ovvero : preparativi ad una vita da immigrati per chi vuole trasferirsi all' estero anche dopo i 18 anni
giovedì 2 febbraio 2017
E anche stavolta siamo giunti alla fine, queste le considerazioni postume di un viaggio impegnativo #finale #lima #end #fin #peru #tiriamolesomme #ringraziamenti #sudamerica #latinamerica
Scendiamo con calma a far colazione e nell' atrio dell' hotel, le due moto argentine che tanto avevano destato la nostra curiosità all' arrivo ieri, sono pronte per partire, mi vengono in mente i diari della motocicletta mentre guardo questi due avventurieri che assicurano sacche e ricambi alle loro due ruote dai nomi mai sentiti. Un bel succo fresco di mango è quel che ci vuole per iniziare bene la giornata, oltre agli immancabili pane burro e marmellata e huevos revueltos.
Bighelloniamo fino alle 3 quando raggiungiamo la piazza per aspettare il pulmino che dovrebbe ricordarsi di raccoglierci qui, invece che ad Hidroelectrica. Nutriamo qualche dubbio quando suonano le 4, ma all' improvviso dal nulla si palesa una chica che ci conforta dicendo che Bertrand sarà li a minuti. Non si fa attendere, ci carica e si parte verso l' ultima ora di terrore. Anche questa volta sbuchiamo a Santa Maria indenni e iniziamo il lungo viaggio asfaltato verso Cusco. Nei pressi di Huyco ci rendiamo conto di quanto ci piaccia questa parte di Perù, così fertile e ricca di frutti colorati che i campesinos vendono per strada, tra campi di mais verde e vegetazione ricca.
Passiamo un villaggio affacciato sul fiume, intorno a noi montagne ammantate di nebbia, la strada le circonda, tutta a curve, mentre quando si alza, inerpicandosi sui tornanti, ci fa vedere le cime degli alberi e i palmeti. Lungo la pista i rampicanti hanno piccole bombette verdi allungate che si aprono diventano campanule viola, frutti che sbocciano, fiori rossi avviluppati come fusilli si aprono in petali rotondi e lingue di pistilli attirano gli insetti impollinatori. Sul ponte Ypal nei pressi di Sicre, un papà porta a cavalluccio una bimba addormentata con le trecce e gli stivaletti da pioggia che ballonzolano sulla sua schiena, mentre il sole comincia la sua discesa verso il tramonto.
I cagnetti di Amaybamba, tutti di piccola taglia, si spostano di malavoglia da in mezzo alla strada. Passiamo altri piccoli villaggi, la strada è un infinito balcone aggrappato alla montagna, che a tratti ci mostra la sua natura spigolosa, mentre per la maggiorparte del tempo è rivestita di verde e alberi fino alla cima. Tiriamo quasi sotto una vecchia indigena con una fascina di legna sulla schiena che attraversa la strada in curva. Cascatelle saltellanti scendono dalle rocce e invadono la carreggiata, mentre il micros ci passa dentro alzando spruzzi che lavano i vetri e chi malauguratamente ha il finestrino aperto.
Bertrand a differenza del suo predecessore guida molto piano, ma le curve non sono proprio il suo forte e questa strada è SOLO fatta di curve! All' altezza di Alfamayo sono cianotica, poi perdo i sensi perchè inizia a sorpassare al buio in curva mentre piove e c'è nebbia e io mi vedo già in fondo ad un burrone quando rinverranno tra le lamiere il mio martoriato corpo che stringe in mano questo piccolo blocknotes con annotate le mie ultime riflessioni prima dello sfracello. Puddy è in vena di patetismi e mi giura che si sacrificherà e mi farà da scudo umano per farmi salvare, come un ipotetico Di Caprio da pullman invece che da transatlantico e io, che inizio a percepire un soffocante gonfiore alle ghiandole salivari, non riesco ad apprezzare appieno la sua romantica offerta. Alle 22, quando ormai pensavamo di aver sbagliato strada, veniamo rigurgitati nella piazza di Cusco e ubriachi di nausea e stanchezza possiamo andare a dormire.
La mattina successiva mi alzo praticamente senza aver dormito con la gola ridotta ad un spiraglio da cui certo la colazione non può passare, provo a lenire la sensazione di gonfiore con mate de coca bollente e mi imbottisco di tachipirina, andiamo all' aereoporto passando sotto la statua di Pachacutec, che ci sovrasta da un cilindro di pietra e ci porge una mano come per salutarci.
La leggenda narra che suo padre Viracocha regnava a Cusco e aveva bandito il figlio dal regno perchè fedele al Dio Sole. Costretto a vagabondare oltre i confini del regno per diversi anni, tornò dal padre per avvisarlo di un imminente attacco ai suoi danni, da parte dei barbari Chanka, ma egli non volle ascoltarlo e per sicurezza, scappò a rifugiarsi nella Valle Sacra dell' Urubamba. Pachacutec, indignato dalla viltà del padre radunò un piccolo esercito in difesa del regno, ma era ben poca cosa di fronte all' orda Chanka. Il destino di Cusco pareva segnato, quando Inti, il Dio Sole non dimenticandosi di lui e della sua devozione, venne in suo aiuto tramutando tutte le pietre dei monti in guerrieri, che lo aiutarono a sconfiggere gli avversari. Vinta la guerra e spodestato il padre, Pachacutec divenne il nono Inca, fece radere al suolo l' antica capitale e ne costruì una nuova, con palazzi e templi disposti secondo una pianta prestabilita a forma di puma la cui testa era rappresentata dal tempio di Sacsayhuaman e il corpo dalla piazza principale. In onore del Dio Inti costruì il Coricancha, che oggi fa da basamento alla chiesa di Santo Domingo e diede il via ai lavori della fortezza di Ollantaytambo e del tempio di Macchu Picchu.
