venerdì 20 gennaio 2017

Ultimo giorno di tour, ritorno a Uyuni e uscita dalla Bolivia, arrivo a Cusco #salar giorno3 #uyuni #ramona #soroche #chile #borders #bolivia #peru #puno #bus #cusco #tupacamaru #sanblas


All' alba delle 4.15, al suono della sveglia impostata sul mio cellulare, come 6 morti viventi lasciamo le lapidi ai futuri occupanti che dopo di noi faranno l' esperienza di un soggiorno all' hostal San Marcelo, tremobondo rifugio in mezzo al nulla boliviano.
 Non tutti però abbiamo la fortuna di poterlo abbandonare così facilmente. Nella notte infatti Ramona, la bionda svizzera tedesca della nostra spedizione, deve aver ceduto ai peggiori sintomi del soroche, il mal d'altura che abbiamo già descritto nelle sue peggiori forme e al nostro risveglio ha già provveduto a ritinteggiare tutto il bagno compreso il lavandino. Il tutto senza l' ausilio di corrente elettrica, nè acqua. Poveraccia, non avrebbe potuto scegliere posto peggiore per patire un castigo simile. Fortunatamente noi, avendo preventivamente fatto la conoscenza di tale disagio stiamo continuando ad assumere il nostro farmaco bicolor a intervalli regolari e ad ogni pasto sorseggiamo mate de coca con aggiunta di foglie essicate.
Riforniamo Ramona di acqua e carta igienica, la nostra jeep parte per i Geyser lasciando i nostri compagni al loro triste destino. Il cielo si sta lentamente colorando quando giungiamo a destinazione, le fumarole si alzano alte riempiendo l' aria di nebbie e suoni di ribollenti pozze di fango. Mentre il Toyota scende ad altitudini più accettabili, il sole fa la sua comparsa in un cielo completamente sgombro e ancora una volta espressioni beate si dipingono sui nostri volti.
Ci fermiamo alle sorgenti di acqua calda circondati da montagne e paludi popolate da fenicotteri e anatre, i nostri soci si immergono mentre noi preferiamo perlustrare la zona in attesa della colazione. Pancake con dulce de leche e mantequilla sono quello che ci vuole per raggiungere la frontiera col Cile, dove i nostri compagni ci salutano e ci lasciano ad un tour privato in compagnia solo di Abraham che ci guida tra deserti di montagne multicolore, ci fermiamo in un piccolo villaggio per il pranzo dove i lama pascolano su zolle di prato verdissime, solcate da piccoli ruscelli di acqua limpida, tanto belle da sembrare artificiali, a completare il tutto, una montagna rossa fa da sfondo e alcuni ragazzi accompagnano il momento pizzicando una chitarra.
Ci arrivano notizie confortanti della ripresa repentina di Ramona dopo aver assunto il farmaco portentoso quindi cerchiamo di incrociare l' altra auto alla Valle delle Rocce, ma a parte rimanere a bocca a parte e tentare di scalare tutte le formazioni rocciose che troviamo, dei nostri soci non c'è traccia. Dopo una sosta gelato in un piccolo villaggio di minatori, proseguiamo il tragitto di rientro.

Ad Uyuni ci rifocilliamo in vista dell' imminente traversata notturna per rientrare a La Paz dove senza posa prenderemo un micros per Desaguadero, riattraverseremo la frontiera, passando in mezzo ad un' altra coda, stavolta resa più vivibile dalla convivialità delle chiacchiere con un' anziana coppia di Peruani, ci ritroveremo altri timbri sui passaporti e un ultimo micros ci ricondurrà a Puno per una sosta tattica di descanso e lavanderia.
E' l'ultimo giorno di scuola per i bambini della città che dopo aver preso parte ad una parata sportiva per pubblicizzare i corsi estivi in cui saranno coinvolti durante il verano, festeggiano facendosi innaffiare dai getti irregolari delle fontane, noi assistiamo divertiti mangiando papas rellenas al prezzo di 1 Nuevo Sol. Finalmente i nostri zaini sono nuovamente carichi di indumenti puliti per affrontare l' ultima tappa del nostro itinerante viaggio, domattina alle 5 ci sveglieremo a Cusco, tra le urla ipnotiche dei venditori delle compagnie di trasporto e le offerte di tour a Machu Picchu e al Valle Sagrado.
Il nostro Hostal si trova alle porte del quartiere Santiago e quando arriviamo alle 6, sta giusto aprendo, ci accoglie la Duena con le chiavi della nostra stanza che è gia pronta per regalarci una doccia bollente e un comodo letto per i prossimi due giorni. Cusco è bellissima e piena di meraviglie sotto forma di pietra. Il sole è caldo e anche qui ci ritroviamo a gironzolare in maglietta e crema solare al cospetto di imponenti cattedrali e antiche mura. Cusco è la Roma dei Peruani e mi sbilancio dicendo in anticipo che Machu Picchu è il suo Colosseo se bisogna trovare un termine di paragone per rendere l' idea. Bisogna? L' immensa Plaza des Armas ha come sempre bei palazzi e portici a delimitarne il quadrilatero e una fontana centrale su cui capeggia la statua di Tupac Amaru II, guerriero inca della resistenza contro gli spagnoli di Pizarro.
Dietro si estende il quartiere di San Blas, con i suoi saliscendi, le sue botteghe di artesanias, i suoi ristorantini, i muri di pietra perfettamente incastonate tra loro fanno da cornice a questa meravigliosa città di montagna. Dall' alto del Cristo Blanco e della Iglesia de San Cristobal si può ammirare la piazza e tutta la città che la notte accende i pendii di luci gialle e bianche. Finalmente possiamo dire di aver sospeso il Sorochipills e ci siamo ambientati con l' attuale altitudine sui 3300 mt.
Andiamo alla ricerca di ristorantini fantasma nascosti dietro piccole porte quasi impercettibili, dove si cucinano piatti mitologici come il Kcapchi de Zetas, una zuppa di piccoli funghi champignones che si trovano solo in questa stagione, serviti da un' anziana signora sorridente in un' ambiente casalingo e senza fronzoli. Per la sera, entrambe per la verità, ci piace camminare per la Calle Maruri fino alla esquina dove si trova la piccola pizzeria Carlo, un posticino intimo, solo 4 tavolini in legno e panche dove assaggiare la pizza migliore di Cusco, accompagnata da una Cusquena Dorada che va giù come acqua.
Pomodoro, mozzarella, tocino, chorizo, salchicha e oregano la prima sera, pomodoro, mozzarella, cebolla, aceitunas negras y jamon la seconda. Willi il proprietario ci racconta di aver vissuto e lavorato a Torino, che è innamorato di Diano Marina e della riviera ligure, che ha visitato le 5 terre e quando ci rivede la seconda sera al momento dell' ordine mi chiede in perfetto italiano "Dimmi Valentina". E' l'ora di preparare lo zaino, domani andiamo ad Aguas Calientes, ai piedi del tanto atteso sito di Machu Picchu, il biglietto lo abbiamo già comprato negli uffici del ministero della cultura, adesso è il mio turno di avverare un antico desiderio, formatosi al tempo in cui mio papà mi comprava il Topolino da leggere, quando in una delle tante avventure di Paperino e Qui Quo Qua, l' avido Zio Paperone, sempre in cerca di nuove fortune per accrescere i possedimenti del suo deposito, coinvolgeva i nipoti in un' ardua impresa alla ricerca degli antichi tesori degli Inca proprio nella remota Machu Picchu, tra sentieri impervi, antichi rituali e meravigliose culture.

