domenica 25 novembre 2018

Saigon e gli orrori della guerra



23-24/11/2018
Mi preparo con calma e alle 11:45 uno shuttle bus mi porta alla stazione, da cui parte il mio sleeping bus per Saigon. Viaggiare sdraiati è molto comodo e ti permette di appisolarti di tanto in tanto, quando i panorami non sono interessanti. Entro le prime due ore arriviamo a Bao Loc, dove ci fermiamo per mangiare qualcosa. Poi sono altre 5 ore, di cui l’ultima nel traffico della periferia per raggiungere il centro città. Prima di vedere da lontano le luci della grande Saigon, passiamo in mezzo a svariati villaggi, tra cui uno particolarmente devoto a cristi e madonne, che espongono statuette di circa un metro di altezza, sulle balaustre delle case a due piani. Tutti rigorosamente fronte strada, con le braccia aperte e le aureole in testa.


La quantità di chiese pro capite è imbarazzante. Ogni isolato ne ha una, e queste, sono solo quelle che posso registrare io, passando lungo la strada principale! Finalmente arriviamo a destinazione e si capisce subito che Saigon è il gran “bordello” del Vietnam: luci festose, grandi locali, musica spacca timpani, insegne di birra che attirano i giovani scapestrati in cerca di sbronze e di qualcuno che gli sfili il portafogli. Per fortuna il mio ostello è a 100 metri dalla fermata del bus e si trova in una stradina interna, silenziosa ed estranea al delirio.
Esco giusto per un paio di Tacos a fianco al mio ostello e mi rifugio in camera, anche perché la strada pedonale, con tanto di luminaria che lo attesta, è in realtà trafficata come le altre, perciò non è di mio interesse.


La mattina dopo mi alzo e noto che il cielo sta dando le prime avvisaglie di pioggia, anche se in realtà  sono spruzzi sporadici che durano pochi minuti e rendono le temperature più umane. Parto alla ricerca di una lavanderia, ho un alterco con un gayssimo lavandaio, che non vuole farmi il bucato perché non è felice, del fatto che mi rifiuti di considerare che 2kg è 100 gr. rientrino nella cifra dei 3 kg e non dei 2. Con la complicità di una sgamata donna vietnamita, che ripudia l’atteggiamento approfittatorio nei confronti degli stranieri, cerchiamo di fregarlo, facendo consegnare a lei i miei panni sporchi, ma quello riconosce la borsa e per tutta risposta, schecca di brutto e ci tira la borsa dietro! Trovo un’altra lavandaia più simpatica a cui lasciare la mia roba, così posso andarmene a spasso col naso in su a vedere cosa ha da offrire Saigon. L’itinerario classico prevede la Chiesa di Notre Dame, il vicino ufficio postale, che è più che altro un ricettacolo di souvenir, il palazzo della riunificazione e il teatro dell’ opera, tutte strutture di stampo occidentale, lascito dell’architettura francese di epoca coloniale.



Se Hanoi domina il Nord del paese, Saigon è il puro sud, una antica , e l’altra relativamente moderna. Mentre Hanoi è tradizionalmente conservatrice, Saigon è molto più disposta ad abbracciare nuove tendenze e costumi. E forse questo suo dinamismo, giovinezza  e sguardo rivolto alle novità, la rendono il luogo perfetto per cene luculliane, shopping e divertimento, ma possiede molto meno interesse storico e culturale rispetto alla vecchia Hanoi.
Alle 15 arrivo al museo dei residuati bellici, che è poi il motivo per cui sono a Saigon.


Seguo la visita procedendo per ordine, quindi salgo al secondo piano dove c’è la stanza 1, dove vengono narrati i fatti: le cause del conflitto per liberare il paese dall’oppressione francese, l’intervento americano in aiuto a quest’ultima, la macchinazione degli Stati Uniti per dividere il paese, instaurando un governo fantoccio per combattere il comunismo, il falso attacco che il Presidente Johnson utilizzó come casus belli per dare il via alla guerra, conosciuto con il nome di “incidente del Golfo del Tonchino” in cui gli americani dichiararono di essere stati attaccati da 3 torpediniere nordvietnamite, mentre erano in ricognizione segreta e di aver risposto al fuoco.