Sono le 9:58 quando raggiungiamo l' aereoporto Velasco Astete di Cusco, che porta il nome del pilota peruano che sorvolò per primo le Ande. Al desk della StarPerù la signorina addetta al check-in ci invita ad imbarcarci sul volo delle 11 anticipando di due ore il nostro arrivo a Lima. Bighelloniamo fino alle 20 per poi recarci all'ingresso del Parque della Reserva e scoprire che c'è una coda interminabile di gente, che come noi vuole assistere allo spettacolo dell' acqua. Proviamo a vedere se è una fila scorrevole o meno, anche perchè la prossima proiezione è alle 21:30 e sembra ci siano 2 km di coda! Invece magicamente in 50 minuti la sfanghiamo, nonostante Puddy sostenga che neanche a vedere Vasco ha mai visto tanta gente in fila.
Appena entrati incontriamo una fontana circolare che si può osservare anche da sotto un colonnato rialzato, dove il getto centrale si alza fino in cielo e si abbassa, poi delle luci verdi colorano degli spruzzi d' acqua pressurizzata e creano un bellissimo effetto ovattato, un' altra si estende in lunghezza ed è formata da una fila di spruzzi che cambiano colore, ruotano su se stessi, si avvitano, diventano un arcobaleno e proietteranno la storia dell'antico popolo indigeno sull' acqua, tra floride selve, i tre animali simbolo della cultura Inca: il puma, il serpente e il condor che si fondono tra loro e creano mascheroni che adornavano gli antichi palazzi e l'arrivo dei conquistadores spagnoli che distruggono e depredano avanzando a cavallo. Un' altra analogia con il Messico, quando a Campeche assistemmo alla proiezione sul palazzo del governo della storia del popolo Maya prima e dopo l' arrivo degli europei.
C'è una fontana che crea una galleria di piccoli getti arancioni sotto cui la gente passa e si fa fotografare e poi un grande spiazzo in cui si è raggruppata una marea di gente, tra bambini e adulti, sono tutti trepidanti e da fuori si percepisce l' attesa divertita dello spruzzo inaugurale che darà il via ad una danza di flutti, seguita dall' innalzarsi improvviso dei getti all' unisono lasciando tutti infracicati prima di ritirarsi fino al prossimo spruzzo.
Questo è l'ultimo, sudato spettacolo che ci ha regalato Lima, da cui tutto è partito e a da cui tutto finisce. Domani percorreremo le strade trafficate e rimbombanti di motori e clacson fino all' aereoporto Jorge Chavez, dedicato all' aviatore peruano che per primo trasvolò le Alpi, per l' ultimo saluto al Perù, alle Ande e alla ricchezza della sua gente, che ci ha accolto da subito tra i sorrisi dei bambini e gli occhi curiosi degli anziani. In queste tre settimane ci siamo seduti sugli autobus con le Cholitas, facendo spazio ai loro fagotti e abbiamo condiviso i sedili con uomini dalle mani talmente stanche da non chiudersi più, che recuperano sonno sui micros, con i visi bruciati dal sole e dall' aria che qui secca e taglia.
Abbiamo guardato i volti dei bambini di Puno che hanno le guance viola nonostante i cappellini per proteggerli dal sole di giorno e dal vento di notte. Abbiamo mangiato alla tavola di ristoranti improvvisati, dove le cucine sono minimali e le posate sono cave da un lato, dove i tovaglioli mancano sempre e il pane non è contemplato, ma invece di far scarpetta ci si lecca le dita. Abbiamo sgranocchiato banane fritte, popcorn, choclos e anticuchos camminando per le strade. Abbiamo bevuto litri di Incacola rimpiangendo il momento in cui non la avremmo più trovata.
Abbiamo assaggiato il Cuy chactado tra mille riserve, perchè da noi i toponi non fanno gola e non ce la siamo sentita di andare fino in fondo e cercare l' ossicino a forma di volpe nella testa, per poi infilarlo nel bicchiere per decretare chi avrebbe offerto la cena. Abbiamo passeggiato per tutte le Plazas des Armas che abbiamo incontrato, a Lima, Arequipa, Puno, Cusco e Santa Teresa. Siamo saliti su cerros, mirador e montagne per ammirare il panorama e le città sottostanti, i condor o le cascate nascoste tra la nebbia, abbiamo attraversato deserti di sabbia, di sale, di pietra e cespugli spinosi. Abbiamo rivissuto la magia del Natale fino al 15 di Gennaio, tra renne, alberi e canzoni di feliz navidad in ogni piazza che non si rassegnava al passaggio al nuovo anno, passeggiato per antiche corti spagnole e ancor più antiche strade Inca, che nascondono ancor più antiche signore Peruane costrette a commerciare da tutta la vita e magari a dormire in strada. Abbiamo incontrato piccoli uomini anziani che trascinavano e spingevano carretti più grandi di loro, sollevavano pesi da spezzare la schiena e nonostante ciò non ci negavano un sorriso. Abbiamo guardato bambini rotolare giù dai prati, sdraiarsi sui marciapiedi, giocare con niente senza mai fare capricci, mangiare per strada, dormire per strada, giocare per strada.
Abbiamo attraversato la frontiera con la Bolivia per 2 volte (+4 per disguidi vari) in 5 giorni, abbiamo dormito e viaggiato su bus, micros, combi, taxi, bus-cama e strane apette truccate. Siamo saliti e scesi di quota di continuo tra una città e l' altra solo per cercare di vedere il più possibile di quello che questa magica terra ha da mostrare, prendendo pillole, bevendo infusi di foglie di coca e passando nottate infernali. Ci siamo seduti nelle chiese, a volte anche solo per riposare le gambe o stare un pò al fresco, abbiamo ascoltato nenie, canzoni eucaristiche, rock religioso ed esorcismi radiofonici, siamo rimasti imprigionati su isole flottanti, i nostri scarponi hanno camminato lungo i binari, su spiagge rosse, sui giunchi fradici, sulle ande, sulla più grande distesa di sale al mondo, su prati tra pietre che raccontano storie di civiltà perdute e i nostri occhi hanno visto lagune rosse, bianche e verdi con fenicotteri andini, cileni e jamesi.
