mercoledì 11 gennaio 2017

L'epico attraversamento della frontiera, gli esorcismi radiofonici e primo contatto con la popolazione boliviana #frontiera #desaguadero #frontera #perù #bolivia #borders #confinedistato #polizia #immigrazione #lapaz #elalto #gisela #minivan #bolivianos #soles #esorcismo #religiousrock


Lasciamo Puno con un' altra bellissima giornata di sole, diretti al terminal zonal dove i micros (minivan) aspettano di riempirsi per partire verso le loro destinazioni, il nostro va a Desaguadero, città di confine tra il Perù e la Bolivia lungo la sponda sud-est del lago Titicaca. La giornata è splendida, calda, il cielo azzurrissimo con nuvole bianche panna. Il micro è lanciato sulla strada dritta che costeggia il lago, tra campi coltivati, mucche al pascolo e donne Aymana con il loro tipico cappello a bombetta. Gli zaini sono al sicuro sul tetto.

Disaguadero ci stordisce con il suo casino di bancarelle per strada, le sue carrette da trasporto, che se non fai attenzione ti travolgono, il fango per terra. Ci avviciniamo al ponte che divide i due stati, un primo cartello sopra le nostre teste, all'ingresso del ponte ci ringrazia per la visita al Perù, il secondo, al termine, ci da il benvenuto in Bolivia. Cerchiamo di districarci per capire cosa fare per passare la frontiera, chiediamo informazioni ad una poliziotta peruana che ci manda oltre il ponte. Un brutto edificio che divide a metà la strada fangosa verso la Bolivia è strabordante di gente in fila di cui non si vede la fine. Chiediamo ad un poliziotto boliviano se ci troviamo nel posto giusto, ma lui, trovandoci sprovvisti di timbro di uscita, ci rimanda al di là del ponte dall' ufficio immigrazione del Perù.

Iniziamo a innervosirci e torniamo dalla poliziotta peruana che questa volta ci indica la struttura. Breve coda in cui compiliamo il modulo di uscita in cui indichiamo chiaramente che ci stiamo recando in Bolivia, arriva il nostro turno, l'impiegato timbra i passaporti e torniamo all' infinita coda boliviana, sotto il sole, vestiti come se dovessimo scalare l' Everest, con gli zaini in spalla. Io cerco di fare "l' italiana" inserendomi a metà della fila, ma Puddy mi riprende severamente, perciò accetto di mala voglia di passare le successive 3 ore procedendo di pochi millimetri alla volta.

Poi lui inizia a bestemmiare per il caldo e l' assurdità della condizione disumana a cui tutta questa gente è costretta per una formalità da pochi secondi. Finalmente arriva il nostro turno, l' addetta inserisce i dati del modulo d' entrata nel computer, apre i passaporti per apporre il timbro di ingresso e strabuzza gli occhi, scuote la testa e dice "no no no". L' ufficio immigrazione peruano, invece di apporre sui moduli e sui passaporti il timbro di uscita, ha apposto quello di entrata, quindi ora abbiamo due entrate in Perù in date differenti e nessuna uscita!
Ci informa che dobbiamo tornare oltre il ponte a correggere l' errore. Ci infiammiamo, terrorizzati dall' idea di altre 3 ore di coda, protestiamo, intimiamo, ma lei ci garantisce che con il timbro giusto salteremo la fila. Parto con i passaporti, Alessio tiene gli zaini, volo oltre il ponte, schivando carretti e mamacitas, me ne sbatto della coda e vado diretta allo sportello di quel mentecatto che è riuscito a non accorgersi che stava usando il timbro sbagliato e mi faccio mettere sui passaporti quello di uscita.

Ricorro oltre il ponte, raggiungo Puddy che si sta facendo le sue ragioni con i poliziotti boliviani, anche un pò imbarazzati e ritorniamo dentro gli uffici, supero la coda anche con una certa prepotenza, passo sotto la catena sradicando i paletti che la tengono in piedi e lancio i passaporti sotto il vetro del gabbiotto dell' addetta, che finalmente annuisce e timbra l'ingresso in Bolivia. Raccattiamo la nostra roba e di gran carriera, cerchiamo i bus diretti a La Paz. Non ci sono strade, solo gettate di fango rosso, con crateri e pozze, tra palazzi iniziati e mai finiti, con mattoni e griglie di ferraccio a vista, cani randagi che cercano cibo, spazzatura abbandonata a mucchi e bancarelle di acqua, bevande, merendine e cioccolate. I bus li troviamo, scassati, graffiati, logori, con il tetto pieno di sacche e scatoloni e fagotti colorati, all' interno gente stipata tra forniture di carta igienica annuali, borse, bastoni e qualsiasi accessorio per la casa. Occupiamo due posti in fondo, continua a salire umanità, sempre più carica, con bimbi legati alla schiena e sacche, borse, pacchi..iniziamo a pensare che il viaggio sarà eterno e ci vorrà tutta che il trabiccolo riesca a muoversi, così stipato.
Mi viene la curiosità di chiedere alla nostra vicina di posto se ci sono altri mezzi per raggiungere la capitale, lei risponde che ci sono i micros, ma costano 20 bolivianos (ovvero circa 3€), evidentemente per lei un prezzo altissimo, ci lanciamo giù dalla carretta prima che ci inglobi definitivamente, restituiamo i biglietti al conducente che ci ridà i soldi e gli zaini. Percorriamo un' isolato di terra rossa e spazzatura e palazzi lasciati a metà e troviamo i micros che stanno riempiendosi per La Paz, carichiamo gli zaini sul tetto e saliamo davanti a fianco al conducente. Nel delirio di code, timbri sbagliati e fughe da bus fagocitanti, abbiamo scordato di cambiare un pò di pecunia nella nuova valuta, grave ingenuità, l'autista però accetta il pagamento in soles al corretto cambio di 10soles per 20bolivianos.