In aiuto intervennero 4 crusader che a colpi di razzi ne annientarono una. Due giorni dopo dissero di aver captato l’intenzione delle rimanenti flotte nemiche di passare al contrattacco e le silurarono, quando le successive ricerche ufficiali, stabilirono con assoluta certezza, che neanche il secondo attacco nordvietnamita si era mai verificato.


La stanza numero due si chiama Requiem e contiene interessanti prove fotografiche dell’orrore della guerra, immortalate dalle attrezzature di fotografi vietnamiti, francesi e americani che non hanno più fatto ritorno a casa, come Robert Capa e Dana Stone. Le stanze si susseguono, le immagini sono forti e lo stomaco è stretto in una morsa. Ci sono gli ingrandimenti di grandi giornali, come life, che riportano foto a colori  e articoli su quello che succedeva in Vietnam, una guerra troppo vicina per non fare paura.


Un’intera sezione è dedicata alle conseguenze dell’ utilizzo del defoliante Agente Orange, con cui gli americani hanno irrorato per anni il paese, conseguenze che non si sono solo accanite sull’ambiente, ma sulle persone e sulle future generazioni, con malformazioni fisiche e mentali di ogni tipo. Le foto sono dolorose e inquietanti. Anche quelle che mostrano una natura arida e secca, rasa al suolo, uno scenario post apocalittico che per fortuna si è ripreso.


Ma le date delle nascite di bambini deformi sono ancora troppi attuali. La stanza dedicata ai crimini di guerra è aberrante, un sunto difficile da guardare sulle crudeltà immortalate a vita sulle pellicole dei fotografi, in cui la bassezza dell’essere umano non ha vergogna a mostrarsi sorridente davanti ai suoi trofei. Alcune immagini riportano i commenti dei reporter che le hanno scattate, aggiungendo, se possibile ancora più orrore a quel che non c’è bisogno di immaginare.


Le sale sono immerse nel silenzio, l’orrore riesce a zittire chiunque, come silenziosi devono essere rimasti a lungo i villaggi prescelti per l’operazione Search and Destroy, per la quale non è necessaria la traduzione nè l’approfondimento.
Me ne vado dopo tre ore, quando i carri armati all’esterno non fanno che provocarmi fastidio e timore, tanto quanto gli enormi velivoli posizionati nel piazzale antistante il Museo. L’unica punta di leggerezza me la regala un gatto, che si toeletta sui cingoli di un tank americano, il resto sono memorie nate oggi è che mai più mi lasceranno, anche se mi auguro di cuore di non viverle mai in prima persona.






sabato 24 novembre 2018

Run to the hills: fuga dalla tempesta verso Da Lat



21-22/11/2018
Mi alzo con l’intento di fare l’ultimo giro in moto per raggiungere il Tempio di Lon Song, per vedere il grande Buddha bianco seduto sulla collina, ma l’accesso è chiuso e quindi non mi resta che restituire il mio bolide a Jimmy della Easy Riders. Preparo lo zaino e con Queenie di Hong Kong, raggiungiamo l’agenzia dove verrà a recuperarci il bus per Da Lat.