Siamo schiattati di caldo troppo vestiti, abbiamo preso la grandine a chicchi grandi come nocciole, la pioggia battente della selva, il sole cocente delle altitudini estreme, l' aria rarefatta dei 5000 metri. Senza dubbio questo è stato il viaggio più impegnativo e faticoso della nostra vita, finora, forse ce ne saranno altri più duri, forse invece no, quel che è certo è che come ogni esperienza rimarrà unica ed irripetibile, per come l' abbiamo vissuta e per quello che ci ha lasciato, per ora non possiamo ancora dirlo, l'elaborazione di un' esperienza ha bisogno di tempo. Quella che invece è immediata è la consapevolezza della fortuna che abbiamo noi ad averla potuta fare quest' esperienza, noi che viaggiare dovrebbe aprirci la mente, finchè incontriamo gente che non si è mai spostata dal posto in cui è nata ma ha meno preconcetti di noi che il mondo lo possiamo girare.
martedì 24 gennaio 2017
..y al final #machupicchu #maravilladelmundo #peru #andes #inca #ruines #huaynapicchu #santateresa #aguascalientes #piscinas #lomosaltado
Durante la notte la pioggia è talmente forte che Puddy, forse credendo che per allagare la stanza abbia azionato la doccia si sveglia con la faccia impastata chiedendomi cosa sto facendo, appena anche lui realizza che il nubifragio è fuori e non dentro la camera del graziosissimo Machu Picchu Packers, mi rivolge uno sguardo che si traduce in: "Minchia che sfiga, Machu Picchu sotto l' acqua no!"
Riprendiamo sonno rassegnati, inutile fare la levataccia alle 5 del mattino, meglio prendersela comoda. Ci svegliamo quindi con tutta calma alle 7.30, che tanto da quando siamo in Perù è una costante e scendiamo a far colazione. Al botteghino per prendere il ticket del bus per salire al sito (30 minuti con bus per 24 USDollari andata e ritorno a persona altrimenti 2h a piedi percorrendo la stessa strada dei bus) non c'è nessuno perciò in un attimo siamo imbarcati e partiamo. Tutto molto comodo ma troppa burocrazia, sono necessari i passaporti per comprare i tickets, poi vengono timbrati dal primo controllore e poi scannerizzati dal secondo. Facciamo la strada percorsa ieri sotto la pioggia, poi invece di seguire a destra per i binari prendiamo a sinistra su un ponte di ferro e iniziamo a inerpicarci su per la montagna facendo una strada sterrata tutta a tornanti.
Sul lato sinistro si vedono il fiume in basso sotto di noi, il campeggio degli scoppiati che stanotte si saranno lavati per bene e tutto un corollario di imponenti montagne solitarie. Finalmente si scende e nel frattempo il cielo si apre, inizia a fare il solito caldo infernale e come al solito noi siamo troppo vestiti. In questo viaggio non c'è stata una volta che abbiamo imbroccato l' abbigliamento giusto, si può dire che nonostante le previsioni di temmperature rigide e piogge torrenziali, avremmo potuto tranquillamente partire con tutto un' altro bagaglio! Comunque, si sa che se l' avessimo fatto saremmo certamente morti di freddo.
Entriamo e dopo un breve sentiero ci troviamo davanti ad una serie di terrazzamenti agricoli, un tempo dedicati alla coltura del mais e delle patate. Una piccola abitazione con tetto di paglia ospita un lama che incurante del nostro arrivo continua a rifocillarsi nel prato, scendiamo verso il settore urbano per vedere ai nostri piedi la cittadella in tutto il suo splendore, la sella rocciosa che domina un' ansa del rio Urubamba che la ospita e Huayna Picchu, la roccia sacra alle sue spalle. Lo spettacolo toglie il fiato, più dell' altitudine che è solo 2500mt e a noi ormai ci fa il solletico, il sole illumina le costruzioni e il verde delle terrazze che degradano geometriche verso il fondovalle. Si dice che questo fosse l' ultimo avamposto Inca delle Ande, il punto di partenza per addentrarsi nella foresta, ma la teoria che si trattasse di un santuario nascosto, dimora delle vergini del sole pare prendere piede, soprattutto in base allo studio effettuato sui corpi ritrovati nel luogo che risultano per l' 80% donne.
Ci aggiriamo per le abitazioni incantati da tanta perfezione, tocchiamo ogni pietra per sentire la potenza dei secoli, ogni tanto vorrei essere come il protagonista di quel telefilm di cui non ricordo il nome, che toccava gli oggetti e aveva un susseguirsi di visioni che gli mostravano episodi accaduti nelle sue vicinanze, immagino di vedere come si svolge la vita nella cittadella come un invisibile spettatore, l'arrivo dei conquistadores, le lotte, le fughe, l' abbandono, la selva che ricopre tutto sotto una spessa coltre verde e poi il ritrovamento, seguindo le mitiche leggende della città perduta degli Inca.
E' l' ora di andare, la nostra camminata lungo i binari per tornare ad Hidroelectrica e poi sfidare la morte lungo i dirupi fino a Santa Teresa in pulmino non può attendere oltre. Ci facciamo lasciare appena dopo il ponte di ferro e dopo la foto di rito sotto il cartello che indica Machu Picchu come una delle 7 meraviglie del mondo moderno, percorriamo la scala che ci riporta ai binari, stavolta il pericolo pioggia pare scongiurato, e siccome abbiamo tempo ci fermiamo a mangiare da Dona Angelica a circa metà strada lungo i binari, un piccolo e grazioso campsite con sala da pranzo, dove in cucina due signore anziane preparano piatti tipici per i passanti come noi.