martedì 17 gennaio 2017

Bolivia tour giorno 2: quante facce hanno i deserti, animali autoctoni, lagune e precipitazioni improvvise #bolivia #lagunas #lagunacolorada #kanapa #lagunahedionda #biscacha #boliviarail #volcanos #flamengos #morenada #



Alle 6 siamo già in piedi, con gli zaini fatti, pronti per la colazione nel nostro ricovero di sale. Mate de coca perchè oggi saliremo abbastanza, un buon frullato di banana per attentare ai nostri intestini, nel caso in cui l' altitudine non facesse abbastanza, una frittella da cospargere con mantequilla e dulce de leche, huevos revueltos per concludere.
Saliamo in vettura che il sole è già spuntato, ci dirigiamo verso una collina piena zeppa di cactus e come loro puntiamo lo sguardo lontano verso il salar, che inizia a splendere di luce. Attraversiamo qualche piccolo pueblito, tra lama al pascolo, cani polverosi che trottano in mezzo alla strada e panoramiche strade terrose. Ci muoviamo nella solitudine del nostro tragitto, senza incontrare anima viva, cercando di fotografare con gli occhi ogni roccia, ogni cespuglio, ogni colorata collina e montagna innevata che fa da sfondo al percorso.
Attraversiamo le rotaie dritte che un tempo portavano i minerali dritti al Cile, prima che le miniere si esaurissero e ci troviamo al cospetto di uno dei tanti vulcani semi attivi che circondano l' area che perlustriamo in questi giorni. Attraversiamo deserti diversi ciascuno con una sua particolarità: formazioni rocciose erose dalle intemperie, pietre ricoperte di velluto erboso e piccoli fiorellini bianchi, distese di piccoli cespugli spinosi simmetricamente disposti alla stessa distanza uno dall' altro sulla terra rossiccia e ferrosa. Le Toyota si arrampicano sulle pietre bianche ondeggiando e diffondendo le note delle morenadas, canzoni rappresentative della cultura boliviana dei tempi in cui la Corona spagnola adoperava schiavi neri per le miniere d' argento della città di Potosì, trasferendoli poi stremati alle coltivazioni delle foglie di coca.
C'è sempre una voce narrante che incita alle danze e ride grottescamente, strumenti a fiato e percussioni incalzanti, ritmiche che invogliano al movimento. Abraham, il nostro conductor e quello dell' altra macchina fermano i 4x4 in uno spiazzo di terra protetto da rocce rosse di fronte ad una grande montagna circondata da nuvole bianche, montano le tavole e ci prepariamo al rancho, poi mentre mangiamo si avvicina una biscacha, una lepre selvatica dalla lunga coda a ricciolo con gli occhi socchiusi, e le lunghe ciglia nere. Si avvicina scendendo a balzi dalle roccie, fermandosi poco sopra di noi, ci osserva, viene a prendere dalle nostre mani offerte di broccoli, per poi consumarli tenendoli stretti tra le zampette anteriori.
Riassicurate tavole, sedute e ceste dei viveri con le corde al tetto, partiamo alla volta delle lagune colorate: Kanapa, dove facciamo il primo incontro con i fenicotteri andini, che incessantemente tuffano il becco ricurvo nelle acque limacciose per rimpinzarsi di organismi tossici, plancton, che danno la colorazione rosata alle loro piume. In questa laguna coabitano tre differenti specie delle 6 esistenti al mondo: quello andino, con gambe e zampe interamente gialle, il piumaggio rosa pallido ad eccezione di collo, busto e interno ali rosa intenso e il becco giallo e nero, quello cileno con strisce rosso brillante sul dorso, zampe e articolazioni rosse, becco a banana color nero e bianco e quello di James, il più piccolo dei tre, con la parte finale delle ali nere, il becco giallo e nero e le gambe completamente rosse.
