lunedì 18 giugno 2018

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La mattina seguente aspetto davanti allo scalone del terminal dei bus che l' adorabile Sevillana, a cui ho affittato il passaggio, mi conduca a Cordoba, senza sapere che la eleggerò mia città favorita di questo viaggio. Il viaggio è allegro e piacevole, oltre a me c'è una coppia di francesi che non parla molto, ma si tiene per mano tutto il tempo. La mia conductora è così carina da lasciarmi in fronte ad una delle porte della città vicinissima al mio alloggio che si trova nella zona pedonale. E' una casa tutta bianca con un patio meraviglioso, ingresso indipendente che dà su questo stradino inondato di sole e tranquillo, appena si varca la soglia la luce che filtra dall' immenso lucernaio riempie di calore benevolo i divani bianchi e le piante posizionate ai lati della stanza, si intravede il cucinino dove sarà servita la colazione.



Al primo piano una ringhiera corre su tre lati dell' abitazione e si affaccia sul salotto coi divani, mentre dietro, protette dalle finestre che danno sempre all' interno dell' abitazione ci sono le camere con i letti a castello, sempre sui toni del bianco con un gran bagno interno.



Il centro storico merita subito una visita, c'è tantissima armonia e calma in questa città, non si può non sorridere e respirare pace in Cordoba. Cammino per le stradine di San Basilio poggiando le ciabattine sui sampietrini mentre a naso in su ammiro le finestre bordate di giallo, di vasi colorati, le tapparelle azzurre in tinta con le porte, le vecchie insegne di ferro.


E' ora di pranzo quasi, le stradine sono assolate e deserte, addocchio la Taberna di San Basilio, una vera osteria dei tempi andati, spartana, alla buona con i proprietari che si affaccendano per il locale. Sono fratelli senza somigliarsi molto, uno più canuto sta asciugando bicchieri dietro il banco, ha un'espressione buona e gli occhiali con la montatura d' acciaio sottile come usano gli anziani, il più giovane ha i capelli ancora scuri e leccati all' indietro, ha un' aria burbera e meno amichevole, ogni tanto ruba un tiro da una sigaretta poggiata su un piattino su un ripiano di un mobile defilato dalla sala, tenendola tra pollice e indice e facendo lunghe aspirate, prima di tornare in sala accigliato buttandosi lo strofinaccio sulla spalla.


Mi siedo al banco un pò intimorita dalla loro inospitale diffidenza ma so già che non durerà molto, soprattutto quella del fratello bianco di capelli. Il menù mi fa gola ma non so cosa prendere, bevo una coppa di bianco della casa che mi viene servito da una vecchia bottiglia di cristallo tutta lavorata che tengono sotto il banco, è fortissimo e non si sposa per niente al mio tonno incipollato, ma probabilmente non si sposerebbe con niente, probabilmente non è un vino da pasto, ma d' altronde sono io che gli ho chiesto un bianco secco! Prima di andare chiedo lumi sul piatto forte della casa che mi dicono chiamarsi "Rabo de Toro". Torno quindi in ostello bella piombata dal vino e cerco sul web con le mie ultime forze di sobrietà, finchè scopro trattarsi di uno stufato di coda, abbastanza simile alla coda alla vaccinara della tradizione culinaria romana. dormo un pò per riprendermi dallo schiaffo alcolico e mi sveglio a metà pomeriggio che le temperature sono ancora belle cocenti. Ripercorro i vicoletti verso l' interno del centro storico, tra stradine e vicoletti con case che hanno finestre a punta in stile arabeggiante. Conto tre porte di pietra che sono gli accessi della città collocate ai margini delle strade carrabili e conducono la cuore antico di Cordoba.


Dietro la porta più grande, quadrata e tutta decorata con colonne, c'è un bellissimo ponte romano che attraversa il fiume, la gente lo percorre senza sosta sotto il sole e sull' altra sponda mi rinfresco bevendo orchata fatta sul momento.


Sotto la porta quadrata un violinista diffonde per l' aria melodie vibranti. Giro intorno al giardino della Mezquita ma ancora non voglio entrare perciò vago a perdermi in tutti i vicoletti che trovo.