È quasi al completo e quindi mi tocca un posto sfigato che balzella per tutta la durata del viaggio. I bus vietnamiti sopperiscono alla scomodità con sospensioni superprestanti. Lasciamo la città per inerpicarci su stradine tutte a curve, tra una folgorante vegetazione, mentre il sole splende e non sembra possibile che nel giro di qualche giorno possa abbattersi un’altra tempesta tropicale a disturbare questa quiete.
Attraversiamo villaggi con case col tetto di lamiera, che non danno l’idea di poter affrontare agenti atmosferici impetuosi. Per un breve tratto di strada, la nebbia ci attraversa e scrutiamo lontano in cerca di un temporale, ma il sole si fa largo di nuovo e le cascate sotto di noi scendono in un velo, dopo un salto vertiginoso. Tutto intorno, sotto la vegetazione, la terra è rossa e fertile, iniziano a comparire i primi vitigni, ma soprattutto immense piantagioni di fragole. Le donne col cestino sulle spalle lasciano i campi per fare ritorno a casa. Il traffico impazzito dei motorini ci incanala in un flusso caotico tra il suono incessante dei clacson. Da Lat ci accoglie con un grande lago e due strutture a forma di fiore, ricca di giardini, ortensie e case pazze.



Mentre camminiamo verso l’ostello, io e Queenie scopriamo di aver già condiviso una stanza a Da Nang, oltre a quella delle scorse notti a Nha Trang, e con questa faranno tre. Il campanile a punta di una chiesa lasciata dai francesi, da al paesaggio la consona connotazione montana. Binh, il nostro giovane host, ci accompagna per le strade del villaggio alla scoperta del cibo locale, con cui è cresciuto e che adora. La prima tappa è su un marciapiede, occupato da un calderone di tizzoni ardenti su cui la Lady Pizza arrostisce un disco di pasta di riso circolare, condendolo con uovo, spezie, cipollotto, formaggino “la vache que rie”, unico prodotto caseario contemplato nel paese, salsa di pomodoro e striscioline di carne di maiale.


Lo avvolge su se stesso con maestria ed è pronto da gustare in tutta la sua incredibile squisitezza. La seconda tappa prevede il Curry d’anatra, una zuppa di verdure lievemente piccante in cui intingere abbondante Banh mì, la baguettina anch’essa lascito dei francesi, che rende il Vietnam unico paese asiatico in cui si può accompagnare il pasto col pane, anziché l’onnipresente e stucchevole riso.


A questo punto Queenie esprime il desiderio di assaggiare un dolce e io già tremo, quando nel locale preposto alla consumazione del dessert, non è presente nè cioccolato e tantomeno la panna.
A Lei capita una tazza che ha tutta l’aria di essere fango, mentre a me tocca una pappetta di riso dolce con semi di loto. La fidanzata di Binh opta per una tazza in cui galleggiano uova di quaglia bollite nel thè.


Spero che la mia amica non abbia desiderio di altro, quindi facciamo una passeggiata al night market che peró si rivela scialbo, rispetto a quelli taiwanesi e thailandesi.
Torniamo in camera a studiare per il giorno seguente. Io farò un bel giro intorno al lago, tra la calura spossante e poi mi perderò per 2 lunghe e interessantissime ore, tra le scale e i cunicoli della Hang Nga Crazy House di Madame Dang Viet Nga, figlia del defunto segretario generale del partito comunista del Vietnam, Truong Cinh.





L’idea della eclettica architetta era quella di costruire un ambiente che si sposasse e diventasse un tutt’uno con la natura circostante, per riavvicinarsi alla madre terra e avere l’illusione di vivere dentro una grande foresta a misura umana, senza che essa ne prendesse il sopravvento nè che la deturpasse, ma che fosse un invito per la comunità alla comunionione tra i due elementi.


Ovviamente fu considerata folle e molto criticata, osteggiata in tutti modi nella realizzazione del progetto, che finanzió con le proprie forze e grazie alle sovvenzioni di parenti e amici. Il suo lavoro alla fine fu approvato e la casa è in continua espansione, entrando a pieno titolo tra le dieci strutture più bizzarre al mondo. Impossibile non trovare analogie tra la sua invenzione e le opere di Gaudì e il genio visionario espresso nelle opere di Salvador Dalì.


Come ogni attrazione in Vietnam, anche la Crazy House è presa d’assalto da masse disordinate di cinesi chiassosi che si urlano da un tetto all’altro e si incastrano lungo le strette passerelle, e da matrone russe che letteralmente rimangono incastrate nei passaggi angusti facendo presagire imminenti crolli delle strutture costrette a sopportare i loro pachidermici culi.


