giovedì 22 ottobre 2015

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Al nostro risveglio Merida è già indaffarata e operosa come potrebbe esserlo una grande città europea. Maria ci prepara la colazione e con un sorriso ci suggerisce di visitare il mercato alimentare: non ci facciamo pregare troppo.

Nel reticolato urbano si trova tra la 67 e la 50 e dopo quasi due settimane di intersezioni tra calles e avenidas i meccanismi di localizzazione ci appaiono più comprensibili. Avvicinandoci al mercato notiamo come il fervore della gente si faccia ad ogni passo più incalzante, spezzato ad intervalli irregolari dall'offerta di cibo di bancarelle di fortuna, dove la vera attenzione è riposta nella disposizione di quello che si vende. Ognuno a suo modo esalta le caratteristiche dei propri prodotti, sfruttandone la forma, il colore o l'odore, improvvisandosi arredatore in una piccola zapateria o architetto di piramidi di pithaya o di lime vicino al suo piccolo carretto: una Chichen Itza moderna, che muore e rinasce ogni giorno a ciclo continuo, che garantisce il sostentamento di centinaia di nuclei familiari per quei pesos, pochi o tanti che siano, che riesce a procurargli.

L'entrata del mercato anticipa quello che nasconde il suo interno; un girone dantesco che si muove scomposto e rumoroso, che si imbottiglia e che si allunga a fisarmonica. Le donne si accalcano attentissime nella scelta della frutta e della verdura, valutano e soppesano tutto con la precisione di un gemmologo: la comida qui è una cosa seria, un principio inaffondabile e non si può certo sfigurare nel risultato. Dove avanza spazio si sistema una cassa stereo, quasi sempre vicino a chi prepara tacos o antojitos, e allora la musica dei mariachi ci avvolge e allieta la pausa di chi mangia.

Il criterio e il caos si salutano continuamente ma non varcano mai le loro linee di confine, quando osservi la dedizione all'ordine in un banco di spezie, ipnotizzato dai colori quasi psichedelici o quando superi con fretta e passo accelerato le gabbie arrugginite e malconcie degli animali domestici, e lo fai con pena. Lungo il perimetro esterno si accalcano prepotenti quei banchi che non si riesce a contenere nell'involucro e che allora sono stati vomitati fuori. La frenesia occupa spazi impensabili, si impadronisce di muri, scalini e scorciatoie, è un dedalo di vie in cui saltano gli schemi e si sacrifica tutto alla vendita. Chiunque richiama a gran voce la nostra attenzione, chiunque ha ciò che ci serve al prezzo migliore. Si vende con la presenza, soprattutto. Ci allontaniamo.

Il Mercato di Merida non è la Boqueria di Barcellona o il Mercato centrale di Firenze, ha odori forti e ti colpisce con fotogrammi rubati a paesi più disperati, però è tangibile come in ogni altro mercato del mondo l'appartenenza alla gente del posto, quella voglia che ha di scandire la vita sociale di chi abita il luogo; una giostra immobile che divora il tuo tempo e te lo restituisce sotto forma di cibo e cultura.
"Se vuoi conoscere le vere abitudini di un popolo, frequenta il suo mercato." E in questo Merida non fa eccezione.Trascorriamo il resto della giornata a farci una cultura sulla storia messicana tra archeologia, religione e colonialismo, saltabeccando dalla visita al Paseo de Montejo, una lunga avenida  tra bellissimi palazzi costruiti dal fondatore della citta Francisco Montejo di chiara ispirazione ispanico-europea, alla sua propria casa eretta nella Plaza Major, fino a qualche foto distratta all'interno della cattedrale di  San Ildefonso, riscuotendo simpatie e rispetto dai cittadini, che ci confidano di apprezzare molto di più l' interessamento europeo alla loro storia e cultura a differenza degli americani che preferiscono alzare gomiti e tassi alcolemici a Gringolandia (Cancun), come la chiamano loro.
In particolare il bellissimo palazzo verde del Governo, sorvegliato da poliziotti che si aprono come le acque del mar rosso al nostro passaggio, ci da la possibilità di capire qualcosa di più sugli accadimenti politici di questa parte di Messico, attraverso 27 meravigliosi murales del maestro Fernando Castro Pacheco che raffigurano i momenti salienti e personaggi determinanti per el desarrollo di Mèrida e dello Yucatan. In cima alla scala che porta al piano superiore ci  attende un trittico di opere magneficenti per grandezza e soggetto: l' artista deve rappresentare la concezione mesoamericana del mondo divisa in 5 regioni in accordo con la visione Maya: el Oriente, el Sur, el Poniente, el Norte y el Centro.

