mercoledì 13 marzo 2019

Il miracolo del Monte Fuji


11-12 marzo 2019

Chi l’avrebbe detto che avrei proprio lasciato a malincuore Takayama?! Ebbene, la mattina, prima di salutare la città, mi incammino a passo spedito verso la strada 158, che mi porta, in mezz’ora, all’antico villaggio di Hida no sato. Sono le 9 quando arrivò davanti all’ ingresso (600¥) e nonostante l’ora e la desolazione tutta intorno, è appena arrivato un pullman di francesi! Bestemmio borbottando tra me e me che questi mangialumache stanno diventando come i cinesi, han preso il vizio di viaggiare da vecchi e tutto insieme!


Così, quando un Monsieur, incrociandomi mi sorride, io, razzista senza patria, lo guardo in cagnesco. Faccio il percorso inverso rispetto a loro, così almeno non mi sembrerà di andare ad una veglia funebre. Il villaggio è molto bello, ci sono tante vecchie abitazioni che risalgono al 1700 e 1800, alcune abitate fino a metà del 1900. All’interno sono perfettamente conservate, tutte in legno con la zona adibita al fuoco, per scaldare le stanze e i mobili, la zona notte. Per fortuna c’è il sole, anche se fa molto freddo.


L’aria è gelata e bisogna muoversi per mantenersi caldi. Dopo un’ora a girare nel villaggio, riprendo la strada a ritroso e mi precipito in stazione or prendere il trenino che porta a Nagoya, tra panorami bellissimi, con corsi d’acqua su cui si affacciano le case, bellissimi alberi, dighe fotogeniche e tanto ordine. A Nagoya devo cambiare e prendere lo Shinkansen (treno proiettile) fino a Shizuoka, poi un locale fino a Fuji, durante il quale, per la prima volta avvisto il cono perfetto dell’omonimo monte, poi un altro minitrenino fino a Fujinomiya.


Il sole splende ancora e io aspetto solo di arrivare per poter andare a scattare qualche foto. Nel frattempo noto che quello che avevo scambiato per un tic nervoso del conducente qualche giorno fa, ovvero segnare con l’indice della mano destra la scheda degli orari e un punto di fronte a sè, a intervalli di pochi minuti, non lo è affatto, ma anzi è un atteggiamento di uso comune. Più tardi, mostrando il video che riprende la strana gestualità a Maya, la mia compagnia di stanza, scoprirò che ha un nome ben preciso, Iubisashi Kakunì, e si traduce proprio come “checking point for safety comfort”. Rimango allibita quando me lo spiega.


Arrivo quindi alla stazione e in po hi minuti raggiungo l’ostello, ho preso il giro, dopo Kyoto, di prenotare solo ostelli vicino alle stazioni, così posso facilmente raggiungerli e mollare il bagaglio prima di rimettermi in moto. Mi accoglie il proprietario, con il suo simpatico barboncino Tarume, in questa autentica e moderna casa giapponese, con l’ingresso sopraelevato per lasciare le scarpe e introdursi scalzi, il bagno con il panchetto per lavarsi seduti e le scale che portano alle camere. La mia stanza ha un solo letto a castello. Più tardi arriverà Maya. Esco e vado subito in giro a cercare spot per gustarmi il tramonto, che colora di rosa la neve bianca del monte più ispirante del mondo. Il tempio Fujisan Honguu Sengen Taisha è molto bello, ma è troppo basso e non si rivela un buon posto, così mi sposto di qualche centinaio di metri, verso il Museo, che genialmente ha una larga piscina proprio davanti al monte, in cui si riflette, creando un bellissimo effetto.


Finisco la giornata al centro commerciale, che ha un superbo supermercato dove comprare la cena e una food court dove ordinare bontà tipiche come Fujinomiya yakisoba, spaghetti di grano saraceno saltati o cotti sul teppanyaki ( piastra), carne, cavolo, salsina e zenzero marinato.
Tracimante di cibo rotolo fino in ostello dove arriva Maya, 21 anni, poche parole di inglese, ma con il traduttore andiamo a meraviglia, passa un’ora inginocchiata dietro la mia spalliera del letto mentre guarda le mie foto, insegnandomi parole giapponesi e i nomi delle cose che ci sono nella nostra stanza..come due caldissimi Chanchanko con cui ci divertiamo a fare foto.


