giovedì 2 febbraio 2017

E anche stavolta siamo giunti alla fine, queste le considerazioni postume di un viaggio impegnativo #finale #lima #end #fin #peru #tiriamolesomme #ringraziamenti #sudamerica #latinamerica


Scendiamo con calma a far colazione e nell' atrio dell' hotel, le due moto argentine che tanto avevano destato la nostra curiosità all' arrivo ieri, sono pronte per partire, mi vengono in mente i diari della motocicletta mentre guardo questi due avventurieri che assicurano sacche e ricambi alle loro due ruote dai nomi mai sentiti. Un bel succo fresco di mango è quel che ci vuole per iniziare bene la giornata, oltre agli immancabili pane burro e marmellata e huevos revueltos.

Bighelloniamo fino alle 3 quando raggiungiamo la piazza per aspettare il pulmino che dovrebbe ricordarsi di raccoglierci qui, invece che ad Hidroelectrica. Nutriamo qualche dubbio quando suonano le 4, ma all' improvviso dal nulla si palesa una chica che ci conforta dicendo che Bertrand sarà li a minuti. Non si fa attendere, ci carica e si parte verso l' ultima ora di terrore. Anche questa volta sbuchiamo a Santa Maria indenni e iniziamo il lungo viaggio asfaltato verso Cusco. Nei pressi di Huyco ci rendiamo conto di quanto ci piaccia questa parte di Perù, così fertile e ricca di frutti colorati che i campesinos vendono per strada, tra campi di mais verde e vegetazione ricca.

Passiamo un villaggio affacciato sul fiume, intorno a noi montagne ammantate di nebbia, la strada le circonda, tutta a curve, mentre quando si alza, inerpicandosi sui tornanti, ci fa vedere le cime degli alberi e i palmeti. Lungo la pista i rampicanti hanno piccole bombette verdi allungate che si aprono diventano campanule viola, frutti che sbocciano, fiori rossi avviluppati come fusilli si aprono in petali rotondi e lingue di pistilli attirano gli insetti impollinatori. Sul ponte Ypal nei pressi di Sicre, un papà porta a cavalluccio una bimba addormentata con le trecce e gli stivaletti da pioggia che ballonzolano sulla sua schiena, mentre il sole comincia la sua discesa verso il tramonto.
I cagnetti di Amaybamba, tutti di piccola taglia, si spostano di malavoglia da in mezzo alla strada. Passiamo altri piccoli villaggi, la strada è un infinito balcone aggrappato alla montagna, che a tratti ci mostra la sua natura spigolosa, mentre per la maggiorparte del tempo è rivestita di verde e alberi fino alla cima. Tiriamo quasi sotto una vecchia indigena con una fascina di legna sulla schiena che attraversa la strada in curva. Cascatelle saltellanti scendono dalle rocce e invadono la carreggiata, mentre il micros ci passa dentro alzando spruzzi che lavano i vetri e chi malauguratamente ha il finestrino aperto.
Bertrand a differenza del suo predecessore guida molto piano, ma le curve non sono proprio il suo forte e questa strada è SOLO fatta di curve! All' altezza di Alfamayo sono cianotica, poi perdo i sensi perchè inizia a sorpassare al buio in curva mentre piove e c'è nebbia e io mi vedo già in fondo ad un burrone quando rinverranno tra le lamiere il mio martoriato corpo che stringe in mano questo piccolo blocknotes con annotate le mie ultime riflessioni prima dello sfracello. Puddy è in vena di patetismi e mi giura che si sacrificherà e mi farà da scudo umano per farmi salvare, come un ipotetico Di Caprio da pullman invece che da transatlantico e io, che inizio a percepire un soffocante gonfiore alle ghiandole salivari, non riesco ad apprezzare appieno la sua romantica offerta. Alle 22, quando ormai pensavamo di aver sbagliato strada, veniamo rigurgitati nella piazza di Cusco e ubriachi di nausea e stanchezza possiamo andare a dormire.
La mattina successiva mi alzo praticamente senza aver dormito con la gola ridotta ad un spiraglio da cui certo la colazione non può passare, provo a lenire la sensazione di gonfiore con mate de coca bollente e mi imbottisco di tachipirina, andiamo all' aereoporto passando sotto la statua di Pachacutec, che ci sovrasta da un cilindro di pietra e ci porge una mano come per salutarci.

