e asini al pascolo, con le montagne innevate in lontananza, il cielo blu, tra banchi di nuvole più o meno minacciose, ogni tanto piove un pò, ogni tanto il sole illumina il panorama. L'autista sintonizza le frequenze su una specie di Radio Maria, ma peggio, ascoltiamo canzoni di rock religioso che farebbero cadere i capelli al più blando dei metallari, infine, un esorcismo in diretta, dove al grido di "SALES, SAAAAALES, DIABLO ENFERMEDAD, DEJA ESTO CUERPO..SE VA? SE VAAAAAA!! POR LA GRACIA DEL SENOR..COMO TE ENCUENTRAS?(rivolta all' esorcizzato) SANO? ESTA' SANOOOO, POR LA GLORIA DE JESUS NUESTRO SALVADOR!!rivolta ad un' invisibile platea.
In lontananza si vede una grande città, tutta sui toni del rosso mattone, ormai abbiamo accettato l'idea che qui l'intonaco sia sottovalutato, è El Alto, che ci spinge su su su, per poi aprirsi su una profonda valle tutta stipata di case a perdita d'occhio da togliere il fiato, ecco cos'è La Paz, l'edificazione senza confini, un milione di abitanti sopra, un milione sotto, un traffico infernale, aria irrespirabile, inquinamento acustico e una teleferica per spostarsi dal basso in collina. Chiediamo all' autista se ci cambia qualche soles peruano in bolivianos ma rifiuta, eppure all'inizio della corsa i nostri li ha presi, sconcertati cerchiamo il banco di cambio che ci ha indicato e lo troviamo chiuso, i bancomat rifiutano le nostre carte. Smarrimento.

Cerchiamo altrove, chiediamo aiuto a tassisti, ci dividiamo e ci incazziamo l'uno con l'altro per non esserci avvertiti o non essercene accorti, chiediamo ad altri autisti che arrivano dalla frontiera, ma nessuno sembra volerci aiutare. I boliviani ci stanno già sul cazzo! Ci manca la disponibilità dei Peruani. Poi un giovane tassista di nome Juan, passandoci accanto, si sporge dal vetro della sua auto e ci carica per portarci ad una casa di cambio cosicchè avremo i soldi per pagargli la corsa e farci lasciare in ostello, finalmente tranquilli con la nuova valuta in mano. Lungimiranza e ovvietà! comunque un angelo. Riacquistiamo il sorriso, anche se amareggiati dalla nostra leggerezza, mentre a naso in sù perlustriamo la strada pedonale di piccole pietre a mosaico, dove sorge la casa coloniale che ospita il nostro ostello.
La targa sotto la grande croce verde che capeggia sul muro, ci racconta che un tempo questa via era un luogo tenebroso per la costante apparizione di fenomeni soprannaturali, fantasmi, anime in pena, rumori infernali di carri trainati da cavalli e catene trascinate al suolo, ma soprattutto per la presenza di una vedova dannata, che seduceva gli uomini che si ritrovavano ubriachi a tarda notte a passare di qua, per condurli in misteriose avventure. Finchè gli abitanti della strada, gente di gran fede, decisero di collocare sul muro la croce verde per allontanare definitivamente tutte le creature maligne che li terrorizzavano. In quanto a noi, la nostra dose di terrore per oggi l' abbiamo avuta, non c'e clangore di catena o cigolio di carretto aggiunto a scalpicìo di zoccoli che possa spaventarci più. E come sempre, tutto è bene quel che finisce bene, speriamo solo di non aver bisogno di un esorcismo domani mattina!