Intanto ci godiamo il viaggio ignari dei momenti di terrore che vivremo a La Paz, una bellissima bambina ci tiene compagnia tutto il viaggio, ci da la manina, fa le foto con noi, si mangia le nostre gallette e poi quando non ne vuole più me le appoggia smangiucchiate sulla spalla. La strada è bella, unica lingua di asfalto tra prati di pecore e vacche e asini al pascolo, con le montagne innevate in lontananza, il cielo blu, tra banchi di nuvole più o meno minacciose, ogni tanto piove un pò, ogni tanto il sole illumina il panorama. L'autista sintonizza le frequenze su una specie di Radio Maria, ma peggio, ascoltiamo canzoni di rock religioso che farebbero cadere i capelli al più blando dei metallari, infine, un esorcismo in diretta, dove al grido di "SALES, SAAAAALES, DIABLO ENFERMEDAD, DEJA ESTO CUERPO..SE VA? SE VAAAAAA!! POR LA GRACIA DEL SENOR..COMO TE ENCUENTRAS?(rivolta all' esorcizzato) SANO? ESTA' SANOOOO, POR LA GLORIA DE JESUS NUESTRO SALVADOR!!rivolta ad un' invisibile platea.
In lontananza si vede una grande città, tutta sui toni del rosso mattone, ormai abbiamo accettato l'idea che qui l'intonaco sia sottovalutato, è El Alto, che ci spinge su su su, per poi aprirsi su una profonda valle tutta stipata di case a perdita d'occhio da togliere il fiato, ecco cos'è La Paz, l'edificazione senza confini, un milione di abitanti sopra, un milione sotto, un traffico infernale, aria irrespirabile, inquinamento acustico e una teleferica per spostarsi dal basso in collina. Chiediamo all' autista se ci cambia qualche soles peruano in bolivianos ma rifiuta, eppure all'inizio della corsa i nostri li ha presi, sconcertati cerchiamo il banco di cambio che ci ha indicato e lo troviamo chiuso, i bancomat rifiutano le nostre carte. Smarrimento.

Cerchiamo altrove, chiediamo aiuto a tassisti, ci dividiamo e ci incazziamo l'uno con l'altro per non esserci avvertiti o non essercene accorti, chiediamo ad altri autisti che arrivano dalla frontiera, ma nessuno sembra volerci aiutare. I boliviani ci stanno già sul cazzo! Ci manca la disponibilità dei Peruani. Poi un giovane tassista di nome Juan, passandoci accanto, si sporge dal vetro della sua auto e ci carica per portarci ad una casa di cambio cosicchè avremo i soldi per pagargli la corsa e farci lasciare in ostello, finalmente tranquilli con la nuova valuta in mano. Lungimiranza e ovvietà! comunque un angelo. Riacquistiamo il sorriso, anche se amareggiati dalla nostra leggerezza, mentre a naso in sù perlustriamo la strada pedonale di piccole pietre a mosaico, dove sorge la casa coloniale che ospita il nostro ostello.
La targa sotto la grande croce verde che capeggia sul muro, ci racconta che un tempo questa via era un luogo tenebroso per la costante apparizione di fenomeni soprannaturali, fantasmi, anime in pena, rumori infernali di carri trainati da cavalli e catene trascinate al suolo, ma soprattutto per la presenza di una vedova dannata, che seduceva gli uomini che si ritrovavano ubriachi a tarda notte a passare di qua, per condurli in misteriose avventure. Finchè gli abitanti della strada, gente di gran fede, decisero di collocare sul muro la croce verde per allontanare definitivamente tutte le creature maligne che li terrorizzavano. In quanto a noi, la nostra dose di terrore per oggi l' abbiamo avuta, non c'e clangore di catena o cigolio di carretto aggiunto a scalpicìo di zoccoli che possa spaventarci più. E come sempre, tutto è bene quel che finisce bene, speriamo solo di non aver bisogno di un esorcismo domani mattina!

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