All’uscita compro due cestini di fragole da due donne vietnamite, così per la prossima colazione io e Queenie ci saluteremo con un nutrientissimo frullato. Le proseguirà impavida sulla costa, mentre io raggiungerò Saigon, attualmente Ho Chi Minh City, per quella che sarà l’ultima tappa del mio soggiorno Vietnamita.




giovedì 22 novembre 2018

Nha Trang, devastazione e Russi



19-20-21/11/2018
Il Vietnam del sud è scosso da una tempesta tropicale.
Alcuni villaggi vicino a Nha Trang sono stati colpiti duramente da acqua, venti, frane e collassi e piu di 10 persone hanno perso la vita.
Lo scopro qui a Nha Trang, che ho raggiunto ignara di tutto, dopo aver trascorso 4 notti a Quy Nhon senza poter godere di molto, a causa delle continue pioggie. Il fatto è che, nonostante l’intensità delle precipitazioni, non ci sono stati problemi li e ne ho approfittato per riposarmi e rimettermi in sesto con l’aiuto di un avvincente romanzo di oltre 400 pagine.


Poi peró mi sono stufata e sono andata a prendere il treno. Sulla linea abbiamo collezionato il solito ritardo di circa 1 ora e mezza, ma i panorami che ho potuto veder sfilare dal finestrino, finchè c’è stata luce, erano veramente meritevoli dei sorrisi che mi hanno indotto.
Se non bastasse, a rendere unico il viaggio, ci ha pensato un terremoto di bambina che per 4 ore non è mai stata ferma, bellissima e buffissima, faceva di tutto per attirare la mia attenzione e farsi guardare.


E per l’ultima ora ho avuto come compagna di sedile una anziana signora che anche se non parlava la mia lingua, mi ha fatto capire che ero strana perchè ho il naso lungo. Effettivamente guardando gli altri passeggeri del vagone ho notato che avevano tutti dei nasi molto piccoli.
Appena scesa a Nha Trang si è scaricato un 10 minuti di acquazzone, cosi ho preso un taxi fino all’ostello. Il dormitorio al primo piano era pieno, cosi ho passato la notte da sola in quello del secondo piano. Ed è stato proprio Hai Son, il proprietario, a raccontarmi dei tremendi giorni precedenti il mio arrivo.


Questa mattina invece splendeva il sole, cosi ne ho approfittato per noleggiare una moto con l’intento di spingermi a Nord alle belle spiagge di Cam Rah, ma lungo la strada ho trovato un disastro. Inizialmente solo tanta polvere e sabbia che mi si infilava negli occhi, nonostante gli occhiali da sole, anche questi pazzi furiosi non rallentano neanche con l’acqua e il fango per terra, che infatti ho incontrato poco dopo.


L’intera carreggiata era ricoperta di fango e radici, ho dovuto fermare ls moto per disincastrare una liana dalla pedalina. Più andavo avanti e piu peggiorava la siruazione. Camion enormi in continuo andare e venire, carichi di detriti tolti dalla strada. Finchè la carreggiata é diventata unica per i due sensi, perche quella a lato monte era completamente invasa da enormi roccie e da interi alberi. Ovviamente c’è stato di che imprecare, perchè nessuno, per nessun motivo arresta la sua folle corsa, anche se non ci si passa. Mi hanno fatto davvero incazzare oggi.


Quando procedi lentamente perchè ci sono pochi centimetri di strada sgombra e il resto è fango scivoloso, o un fiume d’acqua, o pietre sulla careggiata, tu strinzo che procedi in senso contrario, ti vorrai fermare per evitare che mi ammazzi? Quanti Cristi e Madonne e quante maledizioni! In un’ora abbondante, sotto il sole cocente arrivo in vista del mare, ma è uno scempio, spazzatura ovunque e detriti portati dal mare. Non è proprio giornata da spiaggia. Meglio tornare indietro. La situazione dei resort sul mare è tragica. Finalmente, sporca di polvere e sabbia riesco a tornare in città e mi fermo lungo la spiaggia cittadina.