Vado a dormire decisamente presto e la mattina dopo sono in piedi che il sole non è ancora penetrato tra le stradine di San Basilio, tutte le taberne sono chiuse, non c'è un rumore e l' aria è ancora fresca.




Mi godo la città silenziosa e catturo le prime scene delle attività che si preparano alla giornata, sarcinesche che si sollevano, inservienti che spingono i carrelli lungo le strade di pietra, fuori dalle camere che si affacciano sulle mura, commesse che sistemano i fiori sulle facciate dei localini, qualcuno che porta a spasso il cane.


A giornata inoltrata visito la mezquita che è un tripudio di archi striati porpora e crema, ripetuti infinitamente , tra cui perdersi e danzare tra le colonne, vorticando a naso in su mentre si ammirano i soffitti decorati di oro dei lucernai.



Il giardino è un'oasi protetta dalle mura attorno a cui "scalpicciano" gli zoccoli dei cavoli con le carrozze che si infilano senza sosta tra i vicoletti. Torno alla mia taberna e mi siedo di nuovo al banco, ordinando un gotto di rosso e il decantato Rabo de Toro, mentre negli occhi dell' oste bianco vedo apparire un' espressione di non celata soddisfazione.


Il fratello dai capelli leccati invece mi guarda sempre di sottecchi. Seduto due sgabelli più in la, stà un omone con lunghi capelli bianchi e la faccia simpatica. Scambiamo qualche battuta e siccome mi perdo qualche parola tra la confusione dell' ora di punta e il suo tono basso, gli faccio cenno di avvicinare il trespolo. Passiamo così due ore gomito a gomito, con la nostra coppetta di rosso davanti, parlando di impero romano, conquiste storiche, misteri del popolo cinese e ignoranze americane che lui chiama Amaricones, fingendo di sbagliare la parola ma alludendo a tutt' altro termine.


Chissà come, finiamo a parlare dei suoi due infarti e lo sento cauto, mentre mi racconta la sua esperienza di pre morte, teme che lo prenda per matto come mi dice spesso fanno tutti, ma io non mi scompongo, ma anzi gli confermo di conoscere l' argomento avendo vissuto una situazione analoga quando a 13 anni restai in coma per 3 giorni, sospesa chissà dove, a causa di un brutto virus addentratosi nel mio cervello che driblò le mie basse difese immunitarie per colpa della varicella. Sorpreso e sollevato si alza dal trespolo e mi mostra i peli ritti sulle sue braccia, dicendomi che la pelle non mente, gli occhi, la bocca posso farlo, ma il corpo è sempre sincero nelle sue reazioni. Ci scambiamo un abbraccio commosso mentre ci ascoltiamo raccontare emozionati, di fonti di luce, tunnel, burroni e anime bianche. Al momento dei saluti pretendo una foto con lui e mi dirigo verso i giardini dell' Alcazar come mi ha consigliato Antonio, il Sandokan del barrio.



Li trovo una mirabile dimostrazione della grandiosità dell' architettura araba: torrette, mura merlettate, finestre puntute e giardini magnifici con fonti, zampilli, laghetti e piccoli canali di trasporto delle acque. Dall' alto dei tetti si vede tutta la città e la meraviglia degli edifici dell' Alcazar.


Trovo anche Cristoforo Colombo, già ampiamente ricordato in svariati monumenti incontrati nelle altre città visitate finora e a venire, al cospetto de los Reyes catolicos Fernando de Aragona e Isabella de Castilla, a quali chiede proventi per le sue traversate.


Cerco di imprimermi quanta più Cordoba posso, tra cavalli purosangue, composizioni floreali nei patios delle abitazioni, ricordi dell' impero romano e note che volano leggere nel sole, quindi mi ritrovo con lo zaino nuovamente in spalla alla fermata del bus, dove il Voyager di Antonio mi accoglie per portarmi finalmente nella capitale, un passo più vicina  ai quadri di Hieronymus Bosch custoditi all' interno del Museo del Prado.

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