La mattina dopo sveglia all’alba per andare a vedere il sole che nasce dietro al Fujiyama, tutti insieme (ci sono altri ospiti ma alloggiano nello stabile attiguo); il proprietario offre questo servizio gratuito per i suoi ospiti, intendendo far conoscere le bellezze del piccolo villaggio di Fujinomiya, affinché diventi una tappa per altri viaggiatori.


Quando il sole ha ormai fatto capolino, ci spostiamo davanti ad un prato ricoperto di brina, aspettando che la nuvola che è comparsa sul picco, si allarghi e diventi un perfetto cappello. Altra sosta alle Shoraito no Taki, superbe cascate che vengono giù dalla roccia come lunghi capelli bianchi. Maya mi fa alcune belle foto mentre mi aggiro sulle pietre. Alle 8:30 siamo di ritorno e ricompattato il bagaglio, vado in stazione a prendere il locale per Fuji, poi un’altro trenino per Shimizu, dove tutti si addormentano e sembrano voler convergere su di me  (quando non spippolano col cellulare, gli asiatici, tutti gli asiatici, dormono).


Ho letto che fuori dalla stazione c’è un bus che porta a Miho no Matsubara, località con una lunga spiaggia di sabbia vulcanica che si trova nella penisola di Izu. Io non riesco a individuare la fermata, ma in compenso trovo un traghetto che mi porta vicino e faccio il viaggio sul ponte, con le gabbianelle che mi volano ad un palmo, volteggiando in aria. La crew mi coccola con inchini e informazioni in inglese stentato, si fanno in quattro i giapponesi per essere d’ aiuto e ospitali, è molto bello tutto ciò, perché riescono nell’intento con un vocabolario davvero ridotto, mentre a volte..chi ne sa di più..


una lunga passerella di legno protetta dagli alberi, porta fino alla spiaggia e da lì si vede, oltre una lingua di mare, il bellissimo cono del Fuji che si alza verso il cielo, mentre ancora mi riecheggiano nella mente, le parole lette poco fa sul cartellone di accesso, in cui si dice che questo simbolo del Giappone, così tanto rappresentato dagli artisti per la sua bellezza e la perfezione del suo cono, ha un solo picco, che nei secoli ha ispirato poeti e canzoni. Considerato sacro e venerato è un luogo di estrema bellezza paesaggistica, in grado di donare pace e armonia a chi lo osserva.


Finisce che faccio tutta la promenade, per vedere fin quanto mi posso avvicinare all’acqua, per avere quella bella immagine del monte che fluttua sull’acqua o che si innalza  direttamente dalle profondità.
Impossibile non estasiarsi di fronte a questo gigante. La cosa che mi fa più felice è che leggendo molte recensioni ieri sera, per capire come arrivare a Miho no Matsubara, tante persone non hanno potuto ammirare il picco, a causa delle nuvole che spesso lo circondano.


Avendo io assistito ad una bellissima alba sgombra da nubi, mi ritenevo già soddisfatta così e arrivando al porto, non nutrivo grandi speranze che si diradassero, era davvero molto coperto quando viaggiavo sul battello. Invece, raggiunta la spiaggia, già non sembrava così impossibile, e appena sono stata più vicina, lui ha fatto il miracolo, regalandomi la gioia di ammirarlo nella sua interezza.



Oltre a pensare, per l’ennesima volta che sono sempre tanto fortunata nei miei viaggi, spesso fantastico anche su tutte quelle sincronie universali, che mi permettono sempre di poter apprezzare le cose nella loro espressione massima, che si mettono sempre al mio servizio per regalarmi le condizioni migliori, che lavorano insieme per assicurarmi emozioni indimenticabili. 



Grazie Giappone e grazie Fuji San, il tuo sforzo mi ha permesso di sopportare impassibile i mille cambi che ho dovuto fare per arrivare a Kamakura, perché in Giappone si possono coprire tratte di oltre 500 km (Osaka-Tokyo) in meno di 3 ore e poi per farne 75 (Shimizu-Kamakura) ce ne impieghi 4 e mezza!! Ma ci piace così!!




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