 Scattiamo un' infinità di foto, finalmente in presenza di questi mitici uccelli che per ben due volte ci sono sfuggiti, in Messico lo scorso anno e in Perù a Paracas qualche settimana fa. Ci spostiamo alle lagune Hedionda, ovvero lago fetido a 4100 metri, dove montagne innevate fanno da sfondo al banchetto dei flamingos e Ch'iar Quta, in lingua Aymara lago nero. Il maltempo inizia ad avvicinarsi oscurando il cielo sopra la laguna colorada, nel giro di pochi minuti passiamo dalla canotta al piumino, berretto e guanti.
Saliamo ancora di altitudine per avvicinarci al nostro ricovero per la notte, quando lungo la strada ci sorprende una grandinata pazzesca. Protetti dall' interno del Toyota, mentre Abraham mantiene il controllo del mezzo sotto l' assedio delle sfere di ghiaccio, noi osserviamo increduli e ammirati lo strano fenomeno che in pochi secondi ammanta di bianco tutta la terra rossa circostante. Scendiamo eccitati dalla jeep, chi in infradito, chi imbacuccato alla siberiana, per gironzolare tra la coltre di proiettili ghiacciati che scricchiolano al nostro passare, Mizie e Grant (giappo-americani) giocano a tirarsi la grandine, Paloma e Nik (svizzeri-tedeschi) saltellano facendosi le foto, Danilo Lopez guarda attonito qualcosa che forse in Brasile non ha mai visto, non ci siamo proprio fatti mancare niente. L' aria è gelida e pungente.
 Il nostro ostello per la notte è un tugurio di pietra, con camerate da 6 dove i materassi sono poggiati sopra lapidi di pietra. C'è un solo gabinetto per tutte le stanze che sono circa una decina, senza carta, sporco e poco invitante. La luce c'è solo nella sala dove ci riuniamo a mangiare, per vedere qualcosa in camera bisogna avere una torcia, di cui siamo tutti forniti per fortuna. La cena viene servita alla penombra della luce fioca di un' unica lampadina, per fortuna non si può dire che faccia freddo perchè il riscaldamento non esiste, ma comunque non è una novità visto che non lo abbiamo trovato ne ad Arequipa, ne al Canyon del Colca dove si congelava, nè a Puno e con grande probabilità non lo troveremo nemmeno a Cusco. Ci beviamo una birra dopocena con gli svizzeri chiacchierando amabilmente in un misto di inglese ispanico, poi a nanna, la sveglia è alle 4:15, e a parte la levataccia, tutti noi desideriamo stare il meno possibile in questo posto.

lunedì 16 gennaio 2017

La Bolivia vista dagli occhi occidentali, il Salar de Uyuni, grande meraviglia della natura #lapaz #bolivia #capitalcity #teleferico #uyuni #salar #salardeuyuni #desert #saltdesert #saltflat


La Paz..che dire, un ingorgo disordinato di automobili e persone, le persone inventano modi per guagagnare qualche boliviano, con bancarelle, carretti, a volte neanche quello. Commerciano pane in mezzo agli incroci che sanno di gasolina, lustrano scarpe con il viso coperto dai passamontagna per non farsi riconoscere da amici e familiari, per evitare la discriminazione in una società fin troppo povera e ignorante.
Le automobili, i taxi, le carrette, i micros con la scritta Dodge e le bardature colorate, girano e caricano, scaricano, senza sosta, inghiottono, schiacchiano e rigurgitano persone ad ogni ora del giorno e della notte, con il clacson sempre caldo di strimpellante premura.
La Paz, con le case di mattoni rossi mai finite, che sorgono dall' immondizia, pattugliate da ronde di cani randagi alla ricerca di sacchetti da profanare con i musi pulciosi e spelacchiati. La Paz delle Cholitas con le gonne a balze, le bombette e gli scialli, sempre cariche di fagotti colorati sulla schiena, trasportano viveri o bambini, le vedi sedute sui gradini, sui marciapiedi, su panchetti che scompaiono sotto i loro immensi culi a vendere gorditas, bebidas o agende.