Quando arriviamo ad Hidroelectrica c'è il solito delirio di pulmini e taxi, prendiamo un combi al prezzo di 5 soles a testa e in mezz'ora siamo a destinazione senza intoppi. Il nostro hotel per la notte sembra fin troppo grande per un piccolo villaggio che di fatto è ancora in via di definizione. Probabilmente siamo gli unici ospiti e veniamo alloggiati al terzo piano, quello panoramico. Il pensiero che mi pervade, dopo aver dormito per due notti in una camera vista strada a Cusco, dove il traffico non cessa mai, aver affrontato levatacce per avvistare condor al Colca, leoni marini alle Isole Ballestas, intrapreso viaggi notturni in bus cama, aver raggiunto destinazioni ad orari improbabili, è che finalmente questa volta, ci sveglieremo naturalmente nella quiete di un piccolo pueblo. La signora ci consiglia di andare alle piscine di acqua calda distanti solo pochi minuti in combi, così finalmente tiriamo fuori i costumi e gli asciugamani pronti per immergerci nel tepore delle vasche di pietra dove già sguazzano famiglie con bambini festanti. Dopo un paio d'ore torniamo al pueblo e mi sovviene di non aver ancora stampato le carte di imbarco per il nostro volo interno del giorno seguente da Cusco a Lima.
L'indomani arriveremo troppo tardi per andare a cercare un internet point e la mattina dopo essendo Domenica forse saranno chiusi, inoltre la Ugly Betty dell' ostello di Cusco mi ha già detto che non hanno imprimidora, perciò l'unica alternativa è l' ufficio del turismo qui a Santa Teresa, ma visto il numero di avventori quando arriviamo alle 6 è già chiuso. Ed ecco che si ripresenta la peruanità che tanto ci fa sentire piccoli: Aguila de acero, il nostro tassista che ci ha raccolto fuori dalle piscine varca la porta del retrostante ufficio del municipio, si fa dare il numero e fa tornare allo sportello l' addetto, poi un signore molto gentile ci fa accomodare alla sua scrivania tra scaffali pieni di faldoni riguardanti le opere di costruzione in atto e ci lascia con il suo pc, rispondendo ai nostri ringraziamenti con ospitalità e calore, ci dice che sono una piccola comunità ed è loro dovere mettersi a nostra disposizione, proviamo a pagare il disturbo ma non c'è verso.
Anche stavolta la fortuna è stata con noi, nel momento giusto, come quando a La Paz abbiamo incontrato Juan che ci ha caricato sul suo taxi per portarci all' agenzia di cambio quando nessuno sembrava volerci dare una mano o quando in dubbio su a chi affidarci per il tour di 3 giorni al Salar, dopo aver letto di esperienze terribili, ci è capitato in mano l' opuscolo dell' agenzia Perla de Bolivia. Detto questo, ci sediamo all' esterno di un ristorantino che affaccia, come tutti gli altri sulla strada principale di Santa Teresa, che porta alla piazza, l'unica, anche lei, come tutte le altre di ogni città visitata, chiamata Plaza des Armas. Ordino il lomo saltado più buono di queste tre settimane, l'ultimo prima del rientro. A poco a poco vediamo sopraggiungere orde di gente in tenuta da bagno di ritorno dalle fonti che si riversano nei ristoranti, torniamo in albergo ignari che di li a due ore pure il nostro silenzioso albergo fagociterà un numero imprecisato ma molto rumoroso di famiglie che cercheranno riparo dalla pioggia per la notte, tra gran spostamenti di letti, conversazioni a volumi palasportiani e passi titanici lungo le scale. E vabbè, notte più notte meno.
sabato 21 gennaio 2017
Viaggio dimagrante verso Machu Picchu, il modo più economico per raggiungere il sito meraviglia del mondo e perdere peso #machupicchu #peru #maravilladelmundo #inca #urubamba #puente #vilcanota #selva #hidroelectrica #santateresa #camino #aguascalientes #standbyme
Il primo passo di avvicinamento a Machu Picchu si presenta sotto forma di un bus micro da 15 posti di cui occupiamo gli ultimi due dei quattro in fondo. Partiamo subito balzellando lontano da Cusco, scendendo lungo sgangherati sobborghi, caratterizzati dalle solite bancarelle di bebidas, paciughi e comida rapida. Il nostro autista si dimostra subito molto sprintoso e da prova di coglionaggine ripetuta azzardando folli sorpassi in curva, in salita o comunque quando non pare essercene necessità, visto che in giro ci sono prevalentemente pulmini turistici come il nostro diretti a Machu Picchu. Ecco, in realtà raggiungere la meraviglia del mondo è un fatto di soldi; ci sono solo due possibilità, treno o bus. Intanto, il pueblo da cui si accede alla cittadella di Machu Picchu di chiama Aguas Calientes ed è stato creato evidentemente per accogliere le genti di tutto il mondo che desiderano visitare il grande e inaccessibile sito.
