mercoledì 7 novembre 2018

L’estremo nord di Taiwan: inospitale, selvaggio e bellissimo



27-28/10/2018
Quando uscendo dalla porta del mio nuovo bellissimo ostello, scopro che c’è il sole, mi pacco sulla spalla per aver deciso di lasciare per ultima la visita all’estremo nord. Da quello che avevo scritto infatti, pareva dovesse piovere tutto il mese! Alle 11 in punto salto a bordo del bus 856 che mi porterà ad est, sulla costa, per visitare  il Capo Bitou e la cittadina di Fulong.
Gli autisti di queste linee si meriterebbero un riconoscimento, per tutte le volte che affrontano le salite e discese di questo tratto tortuoso, rese ancora più drammatiche dall’avventatezza alla guida degli automobilisti. 


L’oceano è fantastico, così arrabbiato e brillante, sbatte contro le rocce e i pontili alzando schizzi bianchi fino alla strada. Le bancarelle del molo di Bitou straripano di granchi e ostriche. I pescherecci sono addobbati con grandi lampadine per la notte in mare.
Appena dietro la fermata del bus parte il Trail del Capo, che sale fino in collina serpeggiando tra cime tonde e ammantate di verde. I panorami sono strepitosi. 


A Fulong invece si prende la bici, si pedala verso l’interno e ci si infila in un tunnel lungo 2 km, che una volta apparteneva alla ferrovia. Si sbuca sul mare e per non farsi mancare niente, si può, come faccio io, sbagliare strada e percorrere il tragitto costiero di circa 20 km, anziché 5.


 La vista è impagabile e lo sforzo tutto sommato non è dei peggiori. Si passa davanti ad una zona di scogliere piatte, invase dall’acqua, su cui si specchiano le nuvole, mentre gli indigeni pescano tra le onde. Poi internamente lungo piccoli villaggi di pescatori, con grosse vasche rettangolari dove si coltivano gli Abaloni.


 Su nel cielo i predatori volteggiano, aspettando il momento della picchiata. Di ritorno alla stazione è d’obbligo un pasto in scatola, molto in voga a Fulong; composto da riso, tofu, verdure, carne e un uovo nero. Il giorno seguente tocca all’altra parte della costa, quindi alle 9:30 prendo il 788 fino a Keelung, dove visito il parco di Zhongzheng, pieno di templi, pagode e porte in stile cinese, fino alla statua bianca di Guanyin (ipoteticamente Giuanin, o Giovannino). 



È stato collocato sulla cima di una collina, con intorno templi e statue e oggi che è domenica, ci sono banchetti per bambini come alle fiere di paese: i cannoncini per sparare ai pupazzi, le macchinine elettriche per girare nel piazzale e degli orsacchiottoni a gettone con il volante.


 A Giuanin gli si può entrare dentro e salire fino alla testa, ha dei piccoli oblò dai quali si vede il panorama sotto. Mentre scendo a piedi dalla collina, taglio per i giardinetti dei bimbi, faccio uno scivolo di pietra talmente ruvido che mi lascia quasi in mutande e mi imbatto in una bottega che fa frittelle. 


Ne fa tante, tante, ma la gente ne compra tante, tante e così c’è una gran coda, che non va avanti e io resto a pancia vuota, con il languorino insoddisfatto. Però è già tardi, il sole tramonta presto e voglio visitare il Geoparco di Yeliu sulla scogliera, dove il vento e il mare modellano continuamente le rocce, creando delle protuberanze in cui vederci animali e scarpette e anche una testa coronata. 


C’è gente ovunque e muoversi diventa snervante. Questa fissazione degli orientali per i selfie è uno strazio. Senza preavviso scatta la posa che l’amico o il famigliare deve ritrarre 2 o 300 volte, ed è perfettamente normale che sostino in mezzo ad un percorso, dove già ci sono mille persone, creando imbottigliamenti disumani. 


Per fortuna sono anche pigri e il loro interesse pare non andare oltre le attrazioni raggiungibili in pochi passi ( diversamente avrebbero bisogno di impostare il navigatore ), quindi il percorso  che si snoda sopra la scogliera ed arriva al faro è piacevolmente sgombro. 

Faccio una tappa a Jinshan per mangiare la carne d’anatra nella strada vecchia, veramente buona anche se purtroppo viene servita fredda e poi torno a Rueifang per la notte, domani è un altro giorno di sole al Nord!

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