Qui hanno gia pulito ma il mare è nero ed inavvicinabile. Resto a respirare un po di brezza all’ombra di un albero. Poi decido di andare a visitare Po Nagar, il tempio Cham con le sue torri rosse, di mattoni sovrapposti senza collanti.
Anche a Quy Nhon, prima si andare al treno, ne ho visitato uno, ma molto piccolo, con solo due torri. I Cham erano di religione Indù, si dice di origini Maleyo-Pilinesiane, che arrivarono in queste zone dal Borneo. Abitarono le zone centrali del paese e le testimonianze del loro impero sono sparse tra Laos, Vietnam e Cambogia. È anche vero che non ebbero granchè fortuna con i vicini, trovandosi a fronteggiare attacchi cinesi, giavanesi, Khmer e Dai Co Viet.


Questo perchè il potente regno Champa fioriva grazie ai commerci di sete, spezie, avorio e aloe, tra Cina, India, Indonesia e Medio Oriente. Quando arrivo al tempio capisco subito che sarà dura avere foto senza intrusi, ma mi sento di accettare la sfida anche stavolta e studiando qualche escamotage, riusciró nell’impresa. Per tornare in ostello percorro il ponte panoramico sulle acque del fiume Cai, tra un traffico allucinante, in cui devo ritagliarmi un angolino e finire inglobata nella corrente che mi trascina fino al centro di Nha Trang.


Nha Trang la Russa. Non si capisce perchè, ma è stata eletta succursale ufficiale di Mosca e quindi lungo le sue strade è una sfilata di donnoni massicci, bianchicci e biondicci. Gli uomini ricoprono il clichè del truzzone, spesso e decerebrato, con la testa quadrata e la mascella serrata, oppure del lungagnone losco, con l’occhio scaltro e la sigaretta sempre in bocca. Quel che è certo è che di figone bionde, alte due metri e col fisico statuario, qua, non ce ne sono.
Mi informo sulla situazione metereologica e Hai Son mi consiglia di allontanarmi dalla costa, visto che la nuova ondata di maltempo tornerà a picchiare su Nha Trang ( e sui Russi ) da Venerdi (23/11). Quindi è deciso..niente mare per me, mi rifugio nelle verdi valli di Da Lat, tra fragole, ortensie e cascate.


Quy Nhon: pioggia, pioggia, pioggia e funerali



18/11/2018
Uff..piove a Quy Nhon, cittadina in costante espansione, ancora fuori dalle mete turistiche del paese, anche se non per molto, visto le grandi costruzioni che popolano la strada del lungomare. Particolare, curata, non ancora terribilmente caotica e per questo estremamente apprezzata!
Non resta che rimanere a letto, riposarsi dalle fatiche dei giorni precedenti, dormire un po di piu, cullati dal rumore della pioggia che sembra non volersi fermare. Nei mometi di quiete si esce a cercare qualcosa da mangiare, perchè quello che davvero scarseggia qui sono i ristoranti. Caffe quanti ne vuoi..sembra che vivano di caffè! Book cafè, Cafè Bazan, Nguyen Cafè..i vietnamiti amano berne a litri, possibilmente freddo, con ghiaccio e aromatizzato.


Dopo due giorni di letto, mi avventuro in strada dove scopro con piacere che il traffico, con queste condizioni si è sensibilmente ridotto. I clacson sono meno molesti e la strada si puó attraversare più agevolmente, senza rischiare di morire ad ogni attraversamento. Il tempio Champa di Thap Doi dista meno di un paio di chilometri dall’ostello, quindi, dopo un massaggio rigenerante nella spa piu quotata, sono pronta per intraprendere il cammino. Già che sono di strada compro il biglietto del treno per Nha Trang e poco dopo mi imbatto in quello che ha tutta l’aria di essere la celebrazione di un funerale. Lo capisco dai carri addobbati con tendine viola e dorate, non certo per l’atteggiamento dei partecipanti, che si stanno esibendo in una strana danza, accompagnati da una banda di ottoni e percussioni. Tre carri attendono bardati a festa, mentre uno strano figuro, con maschera dipinta a mano, si esibisce sulla strada, agitando una bandiera e un ventaglio.