La prima possibilità, la più comoda ma dispendiosa, con la compagnia Perurail che peraltro mi hanno detto essere cilena e neanche peruana, direttamente da Cusco per un prezzo esorbitante che varia a seconda dell' orario, della tipologia (il Bingham, il più caro porta il nome dello scopritore di MachuPicchu, il Vistadome la via di mezzo, ma comunque inavvicinabile e l' expedition il più economico) e se si acquista solo l' andata o anche il ritorno. In alternativa si può prendere da Cusco un combi (pulmino) fino a Ollantaytambo ovvero la città di Ollanta, dove Manco Inca cercò di raggruppare la resistenza indigena dopo la disfatta contro gli spagnoli per la liberazione di Cusco, per la minima cifra di 10 soles (circa 3€) e poi il treno Perurail che arriva direttamente ad Aguas Calientes nel giro di un paio d'ore. La più accessibile delle tariffe, che sempre variano a seconda dei già citati requisiti, è 64 USDollari a persona per la sola andata! Volendo comprare solo la tratta inversa, quindi da Aguas Calientes a Ollantaytambo, il prezzo lievita sopra i 95 USDollari. Ovviamente i prezzi indicati sono quelli del treno expedition, il più economico dei tre. La seconda, l' alternativa più economica a cui noi due pidocchiosi, eticamente incorruttibili a proposito di sfruttamento della cultura aderiamo, è il pulmino da Cusco ad Hidroelectrica, seguita da una camminata di circa 2 ore lungo i binari del treno fino a raggiungere il pueblo di Aguas Calientes per una spesa di 75 soles (circa 20 €) a testa.
La scelta potrebbe sembrare ottimale, se si esclude l'ultimo tratto accidentato dal pueblo di Santa Maria alla stazione di Hidroelectrica, circa due ore di strada sterrata a strapiombo sulle acque del fiume Urubamba, che qui ha già cambiato nome in Vilcanota, che scorre impetuoso e incazzato sotto di noi, mentre l'autista come un pazzo si lancia alzando nuvole di polvere sui sassi sconnessi, puntando alle curve come un kamikaze al nemico, balliamo sui sedili come tarantolati mentre siamo percorsi dal dubbio di far notare o meno che stiamo procedendo un pò troppo allegri. Per aumentare la percentuale di pericolosità la strada, se così si può chiamare, è anche a doppio senso, ed è un attimo dover fare manovre secche per evitare o lasciare spazio ad altri pulmini che sopraggiugono dalla direzione opposta. Mi chiedo come sarà quando toccherà a noi tenere la destra a lato strapiombo. Ma l'autista impavido punta alla prossima curva come un foxhound alla volpe nella celebre caccia inglese, la strada si allarga un pochino e io mi giro verso Puddy dicendo "eheh adesso ci sta un bel sorpasso, ehehe", torno a guardare la strada e mi pietrifico in una smorfia sudata quando veramente il folle si lancia al sorpasso del pulmino davanti.
La camminata si rivela piacevole e divertente. I binari corrono in mezzo alle rocce e alla selva dove si sentono i rumori e i suoni degli uccelli e si ha una meravigliosa visuale a 360° delle imponenti montagne ammantate di verde e nebbia. Ci sentiamo pionieri verso magiche scoperte, camminiamo sulle traversine quando le pietre ci danno noia e ci fanno slittare gli scarponi, attraversiamo un pò a sinistra quando si intravede un pò di terra battuta, un pò a destra a guardare il fiume che scorre impetuoso. Attraversiamo un bel ponte rosso di ferro, le cui pedane adibite al nostro passaggio ondeggiano e ballano sotto i nostri piedi come se fossero di lamierino sottilissimo.
Mi ricorda tanto il ponte di "Stand by me, ricordo di un' estate", il mitico film di Rob Reyner tratto dal libro di Stephen King , in cui quattro ragazzini nell' estate del 1959 lasciavano la loro piccola cittadina dell' Oregon per andare alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo sparito qualche giorno prima, passando attraverso pozze piene di sanguisughe, lotte e crescite adolescenziali e poesia nel caldo torrido panorama del nord ovest americano. Non ci sono cartelli ad indicare quanta strada ancora manca, non ci resta che procedere avanti fino a quando, ovviamente per non farci mancare niente inizia a piovere. Tiriamo fuori il nostro ombrellino sgangherato e ci pigiamo spalla a spalla finchè una pittura rupestre indica che dobbiamo lasciare i binari per dirigerci verso il pueblo.
La strada però è fanghiglia e pozzanghere e lo scazzo di Puddy impregna l' aria. Insulta le giapponesi per come parlano o perchè hanno lo stesso poncho, insulta i fricchettoni che vanno a passare la notte al campeggio, i brasiliani che si sono portati chitarre e mini amplificatori per deturparci il sonno. Ci viene anche il dubio di essere sulla strada giusta, finchè si intravedono degli edifici e finalmente raggiungiamo il villaggio. Il nostro ostello è sempre il più difficile da trovare, ma alla fine siamo all' asciutto (non al caldo perchè come già detto in Perù anche a 5000 mt non hanno il riscaldamento) e in una bella camera confortevole. Piove fortissimo, temiamo per la nostra visita di domani al sito. Nella piazza principale uno schermo proietta il match Argentina Perù, qualche scoppiato europeo per pagarsi il viaggio improvvisa brevi sessions musicali di ristorante in ristorante, proponendo grandi classici della musica, il campetto di pallone lungo la calle dove sorge il nostro ostello è pieno di gente e maglie colorate e porte dove si svolgono all' unisono decine di partite diverse. La stanchezza si fa sentire, domani si sale a Machu.
venerdì 20 gennaio 2017
Ultimo giorno di tour, ritorno a Uyuni e uscita dalla Bolivia, arrivo a Cusco #salar giorno3 #uyuni #ramona #soroche #chile #borders #bolivia #peru #puno #bus #cusco #tupacamaru #sanblas
All' alba delle 4.15, al suono della sveglia impostata sul mio cellulare, come 6 morti viventi lasciamo le lapidi ai futuri occupanti che dopo di noi faranno l' esperienza di un soggiorno all' hostal San Marcelo, tremobondo rifugio in mezzo al nulla boliviano.
