domenica 11 novembre 2018

Cat Ba e Ariel rimangono al sole mentre io muovo verso Ninh Binh e la pioggia



06-08/11/2018
Sul bus per Ninh Binh ascolto la musica e spero non mi prenda la malinconia. In realtà sono solo felice di queste giornate, m anche di riprendere il mio viaggio e raggiungere le mie destinazioni. Quando finisce la strada ( siamo pur sempre su un’isola!) il bus monta su una chiatta che piano piano ci porta sull’altra sponda, una mamma con bambino bellissimo che si chiama Bi ai, mi invita ad uscire e seguirli sul piano più alto della chiatta da cui si può godere del tramonto, li accompagno e mi perdo tra le luci che scendono e gli uccelli marini.


Quando arrivo e destinazione scopro che ho bisogno di un taxi per raggiungere la mia “palude”, una homestay piazzata sopra un corso d’acqua, nel bel mezzo di una strada sterrata completamente buia. Seguo il tragitto su Google maps anche se il tassista continua a cercare di farmi capire in vietnamita che non serve, ma serve si caro, così vedo se mi porti dove ti ho chiesto, eh..è pure buio! Mentre ci lasciamo alle spalle la città passiamo sotto una porta dorata accesa di luci e pure sul fiume c’è una bellissima pagoda tutta illuminata, il mio autista mi Permette di fare qualche foto e con il suo traduttore sul cellulare mi racconta dell’ultimo re della città.
Quando mi lascia al mio giaciglio ho il suo numero di telefono caso mai dovessi aver bisogno, in effetti, nonostante il buio, non mi sento di dire che il posto meriti. Il dormitorio sembra una prigione e dentro c’è una vecchia tedesca che già dorme e sono appena le 20. Mi rivolge la parola solo per dirmi di chiudere la porta che ci sono le zanzare. Non c’è nessun altro. Ho lo sconforto dipinto in volto.  La proprietaria intuisce che non sono soddisfatta e prontamente mi sposta in una tripla molto carina e pulita dove soggiorna già un ragazzo.


Mi viene incontro per presentarsi, è di Buenos Ayres ma la sua famiglia è Taiwanese, è molto simpatico, quindi sono contenta di dividere la stanza con lui e non con la strana vecchiaccia tedesca. La mattina dopo noleggio uno scooter da Mrs. Lyn, la mia host e inizio il mio giro tra le campagne e il fiume. Tam Coc è soprannominata la Ha Long di terra grazie alle formazioni rocciose che si alzano un po’ ovunque lungo il fiume, il tempo non è dei migliori, perciò non mi va di fare il giro in barca, con le donne che remano coi piedi, preferisco invece arrampicarmi sulle scale che portano ai templi incastonati nella montagna, da cui si godono bei panorami sulle valli circostanti.


Il meglio della giornata me lo riserva la Mua Cave, che però non è una caverna, ma una scalinata di 500 gradini che si biforca e da una parte posso vedere il bianco drago che balzella con le sue spire sul crinale. Lo raggiungo subito dopo, sudata e affaticata per l’afa e l’umidità. Scambio qualche foto con un’asiatico californiano in tenuta atletica ma con una gran paura dell’altezza.

 

Quando mi raggiunge sulla cima, lo costringo ad arrampicarsi vicino al testone del drago in cambio di foto spettacolari. Un gruppo di spavaldi spagnoli, parecchio chiassosi tenta la scalata fino in fondo alla coda del drago, vedo male quello con le ciabatte, che per fortuna desiste. Sotto di noi, lontanissime le risaie.


 Inizia a piovigginare, meglio scendere, tento di raggiungere un altro luogo di interesse ma piove sempre più forte. Un gruppo di cavalli selvatici ha deciso che procedere in mezzo alla carreggiata é meglio. I folli scooteristi vietnamiti procedono spediti, suonando il clacson pure verso i cavalli. Mi infracico per bene lungo la strada, quindi decido che per me Ninh Binh non ha più niente da offrire. Mi faccio una doccia calda, faccio chiamare il mio tassista di fiducia da Mrs. Lyn e vado a prendere il treno notturno per Hue. Alla stazione incontro il mio amico asiatico californiano, mangio qualcosa e mi accomodo per le prossime dodici ore nel mio sedile reclinabile con coperta, che per fortuna non ospita altri che me. La notte è più piacevole di quel che avrei pensato, il treno sballotta più del necessario ma c’è tranquillita e arrivo a Hue neanche troppo stanca.


Il cielo però minaccia ancora tempesta e nel tragitto per arrivare al mio ostello mi devo fermare diverse volte per coprire lo zaino e limitare i danni. Per fortuna stavolta ho scelto bene, la camera è da 4 ma sono sola e posso godermi la mia solitudine. Dopo essermi ripresa parto subito alla volta dell’ antica cittadella. Il complesso è enorme e molto interessante, racconta le incoronazioni dei vari imperatori che sono tutti giovanissimi,  lungo i corridoi coperti dei grandi edifici sono esposte le foto di vari eventi, tra cui celebrazioni, omaggi da tutto il paese e pure scatti effettuati durante la guerra, quando la cittadella fu bombardata e quasi completamente rasa al suolo dalle truppe americane e sudvietnamite.


Di punto in bianco inizia un’acquazzone senza precedenti che costringe tutti i visitatori a rifugiarsi all’interno delle strutture coperte, aumenta sempre di più e non accenna a smettere. I cortili si trasformano in stagni e i più impavidi camminano con l’acqua alle caviglie. Ormai fradicia metto al sicuro la macchina fotografica e mi incammino verso l’uscita. Lungo il Cammino uno dei miei sandali perde la suola e rimango con un leggerissimo strato di cuoio a proteggermi dal contatto con l’asfalto. Arrivo zuppa all’ostello e butto tutto, vestito, camicia e scarpe. La sera trovo un ristorantino che fa una buona pizza sottile per staccare un po’ dal cibo asiatico, che dopo un mese mi esce dagli occhi. Prenoto il mio tour privato in moto per l’indomani a Dong ha, che sorge lungo il 17esimo parallelo, decretato il punto di suddivisione tra il Vietnam del Nord, insirrezionalista e filo comunista, guidato da Ho Chi Minh e il Sud, autoritario e filo statunitense, sperando nella clemenza del tempo.


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