Alcuni partecipanti mi invitano ad entrare in questo negozio spoglio in cui è stato allestito un palchetto commemorativo del defunto, e una specie di sacerdote pratica ampi movimenti con le braccia davanti alla foto del caro estinto. Un uomo con sembianze e trucco scimmiesco mi mostra la sua danza.


Dopodichè mi accomiato e proseguo verso il tempio. È uscito il sole e fa un caldo bestiale, mentre salgo e scendo dal marciapiedi per evitare i motorini, i banchetti, le vecchie che vendono frutta o che cuociono carne, vengo sorpassata dai tre carri funebri di prima, uno con dentro la banda, che continua a suonare, uno con l’altarino, l’ultimo con i partecipanti alla celebrazione seduti su panche inserite all’interno del carro coperto. Sulla sponda, con lo sguardo mesto, sta seduto un ragazzo con le gambe a penzoloni, che fa scivolare sulla strada dei foglietti stampati.


 Si allontanano prima che possa estrarre la macchina fotografica. Arrivo al tempio, che consiste in due torri di mattoni rossi accatastati senza bisogno di leganti, queste strutture, anche dette Twin Tower sono un’importante testimonianza della cultura Champa che, in questa parte di paese è visibile in almeno quattro differenti templi ed altrettante città dal VII al XV secolo. Le Torri sono antichi luoghi di culto e nella parte superiore sono ricche di rilievi e sculture che rappresentano animali, uccelli soprattutto, ma anche divinità. I Cham erano di religione induista, dediti al culto di Shiva, anche se per un periodo lungo circa 50 anni, dal 875 al 925 il Re in carica decise di adottare come nuova religione ufficiale, il Buddismo Mahayana.


 Nel periodo successivo al X secolo, inizió il declino della dinastia Champa, attaccata su piu fronti e depredata dei suoi tesori, venne privata del suo Re che fu giustiziato e la Regina Mi E, rapita dai vietnamiti, per conservare l’onore si gettó nelle acque, lungo il tragitto che l’avrebbe portata in terra nemica.
Torno in ostello a prendere la mia roba, saluto Lue chi ha accudito in questi giorni e parto verso la stazione per raggiungere in serata la città di Nha Trang, ultima località di mare prima delle montagne e della caotica Saigon.


mercoledì 21 novembre 2018

Quy Nhon.. si tratta di fortuna o sfortuna. Ovvero: quando la stupidità non ha limiti.



15-16/11/2018
Quando il tremebondo viaggio finisce, mi tiro su, fredda come una salma dai sedili posteriori per recuperare il mio zaino e scendo stordita come una civetta a mezzogiorno. Da qualche parte ho letto che la compagnia con cui ho viaggiato ha una navetta gratuita che, dalla stazione degli autobus porta ai vari hotel, perciò, senza sapere se ne ho diritto o meno, perché qui è tutto alla spera in Dio, perche non so se ho veramente viaggiato con la suddetta compagnia, perché non so dove mi trovo, mostro l’indirizzo del mio ostello all’autista e salgo. La mia faccia è una smorfia dettata dall’insonnia che si affaccia su una probabile influenza da aria condizionata. Vengo depositata a destinazione e nessuno mi chiede soldi!
Faccio il check in e mi butto subito a letto, troppo distrutta anche per pensare solo di mangiare.
La mattina dopo sono un fiore, riposata, fresca e piena di iniziativa! Col senno di poi..averne avuto un
po meno non avrebbe guastato!