Non tutti però abbiamo la fortuna di poterlo abbandonare così facilmente. Nella notte infatti Ramona, la bionda svizzera tedesca della nostra spedizione, deve aver ceduto ai peggiori sintomi del soroche, il mal d'altura che abbiamo già descritto nelle sue peggiori forme e al nostro risveglio ha già provveduto a ritinteggiare tutto il bagno compreso il lavandino. Il tutto senza l' ausilio di corrente elettrica, nè acqua. Poveraccia, non avrebbe potuto scegliere posto peggiore per patire un castigo simile. Fortunatamente noi, avendo preventivamente fatto la conoscenza di tale disagio stiamo continuando ad assumere il nostro farmaco bicolor a intervalli regolari e ad ogni pasto sorseggiamo mate de coca con aggiunta di foglie essicate.
Riforniamo Ramona di acqua e carta igienica, la nostra jeep parte per i Geyser lasciando i nostri compagni al loro triste destino. Il cielo si sta lentamente colorando quando giungiamo a destinazione, le fumarole si alzano alte riempiendo l' aria di nebbie e suoni di ribollenti pozze di fango. Mentre il Toyota scende ad altitudini più accettabili, il sole fa la sua comparsa in un cielo completamente sgombro e ancora una volta espressioni beate si dipingono sui nostri volti.
Ci fermiamo alle sorgenti di acqua calda circondati da montagne e paludi popolate da fenicotteri e anatre, i nostri soci si immergono mentre noi preferiamo perlustrare la zona in attesa della colazione. Pancake con dulce de leche e mantequilla sono quello che ci vuole per raggiungere la frontiera col Cile, dove i nostri compagni ci salutano e ci lasciano ad un tour privato in compagnia solo di Abraham che ci guida tra deserti di montagne multicolore, ci fermiamo in un piccolo villaggio per il pranzo dove i lama pascolano su zolle di prato verdissime, solcate da piccoli ruscelli di acqua limpida, tanto belle da sembrare artificiali, a completare il tutto, una montagna rossa fa da sfondo e alcuni ragazzi accompagnano il momento pizzicando una chitarra.
Ci arrivano notizie confortanti della ripresa repentina di Ramona dopo aver assunto il farmaco portentoso quindi cerchiamo di incrociare l' altra auto alla Valle delle Rocce, ma a parte rimanere a bocca a parte e tentare di scalare tutte le formazioni rocciose che troviamo, dei nostri soci non c'è traccia. Dopo una sosta gelato in un piccolo villaggio di minatori, proseguiamo il tragitto di rientro.
Ad Uyuni ci rifocilliamo in vista dell' imminente traversata notturna per rientrare a La Paz dove senza posa prenderemo un micros per Desaguadero, riattraverseremo la frontiera, passando in mezzo ad un' altra coda, stavolta resa più vivibile dalla convivialità delle chiacchiere con un' anziana coppia di Peruani, ci ritroveremo altri timbri sui passaporti e un ultimo micros ci ricondurrà a Puno per una sosta tattica di descanso e lavanderia.
E' l'ultimo giorno di scuola per i bambini della città che dopo aver preso parte ad una parata sportiva per pubblicizzare i corsi estivi in cui saranno coinvolti durante il verano, festeggiano facendosi innaffiare dai getti irregolari delle fontane, noi assistiamo divertiti mangiando papas rellenas al prezzo di 1 Nuevo Sol. Finalmente i nostri zaini sono nuovamente carichi di indumenti puliti per affrontare l' ultima tappa del nostro itinerante viaggio, domattina alle 5 ci sveglieremo a Cusco, tra le urla ipnotiche dei venditori delle compagnie di trasporto e le offerte di tour a Machu Picchu e al Valle Sagrado.
Il nostro Hostal si trova alle porte del quartiere Santiago e quando arriviamo alle 6, sta giusto aprendo, ci accoglie la Duena con le chiavi della nostra stanza che è gia pronta per regalarci una doccia bollente e un comodo letto per i prossimi due giorni. Cusco è bellissima e piena di meraviglie sotto forma di pietra. Il sole è caldo e anche qui ci ritroviamo a gironzolare in maglietta e crema solare al cospetto di imponenti cattedrali e antiche mura. Cusco è la Roma dei Peruani e mi sbilancio dicendo in anticipo che Machu Picchu è il suo Colosseo se bisogna trovare un termine di paragone per rendere l' idea. Bisogna? L' immensa Plaza des Armas ha come sempre bei palazzi e portici a delimitarne il quadrilatero e una fontana centrale su cui capeggia la statua di Tupac Amaru II, guerriero inca della resistenza contro gli spagnoli di Pizarro.
Dietro si estende il quartiere di San Blas, con i suoi saliscendi, le sue botteghe di artesanias, i suoi ristorantini, i muri di pietra perfettamente incastonate tra loro fanno da cornice a questa meravigliosa città di montagna. Dall' alto del Cristo Blanco e della Iglesia de San Cristobal si può ammirare la piazza e tutta la città che la notte accende i pendii di luci gialle e bianche. Finalmente possiamo dire di aver sospeso il Sorochipills e ci siamo ambientati con l' attuale altitudine sui 3300 mt.
Andiamo alla ricerca di ristorantini fantasma nascosti dietro piccole porte quasi impercettibili, dove si cucinano piatti mitologici come il Kcapchi de Zetas, una zuppa di piccoli funghi champignones che si trovano solo in questa stagione, serviti da un' anziana signora sorridente in un' ambiente casalingo e senza fronzoli. Per la sera, entrambe per la verità, ci piace camminare per la Calle Maruri fino alla esquina dove si trova la piccola pizzeria Carlo, un posticino intimo, solo 4 tavolini in legno e panche dove assaggiare la pizza migliore di Cusco, accompagnata da una Cusquena Dorada che va giù come acqua.
martedì 17 gennaio 2017
Bolivia tour giorno 2: quante facce hanno i deserti, animali autoctoni, lagune e precipitazioni improvvise #bolivia #lagunas #lagunacolorada #kanapa #lagunahedionda #biscacha #boliviarail #volcanos #flamengos #morenada #
Alle 6 siamo già in piedi, con gli zaini fatti, pronti per la colazione nel nostro ricovero di sale. Mate de coca perchè oggi saliremo abbastanza, un buon frullato di banana per attentare ai nostri intestini, nel caso in cui l' altitudine non facesse abbastanza, una frittella da cospargere con mantequilla e dulce de leche, huevos revueltos per concludere.