La leggenda narra che suo padre Viracocha regnava a Cusco e aveva bandito il figlio dal regno perchè fedele al Dio Sole. Costretto a vagabondare oltre i confini del regno per diversi anni, tornò dal padre per avvisarlo di un imminente attacco ai suoi danni, da parte dei barbari Chanka, ma egli non volle ascoltarlo e per sicurezza, scappò a rifugiarsi nella Valle Sacra dell' Urubamba. Pachacutec, indignato dalla viltà del padre radunò un piccolo esercito in difesa del regno, ma era ben poca cosa di fronte all' orda Chanka. Il destino di Cusco pareva segnato, quando Inti, il Dio Sole non dimenticandosi di lui e della sua devozione, venne in suo aiuto tramutando tutte le pietre dei monti in guerrieri, che lo aiutarono a sconfiggere gli avversari. Vinta la guerra e spodestato il padre, Pachacutec divenne il nono Inca, fece radere al suolo l' antica capitale e ne costruì una nuova, con palazzi e templi disposti secondo una pianta prestabilita a forma di puma la cui testa era rappresentata dal tempio di Sacsayhuaman e il corpo dalla piazza principale. In onore del Dio Inti costruì il Coricancha, che oggi fa da basamento alla chiesa di Santo Domingo e diede il via ai lavori della fortezza di Ollantaytambo e  del tempio di Macchu Picchu.
Sono le 9:58 quando raggiungiamo l' aereoporto Velasco Astete di Cusco, che porta il nome del pilota peruano che sorvolò per primo le Ande. Al desk della StarPerù la signorina addetta al check-in ci invita ad imbarcarci sul volo delle 11 anticipando di due ore il nostro arrivo a Lima.  Bighelloniamo fino alle 20 per poi recarci all'ingresso del Parque della Reserva e scoprire che c'è una coda interminabile di gente, che come noi vuole assistere allo spettacolo dell' acqua. Proviamo a vedere se è una fila scorrevole o meno, anche perchè la prossima proiezione è alle 21:30 e sembra ci siano 2 km di coda! Invece magicamente in 50 minuti la sfanghiamo, nonostante Puddy sostenga che neanche a vedere Vasco ha mai visto tanta gente in fila.

Appena entrati incontriamo una fontana circolare che si può osservare anche da sotto un colonnato rialzato, dove il getto centrale si alza fino in cielo e si abbassa, poi delle luci verdi colorano degli spruzzi d' acqua pressurizzata e creano un bellissimo effetto ovattato, un' altra si estende in lunghezza ed è formata da una fila di spruzzi che cambiano colore, ruotano su se stessi, si avvitano, diventano un arcobaleno e proietteranno la storia dell'antico popolo indigeno sull' acqua, tra floride selve, i tre animali simbolo della cultura Inca: il puma, il serpente e il condor che si fondono tra loro e creano mascheroni che adornavano gli antichi palazzi e l'arrivo dei conquistadores spagnoli che distruggono e depredano avanzando a cavallo. Un' altra analogia con il Messico, quando a Campeche assistemmo alla proiezione sul palazzo del governo della storia del popolo Maya prima e dopo l' arrivo degli europei.
C'è una fontana che crea una galleria di piccoli getti arancioni sotto cui la gente passa e si fa fotografare e poi un grande spiazzo in cui si è raggruppata una marea di gente, tra bambini e adulti, sono tutti trepidanti e da fuori si percepisce l' attesa divertita dello spruzzo inaugurale che darà il via ad una danza di flutti, seguita dall' innalzarsi improvviso dei getti all' unisono lasciando tutti infracicati prima di ritirarsi fino al prossimo spruzzo.