 Le gambe grosse nelle spesse calze di alpaca, si incastrano in scarpette troppo strette e impolverate. La Bolivia è il loro regno e loro ne sono regine, vendono, comprano, trasportano, figliano, allattano e crescono. Nelle campagne arano, coltivano, mietono e camminano giorni eterni dietro ai lama e agli alpaca, sempre sole, instancabili. La Paz avrebbe bisogno di cure, di sanificazione, di un miracolo, invece ha un piano e due immense teleferiche da 150 milioni di dollari, che dal basso della valle in cui soffoca se stessa, la trascinano a El alto in colorate cabine rosse e gialle. La Svizzera gliele ha fornite. La faccia del presidente Evo Morales sorride sulle porte automatiche, mentre La Paz scorre sotto di noi, fatiscente e incompleta, dalla base fino alla cima, finestre senza vetri, tetti senza copertura, stracci appesi,bambini abbandonati al sonno nei cortili incolti, cani sdraiati sui tetti, guardiamo agghiacciati protetti dal guscio del nostro ovetto elettrico.
Nella notte ci allontaniamo a bordo di un bus cama che ci porta a sud, ad Uyuni, porta d'ingresso dell' immenso omonimo Salar, 10.500 km quadrati di deserto di sale che in questa stagione delle piogge diventa uno specchio lucido e riflettente, e tutto ciò che è sopra diventa sotto, in un magico effetto di infinita, imperturbabile grandiosa vastità.
Siamo una spedizione variegata formata da 3 coppie di svizzeri tedeschi, un brasiliano, un americano del Wisconsin bianco e biondo che si accompagna ad una giapponese trasferita a New York, noi, gli autisti e una guida, i nostri Land Cruiser, con le taniche e i viveri sui tetti partono alla volta di quella che sarà la più incredibile avventura di questo viaggio.
 Facciamo conoscenza con i nostri compagni di sedile con cui condivideremo la magia di questi 3 giorni, colazioni, pranzi e cene, nonchè camerate al limite del minimalismo alberghiero. Appena ci addentriamo nel deserto di sale sprofondiamo in un silenzio reverenziale, muti e sopraffatti, il lieve scroscio dell'acqua sotto le gomme, una quiete ipnotica delicatamente violata dalla voce sinuosa di Lana del Rey..will you still love me when i'm no longer young and beautiful? I know you will, I know you will, I know that you will..nessuno lo dice ma io credo che tutti stiamo pensando che non poteva esserci atmosfera migliore per accompagnare questo momento.
La jeep scivola sola e silenziosa su quest'immensa lastra di vetro, dove le nuvole bianche lasciano spazio a sprazzi di cielo azzurrissimo, si riflettono e si specchiano in questo immenso mare calpestabile, le zolle di sale sono esagoni perfetti, uniti tra loro, sotto il pelo dell' acqua, le distanze sono falsate, cielo e terra si toccano e non si riesce a capire dove finisce l'uno e comincia l' altro, persino fare una foto dritta diventa un'impresa, a 360° ci siamo solo noi, per km, persi in un mare di luce e azzurro, camminiamo su uno specchio che si sforma sotto i nostri passi per poi ricomporsi un attimo dopo, quasi volerci mostrare che in nessun modo potremo mai modificare questa immensa e perfetta bellezza creata dalla natura.Per ore viaggiamo in auto lungo il salar avendo l' impressione di essere sempre fermi nello stesso punto, poi il sole inizia a calare, il cielo si scurisce, l'acqua si alza e ci mettiamo in salvo su una lingua di terra che ci porta in collina, guidiamo su strade dissestate mentre l'oscurità ci avvolge fino a raggiungere le deboli luci del nostro alloggio per la notte, pietra e sale si fondono insieme per farci da giaciglio e da mensa, i granelli scricchiolano sotto i nostri piedi.
Dopo una doccia bollente siamo pronti per lasciarci andare ai sogni tra le nostre pareti di sale, realizzando finalmente che qui siamo arrivati, dopo averlo ammirato in fotografie scattate da altri, averlo sognato guardando filmati irreali, e aver pensato che mai avremmo saputo come raggiungerlo, come viverlo coi nostri occhi, mentre il sale ci incrostava gli scarponi e ci lasciava scie bianche secche e rigide da intirizzire gli orli dei pantaloni.
Un altro sogno è diventato realtà, ancora una volta abbiamo insistito per riempirci gli occhi di bellezza straordinaria, anche quest'anno facciamo preoccupare e stupire le nostre famiglie che aspettano nostre notizie tra facebook e skype per augurarci ancora buon appetito mentre loro vanno a dormire, vivendo attraverso di noi lo spettacolo impensabile che il mondo riesce ancora a regalare a chi vuole mettersi in viaggio per andarlo a scoprire. La vita è breve, ci se ne accorge pensando al poco tempo che abbiamo da dedicare alla scoperta, a quanto poco abbiamo visto finora e quanto ancora il mondo aspetta di mostrarci, solo per questo vale la pena mettersi in moto e non negarci lo splendore della natura.

mercoledì 11 gennaio 2017

L'epico attraversamento della frontiera, gli esorcismi radiofonici e primo contatto con la popolazione boliviana #frontiera #desaguadero #frontera #perù #bolivia #borders #confinedistato #polizia #immigrazione #lapaz #elalto #gisela #minivan #bolivianos #soles #esorcismo #religiousrock


Lasciamo Puno con un' altra bellissima giornata di sole, diretti al terminal zonal dove i micros (minivan) aspettano di riempirsi per partire verso le loro destinazioni, il nostro va a Desaguadero, città di confine tra il Perù e la Bolivia lungo la sponda sud-est del lago Titicaca. La giornata è splendida, calda, il cielo azzurrissimo con nuvole bianche panna. Il micro è lanciato sulla strada dritta che costeggia il lago, tra campi coltivati, mucche al pascolo e donne Aymana con il loro tipico cappello a bombetta. Gli zaini sono al sicuro sul tetto.

