domenica 8 gennaio 2017

La Penisola di Paracas, le Isole Ballestas e la Riserva Naturale #islas #ballestas #reserva #natural #paracas #peru #lobosmarinos #backpackers #viaje #latinoamerica


Il nostro terzo giorno peruano si apre con il primo spostamento in bus del viaggio, un Uber ci porta al terminale Perubus di avenida Mexico e partiamo alla volta di Paracas, la penisola che dal deserto si protende in mare. Cinque ore di viaggio tra panorami sabbiosi e rocciosi ci separano da quell'istmo di povertà a cui la sorte ha regalato una riserva marina di interesse internazionale, utile a sostentare gli abitanti che non ne vogliono più sapere di fare i pescatori.

E allora ecco manifestarsi i soliti caroselli di taxi strombazzanti in cerca di turisti da scarrrozzare per pochi soles, le "guìas", le guide bilingue che cercano di venderti il pacchetto del tour all'offerta più conveniente e tutti quegli intermediari non autorizzati che cercano di innestarsi nel settore a danno delle agenzie e che puntualmente vengono allontanati dalla polizia locale.
Dopo una rapida ispezione al molo, capiamo che il tour alle isole Ballestas è l'unica ragione a trattenerci in loco, la cittadina è poco curata, tra edifici fatiscenti, strade polverose non asfaltate, baracchette che vendono souvenirs e una fila di sedie e tavolini di plastica con alle spalle cucine microscopiche e improvvisate che offrono tutte le stesse proposte di pescado y mariscos sotto tetti di paglia. Ci mettiamo in moto per comprare i nostri due posti sulla lancia per la mattina successiva che ci porterà in mezzo al mare e ed entriamo in contatto con le dinamiche del commercio peruano: i tours sono uguali per tutti, agenzie e venditori clandestini, bisogna solo trovare quello disposto a trattare maggiormente sul prezzo. La spuntiamo davvero bene con il proprietario di un' agenzia, tra lo sguardo esterrefatto dei suoi collaboratori che ci mostrano i loro blocchetti delle prenotazioni a prezzi molto più elevati di quello che gli abbiamo strappato. Lui ridacchia imbarazzato, loro gli intimano scherzosamente di andarsene a casa che gli rovina la piazza. In quanto a noi, por favor, acqua in bocca con gli altri turisti!

Dopo aver a lungo vagato incerti alla ricerca di un ristorante che potesse chiamarsi tale, la cena questa volta é a base di ottima carne, "anticuchos" spiedini di cuore, "chuletas" il taglio della carne del maiale sopra le costine, e "pollo asado" tutto cotto sulla grande plancia alla brace e impreziosito da salsa chimichurri, e una bella Cusquena dorada per facilitare il boccone.
La mattina successiva il trauma bussa alle nostre porte con una levataccia alle 6:50 del mattino per la colazione e la partenza. Ci portiamo dietro uno zaino di ottimismo che verrà disilluso due ore dopo quando seduti sulla lancia verso le Ballestas una coltre densa ed umida ci avvolgerà congelando le nostre spoglie estive.

Ci incurviamo sotto un asciugamano per cercare di mantenerci caldi, mentre lui no, il capitano del Mesiah III si cristallizza al comando del mezzo, ardito e fiero, diritto nella sua divisa bianca inamidata, rimane ancorato al suo timone e anche bagnato dall'acqua, stoicamente non batte ciglio. Tradito dall'infame clima di Gennaio riesce comunque a condurci in questo tour cieco tra le isole portando a termine la spedizione contro ogni pronostico:"Oh Capitano, mio Capitano!".
Seppur poco limpido, lo spettacolo marino che offrono le isole Ballestas è quello di una natura primordiale ed incontaminata, tra rocce erose dal mare in grotte e archi, dove le colonie di leoni marini, pellicani e volatili della costa, riportano ad un mondo inesplorato dal genere umano.

Incuranti della nostra presenza los lobos marinos dormicchiano sulle rocce, sguazzano nell' acqua limpida e lanciano latrati dalla spiaggia su cui si riproducono nei primi due mesi dell' anno. I pinguini di Humbold ci guardano scivolare sull' acqua dall' alto delle rocce dove sono stipati, le sule volano disposte a freccia compiendo geometrie sopra di noi, alcune si lasciano andare in volo e qualcuno di noi viene "colpito"!
Non è una casualità, fino a qualche anno fa, l'abbondante guano depositato sull'isola, prezioso per l'edilizia, veniva raccolto e commerciato a terra.
Visti i limiti nell'osservazione, non ci affanniamo troppo a cercare di ammirare il Candelabro, una figura che viene annoverata tra le più conosciute delle linee di Nazca, l'unica visibile dal mare, neppure ne possiamo indovinare l'ubicazione. Tornati al molo riprendiamo colore e partiamo per la parte del tour terrestre dove anche qui una densa nebbia bassa ingloba tutto e non ci permette di avvistare i fenicotteri rosa mentre si cibano dei loro gamberetti preferiti che danno la colorazione al loro piumaggio, l'anno scorso in Messico a Celestùn una giornata particolarmente piovosa ci impedì di avvistarli, e quest'anno ad una latitudine e ad una longitudine diversa il risultato resta invariato.
Sigh! In compenso in alto il cielo è sgombro e iniziamo a rosolarci grazie anche alla sabbia del deserto. Giungiamo alla Playa Roja, l'unica spiaggia in Sudamerica che presenta un caratteristico ed inusuale manto sabbioso di colore rosso, le cui alghe ricche di collagene sono utilizzate nella cosmetica mondiale, e a guardarci bene col nostro colorito, siamo tra i pochi a fare concorrenza alla spiaggia. Sostiamo per il pranzo in una baia vicina e rubiamo qualche panoramica meravigliosa da un mirador sovrastante, colori accesi e vitali, il giallo del deserto e il blu dell'oceano che si rincorrono rubandosi spazio a vicenda, una lotta scandita dal corso del tempo.

Tutto intorno è libertà, uno spazio infinito in cui un piccolo essere umano non trova collocazione.
Concludiamo la giornata di esplorazione affacciati dalla scogliera opposta alla Cattedrale, un gigantesco monolite eroso dagli elementi naturali, la cui forma richiamava quella di una chiesa cristiana, ma che si è disgregata in acqua durate l'ultimo terremoto. La guida dice che forse a Gesù "no le agradaba".
La fine del tour coincide perfettamente con la nostra ripartenza verso l'interno del Paese. Da qui in poi abbandoneremo definitivamente la costa e l'estate e utilizzeremo quella parte di zaino destinata al nostro armamentario invernale.
Dopo una traversata notturna lunga quanto quella di Mosè nella Terra Promessa, il mattino successivo a bordo della Cruz del Sur approdiamo ad Arequipa, la ciudad blanca, non tanto per il colore dei suoi edifici come tutti pensano, che sono bellissime ex case in stile spagnolo, con tanto di corti e fonti al suo interno, ma perchè appunto era stata scelta dai conquistatori bianchi come loro dimora.
La conformazione della piazza centrale, sempre denominata Plaza des Armas, come a Lima, e come in tutte le ciudad a venire suppongo, è sempre la stessa: la fonte al centro, circondata da giardini fioriti, alberi a delimitare il quadrilatero, e la strada che lo separa dalla cattedrale, e dai palazzi coi portici sui restanti tre lati. Qui ci si riunisce, si passeggia, si parla di politica, si guardano i bambini dondolarsi sulle catene che circondano la fontana.

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