Ma procediamo con ordine: noleggio uno scooter con le marce, imposto il navigatore e mi appresto a raggiungere Ky Co, la spiaggia più bella. La strada per arrivarci è lunga e poco battuta, addirittura poi, ai lati diventa desertica, con dune di fine sabbia dorata e un’oasi di acqua scura, mi avvicino ad alcuni villaggi e scorgo su una collina una statua dorata, vado a perlustrare la zona che è ancora in fase di completamento.


Il Buddha ha un diritto e un rovescio, la parte che sto guardando io lo mostra in piedi con una pergamena appoggiata sulla mano destra e le dita della sinistra in Mudra (posizione della mano) Karana, ovvero con l’indice e il mignolo verso l’alto e le altre dita chiuse verso il palmo della mano. Questo gesto scongiura il male e allontana le energie negative, e probabilmente devo ringraziare lui oggi, perché ha mantenuto la parola. Scendo dalla collina per notarne un’altra che sovrasta il piccolo porticciolo, anch’essa sorvegliata da un’altro Buddha, di colore rosa. Ai suoi piedi ci sono tanti grassi monaci (credo!), impegnati in diverse attività, quali offerte di cibo, esercizio fisico, orazione e addomesticamento o domazione di fiere.


Il Buddha rosa, anch’esso in piedi, ha la mano destra ad altezza spalla, col palmo rivolto allo spettatore, in Mudra Abhaya, che simboleggia la protezione e rassicura i suoi seguaci liberandoli dalle paure. La mano sinistra è in basso con il palmo verso l’alto e le dita che puntano in basso in Mudra Varada. Questa combinazione dei due gesti simboleggia la realizzazione dei desideri dedicati a se stessi e le cinque dita verso il basso rappresentano le 5 perfezioni: generosità, moralità, pazienza, sforzo e concentrazione meditativa. La vista del piccolo porto e della spiaggia attigua da qui è molto invitante, ma è troppo presto per fermarsi e decido di ignorare l’ultimo Buddha blu, all’altro capo del porticciolo per arrampicarmi più in alto, tra la vegetazione, il cielo blu e centinaia di capre che attraversano il tratto cementificato che fa da strada.


I panorami sono meravigliosi. Al fine di una discesa trovo la strada sbarrata e il solito strillone che mi invita a parcheggiare. Pago e poi mi chiede i soldi per il trasporto fino alla spiaggia, non parla inglese, lo capisco perché mi indica un pulmino, io dico che voglio camminare, ma non mi è permesso. Un’altro si avvicina con un’altro biglietto e mi chiede altri soldi per non so cosa. Alla fine mi stufo della loro cieca cupidigia e risalgo in motorino, sicura di trovare una valida alternativa. Quello che troverò invece è solo una ruzzolata da una scogliera per la mia stupida convinzione che il mondo non nasconda insidie ed imprevisti! Il terreno semi pianeggiante mi fa pensare che non sia così impossibile raggiungere gli scogli la sotto, quando invece arrivo in punta al pendio mi rendo conto che dovrò scendere aggrappata a qualche roccia, prima di arrivare al mare, però noto anche che ci sono tanti anfratti tra una parete e l’altra e sono sicura di poterli usare come appigli.


Va tutto bene finché qualcosa cede, non so se sotto le mani o sotto i piedi, fatto sta che perdo la presa e mi ritrovo in volo, come mi è già successo tante volte in vita mia. Sempre la stessa situazione che si ripete, la stessa emozione, lo stesso stupore nel realizzare che sono senza appoggio, senza terra sotto i piedi, in balia della gravità. Giro su me stessa e atterro su un terrazzamento erboso, più che altro piante..meno soffici dell’erba ma comunque più gradite della nuda roccia che mi aspettava qualche metro sotto. Rimango incassata fronte mare, mentre ancora non mi capacito della mia incoscienza, resto in silenzio ad ascoltare se il mio corpo duole. La faccia, il collo e le spalle mi bruciano, non sento sangue colare, solo male al sedere per la botta..e al polso, che però riesco a toccare senza vedere le stelle perciò probabilmente non è rotto. Accendo la fotocamera del cellulare per vedere in che stato sono e noto solo abrasioni e terra. A questo punto devo raggiungere gli scogli e buttarmi in acqua per disinfettarmi e poi troverò una soluzione per tornare sulla terraferma. Scendo abbastanza agevolmente, il che mi fa pensare che se non fosse stato per quell’inconveniente probabilmente sarei ancora tutta intera.