Disaguadero ci stordisce con il suo casino di bancarelle per strada, le sue carrette da trasporto, che se non fai attenzione ti travolgono, il fango per terra. Ci avviciniamo al ponte che divide i due stati, un primo cartello sopra le nostre teste, all'ingresso del ponte ci ringrazia per la visita al Perù, il secondo, al termine, ci da il benvenuto in Bolivia. Cerchiamo di districarci per capire cosa fare per passare la frontiera, chiediamo informazioni ad una poliziotta peruana che ci manda oltre il ponte. Un brutto edificio che divide a metà la strada fangosa verso la Bolivia è strabordante di gente in fila di cui non si vede la fine. Chiediamo ad un poliziotto boliviano se ci troviamo nel posto giusto, ma lui, trovandoci sprovvisti di timbro di uscita, ci rimanda al di là del ponte dall' ufficio immigrazione del Perù.

Iniziamo a innervosirci e torniamo dalla poliziotta peruana che questa volta ci indica la struttura. Breve coda in cui compiliamo il modulo di uscita in cui indichiamo chiaramente che ci stiamo recando in Bolivia, arriva il nostro turno, l'impiegato timbra i passaporti e torniamo all' infinita coda boliviana, sotto il sole, vestiti come se dovessimo scalare l' Everest, con gli zaini in spalla. Io cerco di fare "l' italiana" inserendomi a metà della fila, ma Puddy mi riprende severamente, perciò accetto di mala voglia di passare le successive 3 ore procedendo di pochi millimetri alla volta.

Poi lui inizia a bestemmiare per il caldo e l' assurdità della condizione disumana a cui tutta questa gente è costretta per una formalità da pochi secondi. Finalmente arriva il nostro turno, l' addetta inserisce i dati del modulo d' entrata nel computer, apre i passaporti per apporre il timbro di ingresso e strabuzza gli occhi, scuote la testa e dice "no no no". L' ufficio immigrazione peruano, invece di apporre sui moduli e sui passaporti il timbro di uscita, ha apposto quello di entrata, quindi ora abbiamo due entrate in Perù in date differenti e nessuna uscita!
Ci informa che dobbiamo tornare oltre il ponte a correggere l' errore. Ci infiammiamo, terrorizzati dall' idea di altre 3 ore di coda, protestiamo, intimiamo, ma lei ci garantisce che con il timbro giusto salteremo la fila. Parto con i passaporti, Alessio tiene gli zaini, volo oltre il ponte, schivando carretti e mamacitas, me ne sbatto della coda e vado diretta allo sportello di quel mentecatto che è riuscito a non accorgersi che stava usando il timbro sbagliato e mi faccio mettere sui passaporti quello di uscita.

Ricorro oltre il ponte, raggiungo Puddy che si sta facendo le sue ragioni con i poliziotti boliviani, anche un pò imbarazzati e ritorniamo dentro gli uffici, supero la coda anche con una certa prepotenza, passo sotto la catena sradicando i paletti che la tengono in piedi e lancio i passaporti sotto il vetro del gabbiotto dell' addetta, che finalmente annuisce e timbra l'ingresso in Bolivia. Raccattiamo la nostra roba e di gran carriera, cerchiamo i bus diretti a La Paz. Non ci sono strade, solo gettate di fango rosso, con crateri e pozze, tra palazzi iniziati e mai finiti, con mattoni e griglie di ferraccio a vista, cani randagi che cercano cibo, spazzatura abbandonata a mucchi e bancarelle di acqua, bevande, merendine e cioccolate. I bus li troviamo, scassati, graffiati, logori, con il tetto pieno di sacche e scatoloni e fagotti colorati, all' interno gente stipata tra forniture di carta igienica annuali, borse, bastoni e qualsiasi accessorio per la casa. Occupiamo due posti in fondo, continua a salire umanità, sempre più carica, con bimbi legati alla schiena e sacche, borse, pacchi..iniziamo a pensare che il viaggio sarà eterno e ci vorrà tutta che il trabiccolo riesca a muoversi, così stipato.
Mi viene la curiosità di chiedere alla nostra vicina di posto se ci sono altri mezzi per raggiungere la capitale, lei risponde che ci sono i micros, ma costano 20 bolivianos (ovvero circa 3€), evidentemente per lei un prezzo altissimo, ci lanciamo giù dalla carretta prima che ci inglobi definitivamente, restituiamo i biglietti al conducente che ci ridà i soldi e gli zaini. Percorriamo un' isolato di terra rossa e spazzatura e palazzi lasciati a metà e troviamo i micros che stanno riempiendosi per La Paz, carichiamo gli zaini sul tetto e saliamo davanti a fianco al conducente. Nel delirio di code, timbri sbagliati e fughe da bus fagocitanti, abbiamo scordato di cambiare un pò di pecunia nella nuova valuta, grave ingenuità, l'autista però accetta il pagamento in soles al corretto cambio di 10soles per 20bolivianos.