Questo è l'ultimo, sudato spettacolo che ci ha regalato Lima, da cui tutto è partito e a da cui tutto finisce. Domani percorreremo le strade trafficate e rimbombanti di motori e clacson fino all' aereoporto Jorge Chavez, dedicato  all' aviatore peruano che per primo trasvolò le Alpi, per l' ultimo saluto al Perù, alle Ande e alla ricchezza della sua gente, che ci ha accolto da subito tra i sorrisi dei bambini e gli occhi curiosi degli anziani. In queste tre settimane ci siamo seduti sugli autobus con le Cholitas, facendo spazio ai loro fagotti e abbiamo condiviso i sedili con uomini dalle mani talmente stanche da non chiudersi più, che recuperano sonno sui micros, con i visi bruciati dal sole e dall' aria che qui secca e taglia.
Abbiamo guardato i volti dei bambini di Puno che hanno le guance viola nonostante i cappellini per proteggerli dal sole di giorno e dal vento di notte. Abbiamo mangiato alla tavola di ristoranti improvvisati, dove le cucine sono minimali e le posate sono cave da un lato, dove i tovaglioli mancano sempre e il pane non è contemplato, ma invece di far scarpetta ci si lecca le dita. Abbiamo sgranocchiato banane fritte, popcorn, choclos e anticuchos camminando per le strade. Abbiamo bevuto litri di Incacola rimpiangendo il momento in cui non la avremmo più trovata.
Abbiamo assaggiato il Cuy chactado tra mille riserve, perchè da noi i toponi non fanno gola e non ce la siamo sentita di andare fino in fondo e cercare l' ossicino a forma di volpe nella testa, per poi infilarlo nel bicchiere per decretare chi avrebbe offerto la cena. Abbiamo passeggiato per tutte le Plazas des Armas che abbiamo incontrato, a Lima, Arequipa, Puno, Cusco e Santa Teresa. Siamo saliti su cerros, mirador e montagne per ammirare il panorama e le città sottostanti, i condor o le cascate nascoste tra la nebbia, abbiamo attraversato deserti di sabbia, di sale, di pietra e cespugli spinosi. Abbiamo rivissuto la magia del Natale fino al 15 di Gennaio, tra renne, alberi e canzoni di feliz navidad in ogni piazza che non si rassegnava al passaggio al nuovo anno, passeggiato per antiche corti spagnole e ancor più antiche strade Inca, che nascondono ancor più antiche signore Peruane costrette a commerciare da tutta la vita e magari a dormire in strada. Abbiamo incontrato piccoli uomini anziani che trascinavano e spingevano carretti più grandi di loro, sollevavano pesi da spezzare la schiena e nonostante ciò non ci negavano un sorriso. Abbiamo guardato bambini rotolare giù dai prati, sdraiarsi sui marciapiedi, giocare con niente senza mai fare capricci, mangiare per strada, dormire per strada, giocare per strada.

Abbiamo attraversato la frontiera con la Bolivia per 2 volte (+4 per disguidi vari) in 5 giorni, abbiamo dormito e viaggiato su bus, micros, combi, taxi, bus-cama e strane apette truccate. Siamo saliti e scesi di quota di continuo tra una città e l' altra solo per cercare di vedere il più possibile di quello che questa magica terra ha da mostrare, prendendo pillole, bevendo infusi di foglie di coca e passando nottate infernali. Ci siamo seduti nelle chiese, a volte anche solo per riposare le gambe o stare un pò al fresco, abbiamo ascoltato nenie, canzoni eucaristiche, rock religioso ed esorcismi radiofonici, siamo rimasti imprigionati su isole flottanti, i nostri scarponi hanno camminato lungo i binari, su spiagge rosse, sui giunchi fradici, sulle ande, sulla più grande distesa di sale al mondo, su prati tra pietre che raccontano storie di civiltà perdute e i nostri occhi hanno visto lagune rosse, bianche e verdi con fenicotteri andini, cileni e jamesi.
 Siamo schiattati di caldo troppo vestiti, abbiamo preso la grandine a chicchi grandi come nocciole, la pioggia battente della selva, il sole cocente delle altitudini estreme, l' aria rarefatta dei 5000 metri. Senza dubbio questo è stato il viaggio più impegnativo e faticoso della nostra vita, finora, forse ce ne saranno altri più duri, forse invece no, quel che è certo è che come ogni esperienza rimarrà unica ed irripetibile, per come l' abbiamo vissuta e per quello che ci ha lasciato, per ora non possiamo ancora dirlo, l'elaborazione di un' esperienza ha bisogno di tempo. Quella che invece è immediata è la consapevolezza della fortuna che abbiamo noi ad averla potuta fare quest' esperienza, noi che viaggiare dovrebbe aprirci la mente, finchè incontriamo gente che non si è mai spostata dal posto in cui è nata ma ha meno preconcetti di noi che il mondo lo possiamo girare.

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