Saliamo in vettura che il sole è già spuntato, ci dirigiamo verso una collina piena zeppa di cactus e come loro puntiamo lo sguardo lontano verso il salar, che inizia a splendere di luce. Attraversiamo qualche piccolo pueblito, tra lama al pascolo, cani polverosi che trottano in mezzo alla strada e panoramiche strade terrose. Ci muoviamo nella solitudine del nostro tragitto, senza incontrare anima viva, cercando di fotografare con gli occhi ogni roccia, ogni cespuglio, ogni colorata collina e montagna innevata che fa da sfondo al percorso.
Attraversiamo le rotaie dritte che un tempo portavano i minerali dritti al Cile, prima che le miniere si esaurissero e ci troviamo al cospetto di uno dei tanti vulcani semi attivi che circondano l' area che perlustriamo in questi giorni. Attraversiamo deserti diversi ciascuno con una sua particolarità: formazioni rocciose erose dalle intemperie, pietre ricoperte di velluto erboso e piccoli fiorellini bianchi, distese di piccoli cespugli spinosi simmetricamente disposti alla stessa distanza uno dall' altro sulla terra rossiccia e ferrosa. Le Toyota si arrampicano sulle pietre bianche ondeggiando e diffondendo le note delle morenadas, canzoni rappresentative della cultura boliviana dei tempi in cui la Corona spagnola adoperava schiavi neri per le miniere d' argento della città di Potosì, trasferendoli poi stremati alle coltivazioni delle foglie di coca.
C'è sempre una voce narrante che incita alle danze e ride grottescamente, strumenti a fiato e percussioni incalzanti, ritmiche che invogliano al movimento. Abraham, il nostro conductor e quello dell' altra macchina fermano i 4x4 in uno spiazzo di terra protetto da rocce rosse di fronte ad una grande montagna circondata da nuvole bianche, montano le tavole e ci prepariamo al rancho, poi mentre mangiamo si avvicina una biscacha, una lepre selvatica dalla lunga coda a ricciolo con gli occhi socchiusi, e le lunghe ciglia nere. Si avvicina scendendo a balzi dalle roccie, fermandosi poco sopra di noi, ci osserva, viene a prendere dalle nostre mani offerte di broccoli, per poi consumarli tenendoli stretti tra le zampette anteriori.
Riassicurate tavole, sedute e ceste dei viveri con le corde al tetto, partiamo alla volta delle lagune colorate: Kanapa, dove facciamo il primo incontro con i fenicotteri andini, che incessantemente tuffano il becco ricurvo nelle acque limacciose per rimpinzarsi di organismi tossici, plancton, che danno la colorazione rosata alle loro piume. In questa laguna coabitano tre differenti specie delle 6 esistenti al mondo: quello andino, con gambe e zampe interamente gialle, il piumaggio rosa pallido ad eccezione di collo, busto e interno ali rosa intenso e il becco giallo e nero, quello cileno con strisce rosso brillante sul dorso, zampe e articolazioni rosse, becco a banana color nero e bianco e quello di James, il più piccolo dei tre, con la parte finale delle ali nere, il becco giallo e nero e le gambe completamente rosse.
Scattiamo un' infinità di foto, finalmente in presenza di questi mitici uccelli che per ben due volte ci sono sfuggiti, in Messico lo scorso anno e in Perù a Paracas qualche settimana fa. Ci spostiamo alle lagune Hedionda, ovvero lago fetido a 4100 metri, dove montagne innevate fanno da sfondo al banchetto dei flamingos e Ch'iar Quta, in lingua Aymara lago nero. Il maltempo inizia ad avvicinarsi oscurando il cielo sopra la laguna colorada, nel giro di pochi minuti passiamo dalla canotta al piumino, berretto e guanti.
Saliamo ancora di altitudine per avvicinarci al nostro ricovero per la notte, quando lungo la strada ci sorprende una grandinata pazzesca. Protetti dall' interno del Toyota, mentre Abraham mantiene il controllo del mezzo sotto l' assedio delle sfere di ghiaccio, noi osserviamo increduli e ammirati lo strano fenomeno che in pochi secondi ammanta di bianco tutta la terra rossa circostante. Scendiamo eccitati dalla jeep, chi in infradito, chi imbacuccato alla siberiana, per gironzolare tra la coltre di proiettili ghiacciati che scricchiolano al nostro passare, Mizie e Grant (giappo-americani) giocano a tirarsi la grandine, Paloma e Nik (svizzeri-tedeschi) saltellano facendosi le foto, Danilo Lopez guarda attonito qualcosa che forse in Brasile non ha mai visto, non ci siamo proprio fatti mancare niente. L' aria è gelida e pungente.