Intanto ci godiamo il viaggio ignari dei momenti di terrore che vivremo a La Paz, una bellissima bambina ci tiene compagnia tutto il viaggio, ci da la manina, fa le foto con noi, si mangia le nostre gallette e poi quando non ne vuole più me le appoggia smangiucchiate sulla spalla. La strada è bella, unica lingua di asfalto tra prati di pecore e vacche e asini al pascolo, con le montagne innevate in lontananza, il cielo blu, tra banchi di nuvole più o meno minacciose, ogni tanto piove un pò, ogni tanto il sole illumina il panorama. L'autista sintonizza le frequenze su una specie di Radio Maria, ma peggio, ascoltiamo canzoni di rock religioso che farebbero cadere i capelli al più blando dei metallari, infine, un esorcismo in diretta, dove al grido di "SALES, SAAAAALES, DIABLO ENFERMEDAD, DEJA ESTO CUERPO..SE VA? SE VAAAAAA!! POR LA GRACIA DEL SENOR..COMO TE ENCUENTRAS?(rivolta all' esorcizzato) SANO? ESTA' SANOOOO, POR LA GLORIA DE JESUS NUESTRO SALVADOR!!rivolta ad un' invisibile platea.
In lontananza si vede una grande città, tutta sui toni del rosso mattone, ormai abbiamo accettato l'idea che qui l'intonaco sia sottovalutato, è El Alto, che ci spinge su su su, per poi aprirsi su una profonda valle tutta stipata di case a perdita d'occhio da togliere il fiato, ecco cos'è La Paz, l'edificazione senza confini, un milione di abitanti sopra, un milione sotto, un traffico infernale, aria irrespirabile, inquinamento acustico e una teleferica per spostarsi dal basso in collina. Chiediamo all' autista se ci cambia qualche soles peruano in bolivianos ma rifiuta, eppure all'inizio della corsa i nostri li ha presi, sconcertati cerchiamo il banco di cambio che ci ha indicato e lo troviamo chiuso, i bancomat rifiutano le nostre carte. Smarrimento.

Cerchiamo altrove, chiediamo aiuto a tassisti, ci dividiamo e ci incazziamo l'uno con l'altro per non esserci avvertiti o non essercene accorti, chiediamo ad altri autisti che arrivano dalla frontiera, ma nessuno sembra volerci aiutare. I boliviani ci stanno già sul cazzo! Ci manca la disponibilità dei Peruani. Poi un giovane tassista di nome Juan, passandoci accanto, si sporge dal vetro della sua auto e ci carica per portarci ad una casa di cambio cosicchè avremo i soldi per pagargli la corsa e farci lasciare in ostello, finalmente tranquilli con la nuova valuta in mano. Lungimiranza e ovvietà! comunque un angelo. Riacquistiamo il sorriso, anche se amareggiati dalla nostra leggerezza, mentre a naso in sù perlustriamo la strada pedonale di piccole pietre a mosaico, dove sorge la casa coloniale che ospita il nostro ostello.
La targa sotto la grande croce verde che capeggia sul muro, ci racconta che un tempo questa via era un luogo tenebroso per la costante apparizione di fenomeni soprannaturali, fantasmi, anime in pena, rumori infernali di carri trainati da cavalli e catene trascinate al suolo, ma soprattutto per la presenza di una vedova dannata, che seduceva gli uomini che si ritrovavano ubriachi a tarda notte a passare di qua, per condurli in misteriose avventure. Finchè gli abitanti della strada, gente di gran fede, decisero di collocare sul muro la croce verde per allontanare definitivamente tutte le creature maligne che li terrorizzavano. In quanto a noi, la nostra dose di terrore per oggi l' abbiamo avuta, non c'e clangore di catena o cigolio di carretto aggiunto a scalpicìo di zoccoli che possa spaventarci più. E come sempre, tutto è bene quel che finisce bene, speriamo solo di non aver bisogno di un esorcismo domani mattina!

martedì 10 gennaio 2017

Puno, il lago Titicaca e le pacco experience #puno #lago #titicaca #peru #uros #islas #flotante #islands #time #anger #mirador



Nel giorno della nostra partenza, Arequipa ci accomiata con un bel sole e 20 gradi, ma non ci fa comunque vedere il suo vulcano Misti alle spalle della cattedrale. E' pur sempre iniziata la stagione delle pioggie perciò ringraziamo di poter godere di queste belle mattinate di sole. Ci facciamo portare da un taxi al terminal terrestre dove ci imbarchiamo su un "San Cristobal del Sur" carico di locals alla volta di Puno, al prezzo stracciato di 20Soles (circa 6€), la spavalderia del risparmio svanisce in breve quando dopo mezz'ora non siamo ancora partiti. In realtà poi, il viaggio prosegue senza intoppi nè ritardi e riusciamo persino a strappare i due posti fronte strada al piano superiore.

