sabato 24 novembre 2018

Run to the hills: fuga dalla tempesta verso Da Lat



21-22/11/2018
Mi alzo con l’intento di fare l’ultimo giro in moto per raggiungere il Tempio di Lon Song, per vedere il grande Buddha bianco seduto sulla collina, ma l’accesso è chiuso e quindi non mi resta che restituire il mio bolide a Jimmy della Easy Riders. Preparo lo zaino e con Queenie di Hong Kong, raggiungiamo l’agenzia dove verrà a recuperarci il bus per Da Lat.


È quasi al completo e quindi mi tocca un posto sfigato che balzella per tutta la durata del viaggio. I bus vietnamiti sopperiscono alla scomodità con sospensioni superprestanti. Lasciamo la città per inerpicarci su stradine tutte a curve, tra una folgorante vegetazione, mentre il sole splende e non sembra possibile che nel giro di qualche giorno possa abbattersi un’altra tempesta tropicale a disturbare questa quiete.
Attraversiamo villaggi con case col tetto di lamiera, che non danno l’idea di poter affrontare agenti atmosferici impetuosi. Per un breve tratto di strada, la nebbia ci attraversa e scrutiamo lontano in cerca di un temporale, ma il sole si fa largo di nuovo e le cascate sotto di noi scendono in un velo, dopo un salto vertiginoso. Tutto intorno, sotto la vegetazione, la terra è rossa e fertile, iniziano a comparire i primi vitigni, ma soprattutto immense piantagioni di fragole. Le donne col cestino sulle spalle lasciano i campi per fare ritorno a casa. Il traffico impazzito dei motorini ci incanala in un flusso caotico tra il suono incessante dei clacson. Da Lat ci accoglie con un grande lago e due strutture a forma di fiore, ricca di giardini, ortensie e case pazze.



Mentre camminiamo verso l’ostello, io e Queenie scopriamo di aver già condiviso una stanza a Da Nang, oltre a quella delle scorse notti a Nha Trang, e con questa faranno tre. Il campanile a punta di una chiesa lasciata dai francesi, da al paesaggio la consona connotazione montana. Binh, il nostro giovane host, ci accompagna per le strade del villaggio alla scoperta del cibo locale, con cui è cresciuto e che adora. La prima tappa è su un marciapiede, occupato da un calderone di tizzoni ardenti su cui la Lady Pizza arrostisce un disco di pasta di riso circolare, condendolo con uovo, spezie, cipollotto, formaggino “la vache que rie”, unico prodotto caseario contemplato nel paese, salsa di pomodoro e striscioline di carne di maiale.


Lo avvolge su se stesso con maestria ed è pronto da gustare in tutta la sua incredibile squisitezza. La seconda tappa prevede il Curry d’anatra, una zuppa di verdure lievemente piccante in cui intingere abbondante Banh mì, la baguettina anch’essa lascito dei francesi, che rende il Vietnam unico paese asiatico in cui si può accompagnare il pasto col pane, anziché l’onnipresente e stucchevole riso.


A questo punto Queenie esprime il desiderio di assaggiare un dolce e io già tremo, quando nel locale preposto alla consumazione del dessert, non è presente nè cioccolato e tantomeno la panna.
A Lei capita una tazza che ha tutta l’aria di essere fango, mentre a me tocca una pappetta di riso dolce con semi di loto. La fidanzata di Binh opta per una tazza in cui galleggiano uova di quaglia bollite nel thè.


Spero che la mia amica non abbia desiderio di altro, quindi facciamo una passeggiata al night market che peró si rivela scialbo, rispetto a quelli taiwanesi e thailandesi.
Torniamo in camera a studiare per il giorno seguente. Io farò un bel giro intorno al lago, tra la calura spossante e poi mi perderò per 2 lunghe e interessantissime ore, tra le scale e i cunicoli della Hang Nga Crazy House di Madame Dang Viet Nga, figlia del defunto segretario generale del partito comunista del Vietnam, Truong Cinh.





L’idea della eclettica architetta era quella di costruire un ambiente che si sposasse e diventasse un tutt’uno con la natura circostante, per riavvicinarsi alla madre terra e avere l’illusione di vivere dentro una grande foresta a misura umana, senza che essa ne prendesse il sopravvento nè che la deturpasse, ma che fosse un invito per la comunità alla comunionione tra i due elementi.


Ovviamente fu considerata folle e molto criticata, osteggiata in tutti modi nella realizzazione del progetto, che finanzió con le proprie forze e grazie alle sovvenzioni di parenti e amici. Il suo lavoro alla fine fu approvato e la casa è in continua espansione, entrando a pieno titolo tra le dieci strutture più bizzarre al mondo. Impossibile non trovare analogie tra la sua invenzione e le opere di Gaudì e il genio visionario espresso nelle opere di Salvador Dalì.


Come ogni attrazione in Vietnam, anche la Crazy House è presa d’assalto da masse disordinate di cinesi chiassosi che si urlano da un tetto all’altro e si incastrano lungo le strette passerelle, e da matrone russe che letteralmente rimangono incastrate nei passaggi angusti facendo presagire imminenti crolli delle strutture costrette a sopportare i loro pachidermici culi.


All’uscita compro due cestini di fragole da due donne vietnamite, così per la prossima colazione io e Queenie ci saluteremo con un nutrientissimo frullato. Le proseguirà impavida sulla costa, mentre io raggiungerò Saigon, attualmente Ho Chi Minh City, per quella che sarà l’ultima tappa del mio soggiorno Vietnamita.




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