Però ha a disposizione solo tre muri e allora risolve il problema con la rappresentazione di tre regioni ( Nord, centro e sud ) nel murale centrale, in modo che il nord sia raffigurato nella parte superiore, il centro in quella centrale e il sud in quella inferiore. Qui la figura principale, e guardandolo scopriamo quanto è stato ed è ancora importante il mais per il popolo messicano, è l'uomo maya che emerge dalla mazorca, la pannocchia, proprio come è spiegato nel "popol vuh", il libro sacro dei Maya. Gli Dei contemplano la sua creazione. Tutto intorno, il ricco fogliame che si sviluppa e cresce in tutto il dipinto rappresenta la creazione della vita tutta.

 Il Murale di sinistra è la rappresentazione del Ponente ( da Sampi a Pra..buhahhahaha!) luogo dove muore il sole ogni giorno, dove si inabissa il "gran astro" tra le ombre della notte e del mistero. In questo luogo, nelle tenebre dimora il giaguaro, figlio della notte e maestro dell' imboscata, creatura della morte e orrore dell' uomo. I colori scuri coaudiuvano a rendere più funesta la scena, arricchita di demoni, scheletri e sinistri sacerdoti. Al contrario nel murale di sinistra, che equivale all' oriente, tutto è luce e allegria, poichè il sole è sorto di nuovo e illumina la vita dei maya e le loro creazioni.

Qui la mano si estende nell' atto di proteggere e la scena intera manifesta la feconda operosità umana. Nell' oriente hanno origine i venti benevoli che portano la pioggia del Dio Chaac, che farà germogliare la terra e produrre il raccolto.
Ma il metro di giudizio più efficace a cui noi italiani ci affidiamo per giudicare un popolo è sempre quello della cucina, perciò due Negra Modelo, pollo pibil e sopa de chaya e la cena è fatta: andrebbe tutto alla perfezione se la pioggia non si accanisse ormai da giorni sulla penisola yucateca, per di più oggi si inaugura il festival della cultura maya qui a Merida e il comune ha investito parecchio dinero per regalare uno spettacolo senza precedenti a turisti e ciudadanos, ma Chaac (ricordate..il dio della pioggia maya) ha un carattere di merda e quando gli gira male non guarda in faccia nessuno.
Non abbiamo potuto assistere a nessun evento, a parte una insolita danza di giovani ballerini che giravano come trottole senza sosta, vestiti di bianco con un vassoio di bicchieri pieni d' acqua sopra la testa e neppure quattro ore di collectivo con destinazione Celestùn ci hanno salvato da una tempesta tropicale. Eravamo partiti con l'idea di fare avvistamento dei fenicotteri rosa nella loro riserva naturale ma l'unica cosa che abbiamo avvistato sono stati un polpo impanato e un granchio blu a spezzatino, ottimi. E due Modelo negra, immancabili: inizio a pensare che questa birra porti sfiga.
Da Tulum in poi il viaggio è stato parecchio umido e anche cambiando scenari e macinando chilometri a centinaia, il clima ci è rimasto avverso. E se è vero che i segnali divini si manifestano a chi sa leggerli, allora io aspetto istruzioni per come accompagnare i miei prossimi pasti!

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