Ci spaparanziamo comodi a guardare la strada che corre tra colline e montagne mentre qualche vigogna bruca incurante del nostro passaggio. I nostri compagni di viaggio sono silenziosi e tranquilli, molti sono bambini, anche piccoli, eppure nessuno frigna e la cosa ci lascia sempre molto basiti.
Ci arrampichiamo ancora ad altitudini importanti mentre superiamo file e file di camion e autocisterne, scortati incessantemente dai suv della policia che con i loro lampeggianti facilitano la guida ai numerosi bus che percorrono la tratta. Piano piano il sole tramonta e tra una fermata e l' altra nel nulla, chiamata a voce mentre si percuote il vetro del conductor, arriviamo finalmente a Puno.
Il lago lo abbiamo già avvistato da tempo e quando iniziamo ad avvicinarci alla città, ci accolgono una miriade di luci arancioni che dall' alto sembrano tuffarsi nelle acque nere del lago addormentato. Troviamo un ostello gradevole e dopo aver mollato gli zaini, facciamo una passeggiata lungo la via principale per rifocillarci. Alicio osa l' impensabile e ordina un cuy chactado, una cavia d' allevamento che gli arriva fritta e splattata sul piatto con tanto di testa e denti, io mi limito ad una normalissima trota alla plancha con contorno di verdure. L' altitudine si fa sentire e stanchi morti ci trasciniamo in ostello, sotto la pioggia battente, per svenire fino all' indomani. La mancanza di persiane ci fa svegliare presto e con piacere scopriamo che fuori ci attende il sole, quale condizione migliore per una gita sul Titicaca.
Ora, non è che io voglia far polemica sullo sfruttamento del turismo da parte della popolazione degli Uros che abitano le isole flottanti, nonostante poi neanche siano più Uros perchè si sono estinti un secolo fa, ma più comuni Aymarà, il 12% della popolazione peruana, però la visita alla loro comunità, così come è concepita oggi, sa un pò di pacco. Mi spiego, perchè incorrerei altrimenti nei fraintendimenti dei soliti buonisti che appoggerebbero la crociata in favore degli indigeni, dicendo che loro si devono pur sostentare e io questo non lo discuto: innanzi tutto ci si dirige all' imbarcadero per pagare la quota minima di 10 soles per il passaggio in battello e 5soles per mettere piede sulle isole.
L' imbarcazione costeggia una delle isole che si estendono in lunghezza sulla superficie del lago, è bellissimo vedere queste distese di giuchi che galleggiano cosparse da capanne fatte dello stesso materiale, lievemente rialzate per evitare malanni reumatici, in quanto la base è molle e fradicia, le imbarcazioni attraccate tutte fatte a mano, le torrette di avvistamento e le decorazioni che abbelliscono il tutto, attracca e veniamo accolti dalla presidentessa Uros, che dopo pochi minuti di convenevoli ci informa che pagando un supplemento ci porteranno con la loro imbarcazione a visitare la laguna, sennò possiamo restare a terra.

Peccato che lo spazio calpestabile, scopriamo successivamente, essere limitato a pochi metri circondati da capanne da cui non si esce. E ci tocca stare in attesa del rientro dell' imbarcazione con quelli di noi che sono salpati. Sotto il sole cocente, senza riparo e incazzati per la fregatura, in quanto credevamo che avremmo potuto gironzolare per l'isola, dopo circa un'ora risaliamo sul nostro battello e raggiungiamo la seconda, che pare essere la capitale. Anche qui siamo limitati al quadrilatero in cui ci permettono di muoverci per i successivi 40 minuti e l' alternativa alla noia è bere una birra calda, o mangiare al loro ristorante.
Il resto è inutile e snervante attesa di quei 40 minuti che sembrano eterni, se ti scappa la pipì la fai nel lago al prezzo di un sol, sennò puoi sempre comprare la loro artesania. A nulla serve cercare di anticipare il rientro tramite una imbarcazione tale e quale alla nostra che sta abbandonando l'isola, perchè pretendono gli ripaghi l' intera tratta! Chissene frega, ci sdraiamo sul pontile a prendere il sole e ad ammirare il panorama. E' chiaro che tutta la lamentela in questione non riguarda il denaro, che a conti fatti ci si può permettere di sacrificare, quanto invece la sensazione di essere presi in giro e trattati come portafogli viaggianti, quando si sarebbe potuta trasformare in una bella esperienza, educativa e accrescitiva. Il messaggio che passa invece è ignorante e dice solo dacci i tuoi soldi oppure spreca il tuo tempo, perchè alla fine questo è stato, 3 ore del nostro tempo buttate senza ricavarne nè un bel ricordo, nè un' insegnamento su uno stile di vita a noi sconosciuto, e se me lo concedete, il mio tempo è molto importante, è la cosa più preziosa che ho e lo voglio spendere in maniera costruttiva.Comunque, pazienza, ogni avventura ha la sua "esperienza pacco", poco male. Ce ne torniamo a terra e gironzoliamo ancora un pò per Puno pianificando le prossime mete del nostro viaggio. Mentre risaliamo una delle tante strade che portano alla plaza des armas, pensiamo a quanto sarebbe bello vedere la città e il lago dall' alto, ed effettivamente sarebbe strano che non ci fosse un mirador per poterne godere...

lunedì 9 gennaio 2017

Il nostro viaggio nel cuore delle Ande, lungo il Canyon del Colca, tra cammelidi, condor e malas noches #arequipa #canyon #colca #peru #condor #llama #vigunas #alpaca #mujeres #andes #soroche #maldaltura #vertigo #landscape #folklore

