martedì 17 gennaio 2017

Bolivia tour giorno 2: quante facce hanno i deserti, animali autoctoni, lagune e precipitazioni improvvise #bolivia #lagunas #lagunacolorada #kanapa #lagunahedionda #biscacha #boliviarail #volcanos #flamengos #morenada #



Alle 6 siamo già in piedi, con gli zaini fatti, pronti per la colazione nel nostro ricovero di sale. Mate de coca perchè oggi saliremo abbastanza, un buon frullato di banana per attentare ai nostri intestini, nel caso in cui l' altitudine non facesse abbastanza, una frittella da cospargere con mantequilla e dulce de leche, huevos revueltos per concludere.
Saliamo in vettura che il sole è già spuntato, ci dirigiamo verso una collina piena zeppa di cactus e come loro puntiamo lo sguardo lontano verso il salar, che inizia a splendere di luce. Attraversiamo qualche piccolo pueblito, tra lama al pascolo, cani polverosi che trottano in mezzo alla strada e panoramiche strade terrose. Ci muoviamo nella solitudine del nostro tragitto, senza incontrare anima viva, cercando di fotografare con gli occhi ogni roccia, ogni cespuglio, ogni colorata collina e montagna innevata che fa da sfondo al percorso.
Attraversiamo le rotaie dritte che un tempo portavano i minerali dritti al Cile, prima che le miniere si esaurissero e ci troviamo al cospetto di uno dei tanti vulcani semi attivi che circondano l' area che perlustriamo in questi giorni. Attraversiamo deserti diversi ciascuno con una sua particolarità: formazioni rocciose erose dalle intemperie, pietre ricoperte di velluto erboso e piccoli fiorellini bianchi, distese di piccoli cespugli spinosi simmetricamente disposti alla stessa distanza uno dall' altro sulla terra rossiccia e ferrosa. Le Toyota si arrampicano sulle pietre bianche ondeggiando e diffondendo le note delle morenadas, canzoni rappresentative della cultura boliviana dei tempi in cui la Corona spagnola adoperava schiavi neri per le miniere d' argento della città di Potosì, trasferendoli poi stremati alle coltivazioni delle foglie di coca.
C'è sempre una voce narrante che incita alle danze e ride grottescamente, strumenti a fiato e percussioni incalzanti, ritmiche che invogliano al movimento. Abraham, il nostro conductor e quello dell' altra macchina fermano i 4x4 in uno spiazzo di terra protetto da rocce rosse di fronte ad una grande montagna circondata da nuvole bianche, montano le tavole e ci prepariamo al rancho, poi mentre mangiamo si avvicina una biscacha, una lepre selvatica dalla lunga coda a ricciolo con gli occhi socchiusi, e le lunghe ciglia nere. Si avvicina scendendo a balzi dalle roccie, fermandosi poco sopra di noi, ci osserva, viene a prendere dalle nostre mani offerte di broccoli, per poi consumarli tenendoli stretti tra le zampette anteriori.
Riassicurate tavole, sedute e ceste dei viveri con le corde al tetto, partiamo alla volta delle lagune colorate: Kanapa, dove facciamo il primo incontro con i fenicotteri andini, che incessantemente tuffano il becco ricurvo nelle acque limacciose per rimpinzarsi di organismi tossici, plancton, che danno la colorazione rosata alle loro piume. In questa laguna coabitano tre differenti specie delle 6 esistenti al mondo: quello andino, con gambe e zampe interamente gialle, il piumaggio rosa pallido ad eccezione di collo, busto e interno ali rosa intenso e il becco giallo e nero, quello cileno con strisce rosso brillante sul dorso, zampe e articolazioni rosse, becco a banana color nero e bianco e quello di James, il più piccolo dei tre, con la parte finale delle ali nere, il becco giallo e nero e le gambe completamente rosse.
 Scattiamo un' infinità di foto, finalmente in presenza di questi mitici uccelli che per ben due volte ci sono sfuggiti, in Messico lo scorso anno e in Perù a Paracas qualche settimana fa. Ci spostiamo alle lagune Hedionda, ovvero lago fetido a 4100 metri, dove montagne innevate fanno da sfondo al banchetto dei flamingos e Ch'iar Quta, in lingua Aymara lago nero. Il maltempo inizia ad avvicinarsi oscurando il cielo sopra la laguna colorada, nel giro di pochi minuti passiamo dalla canotta al piumino, berretto e guanti.
Saliamo ancora di altitudine per avvicinarci al nostro ricovero per la notte, quando lungo la strada ci sorprende una grandinata pazzesca. Protetti dall' interno del Toyota, mentre Abraham mantiene il controllo del mezzo sotto l' assedio delle sfere di ghiaccio, noi osserviamo increduli e ammirati lo strano fenomeno che in pochi secondi ammanta di bianco tutta la terra rossa circostante. Scendiamo eccitati dalla jeep, chi in infradito, chi imbacuccato alla siberiana, per gironzolare tra la coltre di proiettili ghiacciati che scricchiolano al nostro passare, Mizie e Grant (giappo-americani) giocano a tirarsi la grandine, Paloma e Nik (svizzeri-tedeschi) saltellano facendosi le foto, Danilo Lopez guarda attonito qualcosa che forse in Brasile non ha mai visto, non ci siamo proprio fatti mancare niente. L' aria è gelida e pungente.
 Il nostro ostello per la notte è un tugurio di pietra, con camerate da 6 dove i materassi sono poggiati sopra lapidi di pietra. C'è un solo gabinetto per tutte le stanze che sono circa una decina, senza carta, sporco e poco invitante. La luce c'è solo nella sala dove ci riuniamo a mangiare, per vedere qualcosa in camera bisogna avere una torcia, di cui siamo tutti forniti per fortuna. La cena viene servita alla penombra della luce fioca di un' unica lampadina, per fortuna non si può dire che faccia freddo perchè il riscaldamento non esiste, ma comunque non è una novità visto che non lo abbiamo trovato ne ad Arequipa, ne al Canyon del Colca dove si congelava, nè a Puno e con grande probabilità non lo troveremo nemmeno a Cusco. Ci beviamo una birra dopocena con gli svizzeri chiacchierando amabilmente in un misto di inglese ispanico, poi a nanna, la sveglia è alle 4:15, e a parte la levataccia, tutti noi desideriamo stare il meno possibile in questo posto.

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