Il nostro ostello per la notte è un tugurio di pietra, con camerate da 6 dove i materassi sono poggiati sopra lapidi di pietra. C'è un solo gabinetto per tutte le stanze che sono circa una decina, senza carta, sporco e poco invitante. La luce c'è solo nella sala dove ci riuniamo a mangiare, per vedere qualcosa in camera bisogna avere una torcia, di cui siamo tutti forniti per fortuna. La cena viene servita alla penombra della luce fioca di un' unica lampadina, per fortuna non si può dire che faccia freddo perchè il riscaldamento non esiste, ma comunque non è una novità visto che non lo abbiamo trovato ne ad Arequipa, ne al Canyon del Colca dove si congelava, nè a Puno e con grande probabilità non lo troveremo nemmeno a Cusco. Ci beviamo una birra dopocena con gli svizzeri chiacchierando amabilmente in un misto di inglese ispanico, poi a nanna, la sveglia è alle 4:15, e a parte la levataccia, tutti noi desideriamo stare il meno possibile in questo posto.
lunedì 16 gennaio 2017
La Bolivia vista dagli occhi occidentali, il Salar de Uyuni, grande meraviglia della natura #lapaz #bolivia #capitalcity #teleferico #uyuni #salar #salardeuyuni #desert #saltdesert #saltflat
La Paz..che dire, un ingorgo disordinato di automobili e persone, le persone inventano modi per guagagnare qualche boliviano, con bancarelle, carretti, a volte neanche quello. Commerciano pane in mezzo agli incroci che sanno di gasolina, lustrano scarpe con il viso coperto dai passamontagna per non farsi riconoscere da amici e familiari, per evitare la discriminazione in una società fin troppo povera e ignorante.
Le automobili, i taxi, le carrette, i micros con la scritta Dodge e le bardature colorate, girano e caricano, scaricano, senza sosta, inghiottono, schiacchiano e rigurgitano persone ad ogni ora del giorno e della notte, con il clacson sempre caldo di strimpellante premura.
La Paz, con le case di mattoni rossi mai finite, che sorgono dall' immondizia, pattugliate da ronde di cani randagi alla ricerca di sacchetti da profanare con i musi pulciosi e spelacchiati. La Paz delle Cholitas con le gonne a balze, le bombette e gli scialli, sempre cariche di fagotti colorati sulla schiena, trasportano viveri o bambini, le vedi sedute sui gradini, sui marciapiedi, su panchetti che scompaiono sotto i loro immensi culi a vendere gorditas, bebidas o agende.
Le gambe grosse nelle spesse calze di alpaca, si incastrano in scarpette troppo strette e impolverate. La Bolivia è il loro regno e loro ne sono regine, vendono, comprano, trasportano, figliano, allattano e crescono. Nelle campagne arano, coltivano, mietono e camminano giorni eterni dietro ai lama e agli alpaca, sempre sole, instancabili. La Paz avrebbe bisogno di cure, di sanificazione, di un miracolo, invece ha un piano e due immense teleferiche da 150 milioni di dollari, che dal basso della valle in cui soffoca se stessa, la trascinano a El alto in colorate cabine rosse e gialle. La Svizzera gliele ha fornite. La faccia del presidente Evo Morales sorride sulle porte automatiche, mentre La Paz scorre sotto di noi, fatiscente e incompleta, dalla base fino alla cima, finestre senza vetri, tetti senza copertura, stracci appesi,bambini abbandonati al sonno nei cortili incolti, cani sdraiati sui tetti, guardiamo agghiacciati protetti dal guscio del nostro ovetto elettrico.
Nella notte ci allontaniamo a bordo di un bus cama che ci porta a sud, ad Uyuni, porta d'ingresso dell' immenso omonimo Salar, 10.500 km quadrati di deserto di sale che in questa stagione delle piogge diventa uno specchio lucido e riflettente, e tutto ciò che è sopra diventa sotto, in un magico effetto di infinita, imperturbabile grandiosa vastità.
Siamo una spedizione variegata formata da 3 coppie di svizzeri tedeschi, un brasiliano, un americano del Wisconsin bianco e biondo che si accompagna ad una giapponese trasferita a New York, noi, gli autisti e una guida, i nostri Land Cruiser, con le taniche e i viveri sui tetti partono alla volta di quella che sarà la più incredibile avventura di questo viaggio.
Facciamo conoscenza con i nostri compagni di sedile con cui condivideremo la magia di questi 3 giorni, colazioni, pranzi e cene, nonchè camerate al limite del minimalismo alberghiero. Appena ci addentriamo nel deserto di sale sprofondiamo in un silenzio reverenziale, muti e sopraffatti, il lieve scroscio dell'acqua sotto le gomme, una quiete ipnotica delicatamente violata dalla voce sinuosa di Lana del Rey..will you still love me when i'm no longer young and beautiful? I know you will, I know you will, I know that you will..nessuno lo dice ma io credo che tutti stiamo pensando che non poteva esserci atmosfera migliore per accompagnare questo momento.

Dopo una doccia bollente siamo pronti per lasciarci andare ai sogni tra le nostre pareti di sale, realizzando finalmente che qui siamo arrivati, dopo averlo ammirato in fotografie scattate da altri, averlo sognato guardando filmati irreali, e aver pensato che mai avremmo saputo come raggiungerlo, come viverlo coi nostri occhi, mentre il sale ci incrostava gli scarponi e ci lasciava scie bianche secche e rigide da intirizzire gli orli dei pantaloni.
Un altro sogno è diventato realtà, ancora una volta abbiamo insistito per riempirci gli occhi di bellezza straordinaria, anche quest'anno facciamo preoccupare e stupire le nostre famiglie che aspettano nostre notizie tra facebook e skype per augurarci ancora buon appetito mentre loro vanno a dormire, vivendo attraverso di noi lo spettacolo impensabile che il mondo riesce ancora a regalare a chi vuole mettersi in viaggio per andarlo a scoprire. La vita è breve, ci se ne accorge pensando al poco tempo che abbiamo da dedicare alla scoperta, a quanto poco abbiamo visto finora e quanto ancora il mondo aspetta di mostrarci, solo per questo vale la pena mettersi in moto e non negarci lo splendore della natura.
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