Alle 8 del mattino, un pulmino ci passa a prendere in ostello per portarci dritti nel cuore del Canyon del Colca, uno dei più profondi al mondo creatosi non per erosione come altri, ma da una faglia del terreno. Ci inerpichiamo su per le colline passando svariate tipologie di paesaggi, dalle distese rocciose, alle brulle pampas costellate di ciuffi di vegetazione, tra cui facciamo il primo avvistamento di Vicunas, selvatici cammelidi delle Ande che si contendono la zona con i Guanacos, più schivi e diffidenti.
Le razze di cammelidi domestiche invece, sono i Lama e gli Alpaca da cui gli Indios ricavano preziosa fibra tessile per indumenti. La loro docilità è affascinante e toccarne il manto morbido fa ritornare bambini. Il tempo minaccia pioggia per tutta la giornata e mentre continuiamo a salire i primi sintomi di Soroche, il mal d' altura, iniziano a manifestarsi: giramenti di testa, stomaco che gorgoglia e reclama di svuotarsi, vertigini e debolezza. Ci fermiano in un microscopico pueblo dove beviamo mate de coca, un infuso di foglie di coca per combattere lo stordimento e ci scambiamo racconti di viaggio con due nuovi amici milanesi, Filippo e Gaia che stanno spendendo il loro viaggio di nozze in Perù da cinque giorni prima di noi.
L' autobus prosegue salendo fino all' altezza massima di 4.910 metri dove anche il movimento semplice di scendere per scattare una foto si presenta arduo per quanto l' aria sia rarefatta. Lo sforzo di infilare la giacca per non bagnarsi diventa epico. Io avendo mal vissuto la tratta in bus da Ica ad Arequipa, nonostante viaggiassimo in un lussuoso e confortevole bus Cama, con tanto di sedili reclinabili di 160°, schermo privato, cuscino e coperta, ho preventivamente iniziato ad assumere il Sorochipill da ieri e la mia soffferenza si limita all'affaticamento nei movimenti, ma Puddy che per i Peruani è Alicio, non sembra passarsela ugualmente bene. Quando prende la sua capsula ormai è tardi.

Si aggiunga a ciò che arrivati a Chivay, la nostra base per la notte, si scofana il mondo al buffet che ci hanno propinato per pranzo, tra stufato di Alpaca, frittelle, riso e chissà cos'altro. Ci ritiriamo nel nostro hotel senza riscaldamento e ci infiliamo sotto le coperte per recuperare un pò le forze. Per cena facciamo una conoscenza un pò più approfondita dei nostri compagni di viaggio; ci sono una nonna, una mamma e una figlioletta peruviane che viaggiano insieme per il paese, una coppia di coniugi Cileni molto simpatici, una ragazza danese che ha vissuto a Cuzco per due mesi lavorando in un asilo, poi Angelica, peruana di mezz'età che viaggia sola e ama le danze tradizionali tra cui ballare sulle note de "El condor pasa", quando gli intrattenitori della serata la rapiscono dal tavolo e la bardano con sombrero, gonna piroettante e bolerino. Siccome siamo un poco disturbati prendiamo solo due sopas e due jugos de Pina y Papaya, ma nonostante ciò, Alicio vivrà comunque la sua peggior nottata della vita riducendosi ad un cencio grigiastro.
La levataccia delle 5:30 lo schernisce crudele dalla sveglia del cellulare e scommetto che maledice di trovarsi a 3.500 metri per provare ad avvistare i detestabili condor che molto probabilmente non si faranno nemmeno a vedere! Ci infiliamo sul bus con facce funeree mentre scopriamo che anche altri viaggiatori hanno visitato ripetutamente le rispettive latrine nella notte. Anyway, oggi c'è il sole che fa capolino tra la nebbia e la strada verso il Mirador Cruz del Condor è meravigliosamente verdeggiante e ricca di animali al pascolo.

Alle 7 ci fermiamo nel primo piccolo pueblo che ci accoglie lungo la ruta, dove intorno ad una fonte di pietra in mezzo alla piazza principale, al cospetto di imponenti montagne, alcune bambine ballano una danza propiziatoria in abiti tradizionali. L'ubicazione di questi villaggi, queste bianche costruzioni nel mezzo delle Ande, così imponenti e incombenti toglie il fiato dalla bellezza dei contrasti cromatici, antiche pietre, da cui sono state estratte cattedrali che si stagliano su cieli azzurri quando la nebbia si alza e lascia spazio al sole caldo, i colori esplodono sul petto delle donne andine nei maglioni fatti a mano, nei bardamenti dei lama candidi come la neve, che placidi accompagnano la vita della comunità, nei lunghi capelli corvini intrecciati e legati insieme da ponpon di lana. Meraviglie del Perù. Il mirador non ci regala sorprese rispetto ai pronostici, nonostante le correnti calde siano favorevoli al volo e la nebbia si sia posata sul fondo dell' orrido. Passeggiamo con gran fatica lungo i sentieri che costeggiano il bordo del rim, un drone ispeziona le gole senza successo, si ammira il panorama indescrivibilmente suggestivo.
Nonostante l' attesa non c'è traccia del condor e un pò abbacchiati torniamo ad occupare i nostri asientos sul bus, scambiando occhiate dispiaciute in direzione di Angelica che tanto ci aveva sperato con la danza propiziatoria della sera prima, quand' ecco che Jesus el conductor, se para en el medio de la calle al grito de "Condoooooor". Balziamo sulla carreggiata armati di cameras e assistiamo all' arrivo e alla vuelta del gallinaccio sopra le nostre teste, unici testimoni dell' imponenza della sua apertura alare. Gira e gira, tra il cielo bianco e la montagna di fronte a noi, ne arriva un secondo, e poi un terzo, il maschio con la cresta che lo distingue dalla femmina, l' adulto col piumaggio nero ad esclusione del collo e del bordo delle ali che lo distingue dal piccolo, sotto gli otto anni di età perchè ancora interamente marrone.

Angelica ha lo sguardo fiero e annuisce soddisfatta mentre tutti le rivolgiamo un prevedibile "el condor pasò"! Io e Puddy saltiamo il pranzo e ci prepariamo alla discesa ad altitudini più consone, tra distese verdi e zone brulle dove le torrette di pietre degli andini la fanno da padrone, tramandando fino a noi, antichi culti e reverenziali forme di saluto alle montagne che ci hanno accolto regalandoci ricordi indimenticabili.