Mi butto in acqua e sento la pelle tirare, ma so che mi fa bene, al fine di evitare infezioni. Di colpo il mare si agita e inizia a spingermi contro le pareti rocciose, cerco di avvicinarmi allo scoglio per risalire, ma le onde mi sballottano lontano. Quando riesco ad ancorarmi un’ondata mi sbatte sulla roccia, arricchita da molluschi protuberanti. Mi incazzo e giro i denti al Mar della Cina, che si sta vendicando per l’opinione che ho della sua progenie. Mi incastro tra due scogli per smorzare la forza delle onde, che cerca ancora di staccarmi e riportarmi in acqua, resisto, e approfittando della risacca, monto più in alto dove non mi può raggiungere. Sono salva, per quanto si possa essere salvi su uno scoglio sperso nel mare con alle spalle una parete rocciosa traditrice! Per ora sono salva. Il prossimo passo è attirare l’attenzione di quei piccoli pescherecci diretti al porticciolo. Agito le braccia sopra la testa e mi accorgo che mi fa male la schiena. Continuo a lungo, finché capisco che non mi vedono o non hanno intenzione di virare. Mi siedo a pensare e noto verso destra una piccola imbarcazione che si muove, non capisco se sta venendo verso di me o se sta solo rollando ancorata in mezzo all’acqua.


Inizio ad agitare l’asciugamano come fosse una bandiera e la vedo avvicinarsi, continuo senza sosta anche se il movimento mi procura dolore. Mi sale un sorriso quando mi accorgo che punta verso di me e penso già alla cospicua ricompensa che gli darò, quando è più vicino risponde ai miei segnali, ma non sembra aver intenzione di raggiungermi, inizio a gridare, con la disperazione di chi si è illuso e non può che restare a guardare l’inganno che si fa beffe di lui, continua a remare e ogni tanto si gira alle mi grida, ma mi sfancula con il braccio. Lo vedo allontanarsi e so che dovrò trovare una soluzione da sola, come ogni fottuta cazzo di volta! Prima di rivestirmi, comunque, gli auguro di pagarla molto cara, dopodiché inizio a studiare le roccia alle mie spalle per capire da dove risalire senza peggiorare la situazione. Il polso ha iniziato a gonfiare e non mi può dare sostegno negli appigli, perciò dovrò puntare tutto sulle gambe e sull’unico braccio sano.


Provo un paio di prese, prima di trovare il passaggio giusto, inizio a risalire con cautela, studiando ad ogni step il percorso che mi sembra più sicuro. Inevitabilmente arrivo ad un punto problematico, piccole rocce che probabilmente non sono ancorate e vegetazione, prego la parete di non mollarmi e le radici di non cedere, poi finalmente, emergo dal rim e mi allontano dal baratro. Fanculo! Ora è solo una lunga camminata in salita tra rovi e pietre, sudata, assetata e dolorante. E guai a me se mi viene ancora in mente di cercare soluzioni alternative, invece di pagare, come tutti e rischiare la vita. Peraltro sicuramente non me le ricordo tutte, ma ad oggi, mi risulta di averne già consumate 5, ( 3 delle quali nello stesso identico modo!) quindi sarà meglio che la smetta di giocare alla roulette russa! Il resto è un viaggio in motorino senza fine per rientrare in ostello, una dolce host che mi disinfetta e mi sposta in un letto basso al primo piano, un massaggio per allungare i muscoli e una tonnellata di balsamo di tigre!